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Capitalism: a love story

Nelle sale italiane è da poco arrivato il nuovo ed atteso documentario del regista americano Moore. Il suo ultimo lavoro, "Capitalism: a love story", è l’ennesimo esempio dei suoi documentari puntigliosi, sarcastici, costellati di interviste, che hanno reinventato il genere, trasformandolo in giornalismo di inchiesta militante, toccante e coraggioso.

"Capitalism: a love story", titolo impegnativo per questo nuovo film che ha come filo conduttore il capitalismo, un fenomeno che ha caratterizzato molte epoche, analizzato, dibattuto, abusato.

 

"Capitale è denaro, capitale è merce. Essendo in virtù di questo un valore, ha acquisito l’occulta abilità di aggiungere valore a sé stesso. Esso genera discendenza attiva, o, almeno, depone uova d’oro”, scriveva Karl Marx.

Il nostro secolo è stato caratterizzato dalla grande crisi economica, più volte messa a paragone con quella del 1929. Due mondi e società diverse.

Che cos’è il capitalismo oggi? Perché gli americani, per primi, e tutti i cittadini del pianeta a seguire ne subiscono il fascino? Domande a cui si cerca di trovare risposte valide nel film.

Vent’anni dopo il film che lo rivelò, “Roger & Me”, il celebre documentarista Michael Moore, torna sugli schermi, analizzando nel dettaglio gli effetti disastrosi provocati dal dominio delle grandi aziende nella vita quotidiana degli americani. Partendo dall’episodio della General Motors che molti anni fa aveva una sede, in seguito smantellata, proprio nella sua città natale (Flint, Michigan), il regista fotografa una realtà sociale dove il divario tra ricchi e poveri è sempre più grande. A chi imputare questa situazione? La risposta sembra sempre convergere nel fenomeno del capitalismo.

Moore ripercorre gli ultimi anni della società americana attraverso documentari storici montati insieme a realtà più attuali per dar vita ad uno scenario veramente realistico ed a tratti deprimente. Partendo da un parallelo tra la caduta dell’Impero Romano e proseguendo parlando del dramma degli sfratti, delle perversioni della finanza, delle disparità economico-sociali, della perdita di umanità di un sistema, il regista fa emergere la sua idea, l’incompatibilità tra capitalismo e democrazia.

Sullo schermo appaiono storie tristi e disarmanti, famiglie che a causa del continuo aumento dei tassi sui mutui sono costrette loro malgrado a lasciare la casa che tanto hanno desiderato ed amato. Il famoso sogno americano è infranto. 14.000 posti di lavoro persi quotidianamente e famiglie che sono alla soglia minima della povertà. Le persone sono sconfitte e sopraffatte dal Dio Denaro.

Il "sistema economico in cui i beni capitali appartengono a privati individui" è esploso e scomparso. Il capitalismo ha vinto sulla società.

Capitalismo e democrazia non possono essere due realtà che convivono nella stessa società? Forse, la risposta si può trovare nelle concetto di capitalismo creativo, illustrato da Bill Gates (terzo uomo più ricco del mondo) nel corso di un discorso tenuto in occasione del Forum Economico Mondiale. Il capitalismo creativo è un sistema in cui i progressi tecnologici compiuti dalle aziende non sono sfruttati solo per profitto, ma anche per portare sviluppo e benessere nelle aree che ne hanno bisogno. Un unione di profitto e cause umanitarie. Il concetto di capitalismo quindi non è del tutto negativo, dipende tutto dalla sua applicazione. Nel documentario il regista sposa la posizione degli indifesi cittadini a cui sono stati tolti diritti, come la casa, in nome di un economia instabile. Si intravede una possibile soluzione ai conflitti e disagi sociali in cui versa l’America.

Solo attraverso la consapevolezza si può sperare in un cambiamento. Così le persone iniziano a ribellarsi ad un sistema politico e sociale che riflette la crisi economica globale e che si manifesta quotidianamente sulla vita del cittadino medio. La popolazione inizia a dar voce alla sua rabbia e senso di frustrazione. Si percepisce la voglia di cambiamento. Sono gli stessi americani che versano in una situazione di aiuto, a causa del capitalismo, ed è proprio a quest’ultimo che si ribellano. La popolazione si rialza, e prova nuovamente a nascere dalle sue ceneri. Hanno inizio le occupazione delle proprie case, ignorando lo sfratto giudiziario. Alle lezioni presidenziali vince Barak Obama. Il primo Presidente afroamericano della storia degli American States. La rivoluzione nasce dal cambiamento, dettato dalla consapevolezza sociale.

Il film “Capitalism: a love story” è stato presentato a Pittsburgh durante il congresso nazionale di Afl-Cio, uno dei maggiori sindacati. Il regista, alla guida di un corteo improvvisato, ha elogiato il nuovo Presidente e incitato la folla a sostenere i suoi sforzi di riforma.

Non rimane che pensare:"Yes we can", parafrasando Obama.

 

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