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Commento di kthrcds

su In risposta al Forum su “L'Afganistan, la Sharia e le donne”


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kthrcds 6 maggio 2009 20:01

L’oscurantismo maschilista cui sono soggette le donne afgane è ripugnante e vile, e non può essere condiviso da coloro che vogliono vivere in una società composta da donne e uomini, vale a dire persone, aventi pari diritti e dignità e consapevoli dei rispettivi doveri. Ciò ovviamente si intende sia all’interno del proprio ambito familiare, che all’interno della società nel suo complesso. L’esatto contrario di ciò che intendono i sostenitori dell’attuale primo ministro italiano, tanto per fare semplificare. Molti anni fa fu mia moglie a spiegarmi in due parole un concetto semplice che non ho mai dimenticato (e che, peraltro, non mi era affatto estraneo), ossia che lei voleva essere considerata come una persona, prima che come donna. Va senz’altro detto che la condizione femminile in Afganistan è quanto di peggio si possa augurare ad una donna. Il che, però, vale anche per le donne che vivono nei paesi arabi "amici" degli Usa. Forse in un futuro prossimo il diverso approccio dell’amministrazione Obama nei rapporti con il mondo arabo e con l’Islam contribuirà ad avviare un processo evolutivo per ciò che riguarda la situazione delle donne all’interno di quei mondi, ma questo è un altro paio di maniche. Mi sembra comunque che si possa dire che radere al suolo interi villaggi - e, di conseguenza, causare la morte di centinaia di donne e bambini – non possa essere in alcun modo inteso come un contributo al miglioramento della condizione delle donne afgane. Tanto più se si considera che con la centesima parte di ciò che si è speso sinora in bombardamenti e in missioni di “peace-keeping” – peraltro non espressamente richieste dai diretti interessati – si sarebbe potuto risollevare l’intero Afganistan dalla drammatica condizione in cui versa attualmente senza bisogno di coinvolgere mezzo mondo nella cosiddetta “Guerra al Terrore” voluta da George W. Bush. Volendo semplificare all’estremo, se gli afgani invece delle bombe avessero ricevuto il loro corrispettivo in denaro, oggi gli afgani medesimi apparterrebbero alla categoria dei benestanti, nessuno di loro avrebbe in animo di combattere in armi i militari della coalizione internazionale, e i talebani farebbero i comici in televisione. È notizia di oggi che «una bambina afgana di 13 anni è morta uccisa dai colpi di mitragliatore sparati da un blindato italiano di pattuglia nella zona occidentale dell’Afghanistan» (Bruno Persano, Herat, militari italiani sparano. Uccisa bimba di 13 anni, tre feriti, La Repubblica on line, 3 maggio 2009). Secondo la ricostruzione dei militari, l’automobile non si sarebbe fermata all’alt dei militari; mentre il guidatore dell’auto avrebbe affermato di non essersi reso conto in tempo utile delle intimazioni dei militari a causa della pioggia. Nell’articolo de La Repubblica si specifica che l’auto su cui viaggiava la famiglia afgana era una Toyota Corolla, percepita dai militari come “una delle macchine maggiormente segnalate come possibili autobomba”, dando in certa misura l’impressione che quando i militari incrociano un’auto di quel modello prima sparano e poi si chiedono il perché. Un ufficiale italiano intervistato dai tg nazionali spiega che i suoi soldati hanno dovuto reagire a ciò che poteva costituire una minaccia, viste le condizioni in cui si trova l’Afganistan. Già; ma perché allora non restarsene in Italia, dal momento che l’attuale condizione dell’Afganistan è conseguenza anche della presenza della coalizione internazionale di cui l’Italia si ritiene in dovere di fare parte? Visti in tv, nelle poche immagini diffuse dai tg, i soldati italiani hanno l’aria abbacchiata e imbarazzata. In effetti credere di essere stati inviati a combattere il terrorismo e ritrovarsi ad accoppare gente inerme all’interno di un paese che non conoscono, che non li stima, non li ama e che aspetta solo che se ne vadano, li rende più consapevoli del fatto che anziché essere la soluzione del problema afgano ne sono divenuti una componente. Sia quel che sia, una ragazzina di 13 anni è morta e tre suoi familiari, tra cui la madre della vittima, sono rimasti feriti senza un vero motivo. Episodi simili sono pressoché all’ordine del giorno in Afganistan, ed è ipotizzabile che chiunque abbia a cuore il miglioramento della condizione delle donne afgane non ne veda con favore il ripetersi. Già a metà dicembre 2001 uno studio realizzato dall’americano Marc Herold, professore di economia e relazioni internazionali presso l’università del New Hampshire, stimava il numero delle vittime afgane in circa 3.700. Lo studio riportava dettagliatamente i luoghi e le date dei bombardamenti - ricavati per lo più dai resoconti delle agenzie di stampa e da testimonianze oculari - e anche qualche dettaglio indicativo del cinismo della macchina militare. Quando, ad esempio, il 22 e il 23 ottobre 2001 l’aviazione americana uccise 93 civili, un ufficiale del Pentagono disse che “le persone sono morte perché noi le vogliamo morte. Hanno simpatizzato con i talebani!”. Lo studio rivelava che erano stati più di quattromila i raid angloamericani e che in più di un’occasione il Pentagono tentò di nascondere la realtà, negando di aver ucciso dei civili, e attribuendo queste notizie alla propaganda talebana. Dopo circa quattro mesi dall’inizio dei massicci e quotidiani bombardamenti sull’Afganistan, il New York Times si decise a spendere due parole sugli “errori incredibili che hanno causato la morte di centinaia, ma forse anche migliaia di civili”. Tutti questi morti innocenti sarebbero dovuti, secondo il New York Times, al fatto che Cia e Pentagono in troppi casi hanno individuato i loro obiettivi sulla base di informazioni sbagliate e di foto approssimative degli aerei da ricognizione, oltre che al malfunzionamento delle varie apparecchiature. Da allora sono passati quasi otto anni ma sembra che la Cia e il Pentagono continuino a lavorare sulla base di informazioni sbagliate.

«La Croce rossa internazionale conferma che diverse decine di civili, fra i quali molte donne e bambini, sono morte lunedì notte nel corso di un raid aereo americano nell’ovest dell’Afghanistan, nella provincia di Farah. “La nostra squadra ha visto i corpi senza vita di decine di persone, fra le quali donne e bambini”, ha dichiarato una portavoce della Croce Rossa internazionale, Jessica Barry. ”La maggior parte delle case interessate (dal bombardamento) sono state ridotte in macerie. In diversi villaggi ci sono stati dei funerali collettivi”, ha aggiunto. “Uno dei nostri colleghi della Croce rossa afgana è morto nei bombardamenti, e con lui 13 membri della sua famiglia”, ha continuato la portavoce. Tra lunedì e martedì dei violenti combattimenti a terra, cui è seguito un intervento aereo americano, hanno opposto i talebani alle forze di sicurezza afgane e alle forze internazionali nel distretto di Bala Buluk nella provincia di Farah». (Farah, decine di morti in raid aerei, La Stampa on line, 6 maggio 2009).

Ecco, visto come vanno le cose, forse sarebbe giunto il momento di chiederci che cosa stiamo effettivamente facendo laggiù, perché aggiungere i bombardamenti alle sassate non contribuisce né al miglioramento della condizione femminile, né a qualsiasi altro miglioramento.


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