D’accordo: non si tratta
di genocidio. Perché? Perché è una questione di numeri. Migliaia di morti
contro milioni. Di che si tratta allora, se non è un genocidio? Di una strage, che
non è cosa da nulla, soprattutto se si accompagna a “uno stillicidio di ordini
vessatori”, di odiose “disposizioni che producono penurie alimentari o sanitarie
che spingono le condizioni di vita al limite della sussistenza”. Un limite che
colloca Israele oltre il confine della barbarie. Concordata l’atroce definizione –
strage - bisognerà nutrire la speranza – in verità piuttosto disperata - che
gli oltranzisti filoisraeliani non trasformino anche l’accusa di strage, con
codicillo di vessazioni, limite di sopravvivenza eccetera, in “uno
straordinario argomento propagandistico” e la piantino di gridare all’antisemitismo. Se non dovessero farlo, pazienza. Le
cose stanno come stanno e non saranno gli oltranzisti filoisraeliani a decidere
cosa si possa o non si possa dire. E’ vero ciò che scrive Giannuli: “le parole
vanno usate con grande cautela evitando abusi che le svuotino di significato”. Questo,
però, vale per tutte le parole, anche l’antisemitismo, che non può essere
brandito come una clava contro ogni tentativo di accertare una verità che ormai,
dopo i bombardamenti mirati sulle scuole dell’ONU, si rivela a dir poco
angosciante. Si nomini, quindi, una Commissione d’Inchiesta internazionale e si
accerti se a Gaza l’esercito israeliano ha commesso bestiali crimini di guerra,
colpendo volutamente i rifugiati protetti dalle Nazioni Unite; l’accusa è stata
confermata da testimoni oculari, funzionari dell’ONU, i quali non solo hanno
rivelato che gli israeliani erano stati informati per tempo della presenza dei
rifugiati, ma che nelle scuole dell’Onu non c’erano né missili, né combattenti,
come sostiene Israele, ma gente terrorizzata. Molti bambini, tanti, troppi, qualcosa
che fa pensare a un “bambinicidio”. Anch’io ho firmato appelli e richieste di
processi per crimini di guerra, ma bisognerebbe approntare e firmare anche un
appello in cui chiedere all’Onu di ricorrere a severissime sanzioni
internazionali, qualora Israele dovesse rifiutare di collaborare. Checché ne
pensino i fondamentalisti filoisraeliani, infatti, in genere le risoluzioni
dell’Onu sono per Israele poco più che carta straccia,