MA QUALE RIVOLUZIONE DEL 68. LA PEDOFILIA E’ STORICAMENTE
ACCERTATA COME PRATICA PREPONDERANTE NELLA GERARCHIA EKKLESIASTICA SIN DAL SINODO
DI ELVIRA DEL 306: Basta sfogliare i libri penitenziali del medioevo[1] per
rendersi conto di quanto fosse diffusa la lascivia irrefrenabile tra i preti.
Tali scritti affrontano perlopiù argomenti scabrosi e scellerati dei rapporti
sessuali criminosi tra appartenenti al clero e bambini, fanciulle e ragazzi.
Allora era chiamato in generale peccato di sodomia e comprendeva rapporti fra
maschi adulti e contro natura con animali e bestie selvatiche, oltreché con
bambini e adolescenti, nel qual caso si impiegava il termine più specifico di
pederastia. Già il Sinodo di Elvira del 306 ci fornisce un quadro terrorizzante
delle violenze sessuali che potevano avvenire sotto la cupola ekklesiastica ai
danni di minorenni indifesi, tanto che si parlò con disprezzo di “catecumeni
infanticidi” e di “violentatori di bambini”, stupratori di minori che erano
spesso definiti – con un termine più circostanziato – pederasti, ovvero
omosessuali con una spiccata predilezione verso i bimbi[2]. Solo con lo
psicologo e sessuologo Havelock Ellis, si introdusse il termine pedofilo nel
1906, per caratterizzare chi abusa di un ragazzo in età prepuberale, prima
dello sviluppo sessuale insomma. Ellis pubblicò, tra il 1897 e il 1928, la sua
opera più importante, Studi sulla psicologia del sesso[3], in sette volumi, che
fu posta all’indice in Gran Bretagna. D’altro canto, si preferisce il vocabolo
efebolico, quando vi è nel soggetto malato la predisposizione sadica a
violentare un adolescente nel fiore dei suoi primi vortici ormonali.
A detta del dottore della chiesa Basilio (IV sec. d. C.),
molti cristiani arrivarono a pregare da soli con mogli e figli per paura di
divenire oggetto, durante i riti liturgici, della lussuria di vescovi e abati.
Nell’888, all’epoca del Sinodo di Magonza, si denunciarono dei sacerdoti che
avevano “usato carnalmente con le sorelle, generando dei figli”[4]. Non erano
rari neppure gli accoppiamenti dei reverendi con madri e parenti. Analoghe
denunce appaiono nel Sinodo di Olmütz del 1591 (c. 13), in cui si dà la colpa –
con patologica schizofrenia religiosa – al solito demonio, che fotteva con le
sorelline dei vescovi. Ma le punizioni – allora – erano esemplari e dure,
stando almeno a ciò che si legge nei libri penitenziali del Medioevo: “Se il
vescovo esercita il coito e la sodomia, è punito con 25 anni di penitenza, 5 a
pane e acqua, e deposto; un prete deve far penitenza per 12 anni, 3 a pane e
acqua; un monaco e un diacono 10 anni, e parimenti 3 a pane e acqua”[5]. Oggi,
invece, la gerarchia cattolica adopera il metro all’inverso: le cariche più
alte, come vescovi e cardinali, sono coperte con qualsiasi mezzo e
salvaguardate con ogni stratagemma politico, giudiziario ed economico e, in
caso di processi penali a loro carico, i prelati vengono trasferiti in altre
parrocchie vicine o lontane a continuare la loro opera pastorale con le
pecorelle smarrite. Mai si arriva ad una deposizione o destituzione. Caro
Wojtyla, altro che corruzione della società contemporanea o come dice Ratzinger
ateismo, relativismo e laicismo le vere cause della decadenza morale ed etica
della società occidentale!
DA: LA RELIGIONE CHE UCCIDE
COME LA CHIESA DEVIA IL DESTINO DELL’UMANITÀ
(Nexus Edizioni)
517 pagine, 130 immagini, € 25