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Commento di

su Il flop dei referendum radicali


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6 ottobre 2013 00:07
Non manca proprio niente.

Innanzitutto io non ho tessere di partito e se anche le avessi non mi farei dire dal leader cosa firmare e cosa no. Ho una testa e la uso in modo autonomo, specie per i temi tipici dei quesiti referendari.

In secondo luogo, mi sembra di leggere un discorso un po’ furbo: le vittorie referendarie sono meriti dei radicali, però si conta sull’apporto dei maggiori partiti per la raccolta delle firme, anzi sono responsabili se non si mettono a disposizione.

Delle due l’una: o le vittorie referendarie non sono merito dei radicali ma di tutti quelli che hanno contribuito a portare al voto gli elettori (e i radicali in proporzione sono una parte risibile, senza l’apporto esterno non si raggiunge neanche il numero di firme previsto, come appena dimostrato), oppure se radicali insistono ad attribuirsi meriti esclusivi su vittorie di libertà civile che non hanno combattuto da soli, allora le firme se le possono anche cercare da soli, senza pretendere aiuto esterno che in seguito negano di aver ricevuto.

Il problema è che i radicali usano i referendum come cavallo di battaglia politico, ragione di esistenza, e ne hanno abusato.

La vittoria referendaria su temi caldi (divorzio, aborto...) dimostra chiaramente che quando si pongono quesiti che interessano il cittadino, egli risponde.

Non si possono usare i referendum per fare politica, per farsi notare, sono uno strumento diverso. Non appartengono ai partiti politici, ma al cittadino.

Basta con queste lenzuolate di quesiti che servono solo a ricordare che un partito che rappresenta pochissimi esiste.

Se i radicali sono in cerca di consenso elettorale, usassero strumenti diversi dal referendum, le cui potenzialità stanno rovinando. 

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