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La morte della giustizia

Di Giuseppe Sigismondi (---.---.---.180) 20 febbraio 2009 21:41

Che amarezza, e che senso di impotente disgusto.
Ho i brividi. Non so se scappare da questo paese in via di sottosviluppo, o cos’altro. La mia generazione (ho 38 anni) è stata cancellata per la più parte da qualsiasi possibilità di intervenire costruttivamente nel destino di sé stessa, parcheggiata in qualche call center o rimbecillita davanti ad uno schermo-scherno. Oppure tirata su a guisa di delfini dei senil-infantil-omuncoli che hanno conquistato il potere, e dei quali hanno assunto le stesse sazietà e le stesse bassezze. Non menziono le leggi razziali, quelle per cui i reati - quelli rimasti - si dividono a seconda dell’etnia che li commette: è un capitolo a parte, di cui l’Italia avrà tempo di vergognarsi in un prossimo futuro.
Gli ultimi anni stanno trasformando velocemente, come si voleva, un paese già quasi fallito in un paese di falliti, obnubilati dalla televisione e dal nero o bianco che è tale contro ogni evidenza perchè lo diventa per legge, per citare le parole qui sopra.
Condivido ogni sillaba delle quali, e soprattuto partecipo del sentire di Salvatore Borsellino. La giustizia e l’Italia sono agonizzanti. Sono un musicista, perciò Requiem. Ma rabbia e rassegnazione non vanno d’accordo. Vedremo quale prevarrà.


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