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su Quali sono le colpe di De Magistris?


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17 marzo 2015 19:11

E.A. Mario, “Capitano, mio capitano!”

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Avevo poco meno di tredici anni, era il 1953, e tremavo come una foglia quando gli porsi quelle prime tre poesie scritte in un dialetto che… lo fece sorridere! Iniziai a chiamarlo maestro, ma lui rifiutò drasticamente tale appellativo e mi disse: “Chiammeme nonno Mario, come gli altri nipoti miei.” Per le poesie mi diede il primo prezioso consiglio:-“Rafilù, leggiti tutto Di Giacomo e poi ne riparliamo.” Così fu. E.A. Mario, il leggendario autore della “Canzone del Piave” e di centinaia di altri successi mondiali (“Santa Lucia luntana”, “Tammurriata nera”, “Core furastiero”, “Canzona appassiunata”, “Le rose rosse”, Balocchi e profumi”, “Funtana all’ombra”, “Soldato ignoto”, “Vipera”, ecc.) aveva incontrato uno scugnizzo che lo adorava e che gli è rimasto accanto fino al 24 giugno del 1961, giorno della sua scomparsa. Io avevo avuto l’onore massimo a cui potessi aspirare: diventare l’allievo prediletto dell’ultimo grande poeta e melodista di Napoli e “nipote ad honorem” del più generoso e galantuomo dei napoletani. E’ stato il mio Maestro, il mio “capitano”!

Già l’anno scorso avevo scritto alla RAI, agli organizzatori del Festival di Sanremo e a tutti i giornali sollecitandoli a cogliere l’occasione del Centenario del primo conflitto mondiale (iniziato nel 1914 anche se l’Italia entrò in guerra il 23 maggio 1915) per onorare E.A. Mario, ma non ho avuto alcun riscontro! Pensai che probabilmente lo avrebbero fatto quest’anno perché appunto fu il 24 maggio del 1915 che le truppe italiane attraversarono il confine austriaco in Trentino e in Friuli. Pertanto dal 2 gennaio scorso ho di nuovo scritto ai giornali, alla RAI e agli organizzatori di Sanremo, sottolineando il valore della sua arte e le tante ingiustizie da lui subite, sopportate e superate con quella regale dignità che ha segnato l’intero corso della sua vita, ma nessuno ha risposto. Ho sperato tanto che lo ricordassero con il giusto risalto riconoscendogli che è stato uno dei “grandi” che hanno contribuito a fare di Napoli quella “capitale di arte, cultura e bellezza” amata e ammirata dal mondo intero. Ha dato all’Italia la “Leggenda del Piave”, l’immortale melodia che accompagnò e sostenne i nostri soldati conducendoli alla esaltante vittoria del 4 novembre 1918. Lo scrisse Armando Diaz nel telegramma che gli inviò: “Mario, la vostra Leggenda del Piave al fronte è più di un generale!” E’ stato, come scrive la figlia Bruna, “il portavoce del sentimento di tutto il popolo italiano” regalando alla Patria un Inno che ancora oggi ci commuove, ci esalta e ci fa sentire orgogliosi di essere figli della grande Italia! E’ stato anche il “Signor Tutto” della canzone, come affermò l’esimio giornalista e scrittore Aniello Costagliola in “Napoli che se ne va”. Coloro che conoscono solo le sue composizioni penseranno che viveva in una meritata agiatezza, e invece non era così. La sua città e l’Italia tutta non hanno saputo tributare a questo figlio dotato di intelligenza e sensibilità non comuni e con una cultura superiore ad ogni laurea, gli onori che avrebbe meritato. In un’altra nazione sarebbe diventato un eroe nazionale. Un’altra città, per i capolavori che E.A. Mario ha lasciato, gli avrebbe eretto una statua al centro della piazza più bella!

Cosa sanno di lui gli artisti che cantano le sue canzoni, i maestri d’orchestra che le eseguono e la gente che le ascolta? Nulla, o quasi! E per lui cosa posso fare io che non ho alcun potere né economico, né politico, né sociale? Nulla, o quasi! Solo “stringere la cinghia” e con quel poco che mi resta del piccolo assegno di pensione pubblicare i ricordi personali di ciò che mi raccontava soprattutto della Leggenda del Piave e del Milite Ignoto e inviare gli opuscoli gratuitamente a tutte le scuole di Napoli e provincia e ad alcune di Catania, dove vivo per amore della mia Francesca. Posso soltanto continuare ad essergli grato per tutto quanto ha fatto per me, pe’ Rafiluccio ‘o scugnizzo che accolse generosamente in casa sua. Posso soltanto continuare a ripetergli che per me resta sempre il mito, il Maestro, il mio più caro e prezioso punto di riferimento, e guardando quella fotografia del 1960 che ci ritrae assieme, continuare a ripetergli, con tutto l’affetto e la riconoscenza del mio cuore: “Capitano, mio capitano”…

Raffaele Pisani

[email protected]


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