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Commento di reza

su Cosa cambierà?


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reza 10 novembre 2008 17:59

Alle recenti elezioni presidenziali americane, l’Iran ha fatto il tifo per Barack Obama, nella speranza che quest’ultimo, una volta eletto, avrebbe adottato una politica differente nei confronti di Teheran rispetto a quella intransigente seguita dal presidente George W. Bush. Tuttavia, il futuro dei rapporti fra Washington e Teheran non dipenderà soltanto dagli orientamenti del nuovo presidente americano – sostiene l’analista egiziano Mustafa el-Labbad – ma anche dalle lobby che ne influenzeranno la politica estera

Fra tutti i paesi del mondo, l’Iran era forse quello che con più ansia attendeva l’esito delle elezioni presidenziali americane. Gli iraniani, senza dubbio, hanno pregato per la sconfitta del candidato repubblicano John McCain, e per la disfatta delle politiche e delle ideologie che egli appoggiava. Per Teheran, McCain era soltanto un altro falco neocon che voleva porre fine al programma nucleare iraniano, ed intralciare le ambizioni regionali della Repubblica islamica. La vittoria di Obama potrebbe portare invece ad una politica USA più realistica – forse perfino a dei negoziati che rafforzino il ruolo regionale dell’Iran.

La preferenza iraniana per un candidato democratico è una novità. Fino alle elezioni presidenziali americane del 2000, Teheran aveva appoggiato i presidenti repubblicani, che sono noti per i loro stretti legami con la lobby petrolifera.

I rapporti fra gli USA e l’Iran sono stati instabili negli ultimi cinque o sei decenni. Il periodo fra il golpe del 1953 e la rivoluzione del 1979 rappresentò una fase di stretta cooperazione. Ma dopo la rivoluzione, i rapporti fra i due paesi hanno oscillato fra la dura acrimonia e l’aperta ostilità, con gli americani che avevano marchiato l’Iran come membro del cosiddetto ‘asse del male’, e gli iraniani che continuavano a scagliarsi contro il ‘Grande Satana’ americano.

Malgrado tutte le differenze ideologiche, gli interessi di Washington e Teheran convergono su diverse questioni cruciali. Eppure le relazioni fra i due paesi si guastarono dopo il 1979, in gran parte a causa di Israele. L’Iran si è vigorosamente opposto agli sforzi di pace tra i paesi arabi ed Israele, ritenendo la nascita di un Medio Oriente guidato da Israele come una minaccia al suo ruolo regionale. Allo stesso modo, Israele ha fatto naufragare ogni tentativo di riavvicinamento fra Teheran e Washington, ancor più vigorosamente dopo l’invasione dell’Iraq.

Con Menachem Begin, Israele aveva cercato la cooperazione con i paesi situati ai margini del mondo arabo, come l’Iran, la Turchia e l’Etiopia. Ora, Israele sta cercando di portare l’India dalla sua parte nel tentativo di accerchiare l’Iran, che si è dimostrato più caparbio, nella sua opposizione alle politiche israeliane, rispetto a molti paesi arabi. Teheran, nel frattempo, sta chiamando a raccolta l’opposizione al Grande Medio Oriente, dall’Iraq alla Palestina. Il successo della linea intransigente dell’Iran – sostengono alcuni – potrebbe alla fine obbligare Washington a cercare qualche formula di intesa con Teheran.

Gli americani, dal canto loro, hanno solo due opzioni: colpire militarmente l’Iran, o aprire un dialogo. Ogni speranza – che Washington può aver coltivato finora – di giungere ad un rovesciamento del regime iraniano dall’interno sembra ormai essere svanita. I gruppi dell’opposizione iraniana sono semplicemente incapaci di sfruttare la situazione regionale ed internazionale per scalzare il regime. E con George Bush ormai sul punto di lasciare il proprio incarico, le speranze di un doppio contenimento dell’Iraq e dell’Iran stanno svanendo.

Polverizzando i Talebani, e poi rovesciando Saddam, Washington ha reso più potente il regime iraniano. Per la prima volta dall’indipendenza irachena, i sostenitori dell’Iran siedono in forze nel parlamento iracheno. Semmai, ciò dovrebbe fornire agli americani una ragione ulteriore per dialogare con Teheran. E gli iraniani non possono aspettare. La loro opposizione ideologica nei confronti di Washington è solo un modo per alzare la posta in un gioco di rivalità geopolitiche.

Gli sforzi volti a determinare un riavvicinamento nelle relazioni irano-americane sono già in corso. La lobby petrolifera all’interno degli Stati Uniti è un importante sponsor dell’American-Iranian Republican Council, un gruppo guidato da espatriati iraniani che hanno stretti legami con il regime, ma anche con responsabili dell’attuale e delle precedenti amministrazioni USA. Fin dalla sua fondazione nel 1997, questo gruppo ha lavorato a varie iniziative per promuovere la cooperazione fra i due paesi.

In qualsiasi futuro dialogo, gli americani esorteranno l’Iran ad adottare una posizione più morbida nei confronti di Israele. All’Iran verrà chiesto di moderare la propria retorica, probabilmente ad un livello analogo a quello adottato dal Pakistan o dalla Malaysia. In altre parole, ci si aspetterà che Teheran possa criticare Israele in qualche occasione, ma che in generale eviti di contrapporsi apertamente allo stato ebraico, o di aizzare gruppi alleati contro di esso. Se un compromesso di questo genere dovesse essere raggiunto, è probabile che l’Iran giungerebbe ad una ridefinizione della propria sicurezza nazionale, concentrandosi sul Golfo e sul Mar Caspio piuttosto che sull’intero Medio Oriente.

Attualmente, l’ostacolo principale ad un compromesso politico fra Washington e Teheran è rappresentato da Israele e dai suoi sostenitori all’interno del complesso industriale e militare americano, mentre i principali fautori di un riavvicinamento sono i membri della lobby petrolifera americana. Gli iraniani hanno fatto il tifo per Obama, ma il futuro dei loro rapporti con Washington non dipenderà soltanto dal presidente, ma dai gruppi di pressione che influenzano la sua opinione in politica estera.

Mustafa el-Labbad è un analista politico egiziano, esperto di questioni iraniane; é direttore dell’ East Center for Regional and Strategic Studies, con sede al Cairo


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