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Internazionalizzazione e tessile/moda: tutti ne parlano, quasi nessuno lo fa

Di (---.---.---.210) 7 giugno 2012 15:34

Lei arriva al dunque nelle ultime righe: auspica in breve che qualche ente (pubblico) si sobbarchi le spese e gli oneri organizzativi per l’internazionalizzazione delle aziende del settore moda. Se pensa questo, e cioé che l’azienda privata abbia bisogno della guida dello Stato per svilupparsi, lei é  evidentemente un comunista. Per carità non c’é nulla di male, "comunista" non é una parolaccia ed é ormai provato che i comunisti non mangiano i bambini, come fino a pochi anni fa alcuni pensavano.


Io, che invece sono liberista, penso invece che le aziende debbano muoversi con i propri mezzi, se e quando lo ritengono necessario. Come lei, anche io ho osservato che i progetti di internazionalizzazione attualmente in corso - PRIMI FRA TUTTI QUELLI OPERATI DALL’ICE - ISTITUTO PER IL COMMERCIO ESTERO - e pagati dai contribuenti, spesso altro non siano che  “viaggi della speranza” di aziende malamente tirate insieme che mai e poi mai hanno una qualche chances di penetrare il mercato e mai e poi mai intraprenderebbero quel viaggio o quella fiera se dovessero pagarlo di tasca propria. Invece paga l’ICE (quindi tutti noi) e quindi perché non andare a fare la tal fiera in Giappone piuttosto che in Cina? Male che vada il piccolo imprenditore o il manager si sarà riempito la bocca presso parenti, amici e clienti (fa molto figo dire che si va a fare una fiera in Giappone, sembra che l’azienda sia piu’ importante di quello che é) e in piu’ si fa un bel viaggetto praticamente gratis.

Mi creda, le aziende serie non hanno bisogno del contributo statale per andare all’estero, lo fanno se ritengono di avere delle chances commerciali.

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