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 Home page > Tribuna Libera > Il movimento no global ha perso e la globalizzazione ha vinto

Il movimento no global ha perso e la globalizzazione ha vinto

Checche ne dica Tremonti è un’ottima cosa e non il trionfo del potere americano. Ma bisogna andare oltre e trovare una politica che esprima tale realtà.

 Dieci anni fa esattamente in queste ore si proponeva, sulla scena geopolitica del pianeta, quella che qualcuno si affrettò a definire la seconda superpotenza, dopo gli Stati Uniti: il movimento no global
 
Nelle strade di Seattle si celebrava il trionfo di una davvero bizzarra convergenza fra anarchici attempati, ecologisti fantasiosi, sindacalisti corporativi americani e difensori dei sussidi alla grassa agricoltura europea. 
 
 Il loro nemico non era il solito tronfio egemonismo americano, ma una nuova dinamica economica, appunto chiamata globalizzazione, che stava tracimando dagli argini che lo stesso capitalismo occidentale cercava di frapporre, per disciplinare il fenomeno. 
 
Per mesi, direi qualche anno, dietro alle ombre di quegli sfasciacarrozze si allinearono tutti gli orfani del 1989: sinistra europea senza bussola, terzomondisti in cerca di autore, alternativisti di ogni risma e soprattutto gli "scorciatoisti" di ogni latitudine. 
Intendo per "scorciatoisti" quella razza di pifferai e di dirigenti politici, che ancora non si erano cambiati la camicia intrisa dalle polveri del crollo del muro di Berlino, che cercavano subito una rivincita a basso costo, una scorciatoia per la storia, per ricominciare a pontificare sul senso della vita. 
 
Gli unici che avevano il diritto di sbagliare pur di osare erano i giovani, che in gran quantità, si accalcarono dietro al movimento. Dopo Seattle, venne Genova, e poi, via via, le stanche e insopportabili pantomime dei black block in varie piazze del mondo. 
Di quel movimento non c’è più traccia. 
 
L’agrario francese Bovè che guidava gli assalti ai McDonald’s oggi contratta le quote latte con la comunità europea per impedire ai prodotti del terzo mondo di entrare nel mercato europeo, e l’autonomo Casarini partecipa alle mobilitazioni per la difesa della lingua veneta con la Lega. 
Solo due esempi di un triste riflusso annunciato. 
 
Già all’inizio quel movimento era attestato sulle posizioni più reazionarie. 
Tanto è vero che quello che rimane di quell’impetuoso movimento è esattamente il contrario di quello che intendevano esprimere i no global.
 
La globalizzazione non ha imposto il potere americano, i paesi del terzo mondo non sono più emarginati di prima, il governo del mondo non è mai stato più multipolare di oggi. 
 
Ma non si tratta di fare marameo al movimento, con la soddisfazione del conservatore che dimostra che nulla cambia e nulla cambierà. 
 
Il bello è che molto è cambiato, e proprio perché quel movimento ha perduto.
Le gerarchie politico economiche oggi sono del tutto stravolte. Brasile, India, Nigeria, per non dire della Cina, rappresentano i nuovi poli delle strategie dello sviluppo.
Il regno del petrolio è sotto tiro. Alla Casa Bianca abita un presidente che probabilmente nel 99 sarebbe stato fra i manifestanti di Seattle. 
E tutto questo proprio perché la globalizzazione wireless ha investito i centri del comando e del consumo del mondo.
 
Ma quello che oggi mi pare il vero capitale è proprio il potere di controllo e di interdizione dell’individuo.
In ogni campo, dalla comunicazione alla scienza, dalla medicina alla pubblica amministrazione, le élites sono in ritirata e la marea del controllo e dell’autoproduzione sociale monta.
 
Persino Google, che pure è stato soggetto e bandiera di questo reale sommovimento rivoluzionario, oggi si trova a dover dare conto del suo potere.
Il punto è che non siamo nel migliore dei mondi possibili, c’è ancora un’infinità di buchi neri e di pericoli, ma stiamo enormemente meglio di ieri.
 
Non a caso gli spezzoni di realtà che hanno raccolto, trasformandola, la bandiera dei no global sono fenomeni come l’open sorce di massa, i social network, o comunità come Terra Madre di slow Food, che dal buon mangiare stanno riclassificando ruoli e funzioni dei territori. 
La rete è stato il veicolo di questa straordinaria trasformazione. 
Ora però bisogna dare alla rete un’anima, bisogna dargli un senso politico e culturale meno indecifrabile. Bisogna fare in modo che la rete, così come ha fatto la TV nel secolo scorso, selezioni e imponga i suoi valori. 
 
La politica deve essere frontalmente investita da questa onda lunga.
Non è più possibile che si discuta e si ragioni di rinnovamento ignorando le logiche della rete, i suoi conflitti, i suoi valori. 
Vale nel PD in Italia e nell’intera europa.
 
Cominciamo con la nostra comunità, aprendo una riflessione concreta che non riduca la rete ad un citofono di vicolo, ma le dia la potenza di una grande forma di riproduzione sociale. 
Non penso ad un omologazione politica a quello che c’è, ma alla capacità di aprire una nuova strada. 
Berlusconi con le soap opera degli anni ’80 e la valanga di spot ha dato il senso di un cambiamento ed ha vinto. 
Si può fare meglio. 
 
Diciamo come Obama, almeno.

Commenti all'articolo

  • Di Maria Lutero (---.---.---.25) 1 dicembre 2009 13:32

    Non sono molto d’accordo.

    I cosiddetti "paesi in via di sviluppo" che adesso stanno conquistando il mercato e il primato produttivo e finanziario (agli USA resta solo quello militare), sono un fenomeno diverso dalla "globalizzazione".
    Il termine "globalizzazione" non vuol dire nulla. Se parliamo di un’interrelazione su scala globale delle tecniche comunicative/informative in ogni ambito della produzione e della distribuzione, ebbene in questo senso la "globalizzazione" esiste REALMENTE solo in Occidente. Da una ricerca pubblicata da Ulric Beck nel 2001, l’88% degli africani non sa neanche cosa sia un computer.
    Ma per "globalizzazione" si intende anche (ed è quello contro cui protesta il movimento no global, tutt’altro che morto, anzi rinvigorito dopo Impero di Negri) l’occidentalizzazione del mondo. Cina, India ecc.. non sono poli alternativi all’Occidente. Sono poli già occidentalizzati, dal mercato, dalla pubblicità, dall’ideologica stessa del capitalismo, con le sue sovrastrutture e contaminazioni culturali. I giovani cinesi ormai pensano come occidentali, hanno i modelli del successo, della competizione, del potere, della ricchezza, della spettacolarizzazione. 
    Esiste un conflitto geo-politico ininterrotto dalla Seconda Guerra Mondiale ad oggi. Apparentemente era Est contro Ovest (USA - URSS); in realtà era NORD CONTRO SUD (i due imperialismi alla conquista del Sud).
    Dopo la caduta del Muro è rimasto un solo imperialismo, quello anglo-americano, quindi essendo rimasto solo il modello capitalistico, lo scontro NORD CONTRO SUD, poichè il nord è TUTTO CAPITALISTICO, ormai ha assunto la forma di "occidentalizzazione del mondo" (definizione di Latouche). 
    Contro la conquista del Sud noi ci opponiamo.
  • Di Gloria Esposito (---.---.---.155) 1 dicembre 2009 14:20
    Gloria Esposito

    Dire che non esista più un movimento no global mi sembra più un pensiero dell’autore che non altro.
    I boicottaggi continuano ad esistere, le reti alternative di commercio equo e solidale stanno crescendo cosi come il biologico e le istanze ambientaliste.
    In che cosa il movimento no global avrebbe perso?
    Sono cosi tante le anime che si definiscono no global (un’etichetta che serve solo a unire un movimento quando si tratta di protestare per contrastare i poteri forti) che è difficile dire che ognuna di loro abbia perso. Anzi, c’è più no global nella rete( prima simbolo di omologazione pedissequa al modello occidentale americano) che non altrove. Sono i no global che si sono appropriati di armi prima utilizzate dai conservatori,sono i no global che rendono anche la rete un posto dove ognuno possa condividere la propria identità configurando il cosiddetto "glocalismo", con il ritorno alla politica dal basso.
    Ripeto: in che cosa avrebbero perso?
    Penso che se oggi stiamo meglio è proprio per la sensibilizzazione su certi temi importantissimi portata avanti dal movimento no global.
    C’è tanta strada da fare, ma non per questo ci si arrenderà.
    Saluti
    Gloria

  • Di aellebì (---.---.---.131) 1 dicembre 2009 17:06
    aellebi

    Caro Michele,

    questo non è un articolo: è, finalmente, un ottimo ’saggio compresso’, non conformista, denso, suffragato da riferimenti concreti, che invita ad andare ben oltre sia il GLEBALismo reazionario, diciamo la PLUTOCRAZIA REALE GLOBALE, che il NOGLOBALismo, finto progressista, ovvero l’accozzaglia di detriti FASCI-NAZI, LENINSTALIMAOisti e TEOCRATICI di ritorno o nuovo conio ben mascherato.
    Quando comincerò, da reporter neo-registrato, i miei articoli, l’unica tematica sarà questa, dato che tutte le comprende, in effetti.
    Come dire, la mia rubrica, che riprenderà il tuo ottimo articolo, magari punto per punto, dettagliatamente, s’intitolerà ’Metaville’.

    Grazie ancora,

    ALB.

    • Di aellebì (---.---.---.225) 2 dicembre 2009 00:09
      aellebi

      Eccezionalmente, per due ragioni, mi commento o, meglio, mi correggo:
      1 ’LENINSTALIMAOIisti’ -> MARXENGELSLENINSTALINMAOisti;
      2 ’Metaville’ sarà, finché non vi sarà conflitto d’interesse, che detesto, con le varie specifiche del caso, eventualmente, la mia ’sottorubrica’ di rubriche già stabilite dalla redazione di AgoraVox.
      Non mi aspettavo certo di ricevere un paio di voti, non so se positivi o meno..., su tre commenti, in così poco tempo.

  • Di Michele Mezza (---.---.---.3) 2 dicembre 2009 10:54
    Michele Mezza

     Le osservazioni di maria Lutero e di Gloria mi sembrano pertinenti. Sono nella testa di tanti e anche nella mia. 

     Devo purtroppo insistere. 
     Parto dall’ultima osservazione di Gloria: Oggi stiamo meglio grazie all’azione di pungolo dei no global. Proprio no. 
     Oggi stiamo meglio perché il capitalismo , dopo un secolo di braccio di ferro con il movimento operaio, cosa ben diversa da quel bovaro speculatore di Bovè e dai sindacati dei camionisti americani ( allora ancora diretti dal giovane Jimmy Hoffa Junior) che guidavano i cortei a Seattle, ha scelto di rovesciare il tavolo e marginalizzare il lavoro materiale, reinvestendo il profitto sociale sul mercato dei consumi di massa. 
     Hai voglia di dire: masse enormi di persone sono state ad ovest liberate dal lavoro coertivo in fabbrica, e a sud dalla fame, grazie ad un’espansione della potenza produttiva del sistema globale. I dati parlano da soli. Le ricerche del 2001 sono archeologia: oggi due terzi delle aree depresse nel 1989 sono i vagoni trainanti dell’economia mondiale, altro che cortei contro la fame nel mondo, organizzati dalla sazia borghesia intellettuale dell’occidente. 
     L’unica cosa che le anime belle dell’europa potrebbero fare per la fame nel mondo è abolire gli indecenti finanziamenti all’agricoltura più ricca del mondo, per aprire il mercato ai produttori del sud del mondo. Chi lo chiede? I pacifisti che fanno? Bovè che dice? Il budget delle rendite concesse agli agrari europei è il triplo del PIL dell’Africa equatoriale.
     Ora il punto è capire come orientare una forza che sta scompaginando i suoi evocatori: la destra americana si è accorta di essere stata un’apprendista stregone, liberando una potenza quale la rete che sta disintermediando ogni centro di potere. Allora il problema è come dare un’anima a questa forza e come ripensare democrazia e sviluppo al tempo dell’economia dell’accesso contro l’economia della proprietà. Questo significa brevetti liberi per i giovani africani, significa basso costo dei farmaci in sud africa, significa centri di studio e di sapere in Niger. Significa pensare l’europa come un grande data base della cultura di base del mondo e non un super mercato per moda e sedie di vip in cerca di snobbismi. A Seattle questo non c’era. A genova neppure. Per fortuna Indiani, Brasiliani, Nigeriani, Cinesi ecc se ne fottono dei no global e competono con Wal street per mutare i rapporti di forza.
     Obama sta in mezzo al momento.Se passa la sua idea di riforma sanitaria si apre un varco ad ovest. Se dopo muta la politica energetica, si aprirà un varco in medio oriente e nell’islam, bloccato dai califfi del petrolio. Quando marciamo contro i califfi? Quando capiamo che un miliardo di islamici sono ostaggio dei petrolieri texani tramite le oligarchie al potere in quei paesi? Non è una prospettiva diversa e più concreta di una sassaiola contro Mc Donald?

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