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Commento di Nicola Ferrero

su Il Re è QUASI nudo


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Nicola Ferrero 16 maggio 2019 17:43

La grancassa di sinistra.

Sono singolari – e tutte uguali e disarmanti nella chiosa e risultato finale – queste marchette partorite dai cosiddetti commentatori progressisti che si sentono obbligati (ovviamente per puro conformismo) a fornire il loro piccolo pezzetto alla causa antifascista nei confronti del nuovo Mussolini del millennio, l’attuale ministro degli interni Matteo Salvini. Ognuno, nel suo piccolo, secondo le proprie capacità ed a ognuno secondo i propri bisogni, deve fornire la propria mollichina alla causa comune cercando di demolire la credibilità del suddetto, ridicolizzando i suoi atteggiamenti ed iniziative. La novità di questi ultimi tempi non è l’insulto in se, ma la metodica ridicolizzazione dell’avversario, il ricorso allo sfottò come arma di propaganda, il connubio tra insulto e risata molto in voga in quei di Livorno. Additare qualcuno al pubblico ludibrio è da sempre un’arma efficace di propaganda politica. Ma le pernacchie e le caricature sono sempre state strumenti a disposizione di chi non ha rappresentanza, non la pratica fondante di una forza politica che aspira a diventare maggioranza. Se diventa di massa lo scherno non è più un’arma contro il potere, diventa un’arma del potere. Nessuno sfotte in solitudine. C’è bisogno di un pubblico che assiste, ride, si dà di gomito. La risata di scherno ha il potere di formare il gruppo, di creare una comunità politica, perché addita un nemico comune, un capro espiatorio, un colpevole assoluto, e nel ridicolizzarlo lo fa apparire vulnerabile e disumanizzato. Il ricorso ai nomignoli è la tecnica base. Si inventano soprannomi o si storpiano i nomi veri. E’ un manganello linguistico utilizzato regolarmente dai giornali di destra degli anni cinquanta tipo il Candido e il Borghese, e da opinionisti come Emilio Fede e Marco Travaglio. All’apparenza la tecnica è innocua, perfino simpatica. In realtà non riconoscere all’altro neppure il suo nome è un modo di rifiutare la sua esistenza, per sminuirlo come essere umano. Non so se la violenza verbale prepari o sia un surrogato dell’aggressione fisica. So che negare l’umanità dell’avversario non ha mai portato a niente buono. Quando dall’individuale si passa al generale, l’intenzione si fa palese. Gli avversari da pupazzi si trasformano in mostri, non sono più esseri umani, e soprattutto sono già morti, il che significa che simbolicamente sono già stati uccisi. Che il riso possa scaturire da un istinto di morte è cosa riusaputa. Sul fatto che possa nascere da un sentimento di superiorità l’accordo è generale.

Aristotele: “La commedia è imitazione di persone moralmente inferiori”.

Erodoto: “La commedia è imitazione di persone moralmente inferiori”.

Erodoto: “La risata connota un senso arrogante di superiorità”.

Thomas Hobbes: “La passione di chi ride è l’improvvisa stima di sé che deriva dalla debolezza altrui”.

Charles Baudelaire: “Il riso è satanico, dunque profondamente umano”.

Potrei continuare. E secondo Konrad Lorenz la risata è un’evoluzione rituale della minaccia.

E’ un istinto primitivo che torna a galla. La rinuncia a chiedere risposte complesse.

Il pubblico ludibrio è la forma primitiva del giustizialismo.


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