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Internazionalizzazione e tessile/moda: tutti ne parlano, quasi nessuno lo fa

Di (---.---.---.159) 8 giugno 2012 09:31

Ciò che più trovo meritevole nell’articolo è l’aver chiaramente esposto una delle problematiche che assillano chi vuole "internazionalizzarsi" (qui già la lunghezza terribile del vocabolo ne indica la difficoltà d’approccio). Spesso gli enti che dovrebbero supportare l’imprenditore, a maggior ragione se piccolo o medio, rimangono in superficie. Dopo quello che Paolo GAlli definisce il viaggio della speranza, spesso non rimane nulla o quasi. Mi riferisco all’aspetto commerciale ovvio.

Chi seriamente vuole affacciarsi ai mercati esteri, per rimanerci e crescerci, deve farlo con le proprie forze se vuole veramente riuscire. Molti hanno successo in questo. Sarebbe giusto e bello fosse solo così. Però noi abbiamo un’arma in più dove lo Stato, quindi il contribuente, mette i suoi quattrini: gli istituti di supporto, ivi compresi quelli che molte regioni si sono date.
Allora i casi sono due: o diventano veramente utili, di una utilità misurabile tipo la percentuale di imprese che partecipano alle missioni imprenditoriali all’estero e che dopo un anno o due sono poi presenti veramente su quel dato mercato, oppure si cambia metodo. Forse meglio destinare l’equivalente speso per il funzionamento di questi enti direttamente agli imprenditori. Questi lo potranno destinare così direttamente alla loro attività di penetrazione all’estero, senza costi "indiretti". Naturalmente il tutto certificato, verificato per evitare che un investimento si trasformi in un regalino.








 


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