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Commento di

su Suicidi: vittime della crisi? Intervista all'antropologo Felice Di Lernia


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14 giugno 2012 11:30

Mmmh, non so. L’idea dell’accelerazione della società, oltre ad essere trita, potrebbe benissimo essere sostituita da molte altre: la perdita progressiva di empatia, il suicidio rituale o il suicidio altruistico, la "patologizzazione" del fallimento, la teoria dei rifiuti e la crisi del consumismo e così via, di cui l’antropologia è stracolma, passando dalla medica alla culturale. 
Inoltre, l’idea della "società tradizionale - lentezza" non mi convince. E’ vero che in una società più piccola, più contenuta e più radicata nella sua tradizione esistono più sistemi di contenimento delle crisi, ma soprattutto per via della vicinanza fra le persone e le reti di solidarietà (e non sempre da considerarsi in termini di altruismo disinteressato), non certo per via della "lentezza" che non è, in questo caso, un valore misurabile perché i cambiamenti non sempre sono strutturali e non riguardano tutti.
Voglio dire: il suicidio è diffuso anche nelle società "tradizionali" come rimedio per una colpa commessa o un’onta subita, allora si potrebbe parlare della colpevolizzazione del fallimento e del suicidio come espiazione e sulla carta sembrerebbe un’idea altrettanto valida. 
Mi sembra molto fuffosa quest’intervista. 


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