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Stragi in famiglia: perché non chiamarli Killer?

Un’ennesima strage in famiglia. Un uomo ha aggredito le figlie, una di 12 e l’altra di 14 anni. La più piccola è deceduta e la più grande è stata sottoposta ad un delicato intervento per ripararle l’arteria mammaria recisa da una coltellata. Nell’altra stanza dormivano gli altri figli, un ragazzo di 17 anni e l’altro di 22. Il più grande che è arrivato in soccorso delle sorelle ha avuto una colluttazione con il padre ma non è grave. L’uomo dopo il gesto ha tentato il suicidio.

Dai giornali si apprende poco sulle motivazioni di un gesto così difficile da interpretare. Tuttavia, negli ultimi mesi, crescono in maniera esponenziale le stragi in famiglia che vedono come vittime i bambini. 

E’ assolutamente assurdo giustificare o porre una spiegazione, se non su basi sociologiche, di un gesto del genere. Tuttavia è naturale chiedersi “Quale genitore che ama un proprio figlio può fargli del male?”.

Scelgo però di non entrare nel merito della vicenda ma vorrei analizzare il linguaggio che i giornali hanno utilizzato nel trattare questa brutta storia.

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Libero parla di raptus di gelosia. Un termine che non significa assolutamente nulla se non per giustificare e porre un’attenuante al gesto come si fa spesso nei Tribunali. 

Questo screenshot viene da Sussidiario che sebbene non fosse un giornale di rilievo come la Repubblica mi ha colpito come ha trattato la vicenda.

Già dal titolo si individua la colpa nella moglie, responsabile di aver aperto una crisi famigliare abbandonando un uomo già fragile da un recente licenziamento. 

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Da fonti più autorevoli si apprende che la donna se n’era andata via di casa lasciando l’uomo a causa del tradimento nei confronti della donna.

Certo, si tratta di cronaca giornalistica ma è molto grave sottintendere l’idea che una moglie dovrebbe perdonare un tradimento o non dovrebbe mettere fine ad una relazione per non mettere in crisi la famiglia. O peggio: per non indurre i mariti a uccidere.

L’idea della donna come responsabile della cura e come colei che deve sopportare è talmente radicata nella nostra società che nemmeno mi sorprende se i titoloni del giornale abbiano dato piena responsabilità all’abbandono della moglie giustificando questo Medea al maschile.

 

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Poi scopro che questo modo di trattare la notizia non è stato adottato solo da giornali di secondo livello. L’AGI, che sappiamo tutti essere l’Agenzia Giornalistica Italiana, ha prima cercato un ipotetico movente, la solita gelosia che ha sconvolto l’uomo, abbandonato dalla moglie snaturata che se ne è andata via di casa e lo ha lasciato solo a mantenere e prendersi cura di quattro figli.

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“Ancora un padre che, in casa senza la moglie,…”. Che ci faceva la moglie fuori casa? Che orrore, un’altra donna che non era in casa ad adempiere il suo ruolo di moglie e madre! Questi padri da soli sono inaffidabili!

Così Alto Adige.gelocal e Messaggero Veneto, allo stesso modo, evidenziano il fatto che la moglie non solo era assente ma lo aveva pure lasciato. E inoltre era disoccupato. Che altro poteva fare?

La disoccupazione e l’abbandono possono giustificare un omicidio? Perché una persona che ammazza un membro della famiglia, a maggior ragione se è un minore, non viene chiamata con il nome appropriato di assassino/a?

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Non se ne parla. Se si tratta di un omicidio che avviene tra le mura domestiche ecco che compare il solito paragrafo obbligatorio che sottolinea la dedizione e l’affetto dell’assassino verso la famiglia. E meno male che era innamorato, se avesse odiato la famiglia cosa avrebbe fatto?

 

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Leggo lo pone perfino nel titolo: Disoccupato e lasciato dalla moglie, dando una giustificazione e scaricando ad altrui la responsabilità di questo atroce delitto. Un bravo genitore può ammazzare i figli per questi motivi?

 

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Online-news.it apre l’articolo in questo modo. L’Italia del dolore, un titolo da narrazione melensa, con in evidenza le ragioni del gesto in un climax ascendente che descrive il culmine che ha portato al massacro.

Insomma, la moglie stronza non solo lo ha mollato, ma se ne è andata lasciandolo solo malgrado fosse senza lavoro. Lo sfortunato uomo ha compiuto quel gesto a causa della sua immensa sfortuna che lo aveva travolto. Un turbine che lo ha fatto sprofondare nel baratro più profondo della disperazione, fino a perdere il lume della ragione. Un articolo che fa un baffo alla narrazione mitologica di Medea.

Il Corriere della sera scrive così:

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La moglie ha scatenato in lui il sentimento della gelosia fino ad indurlo ad armar la propria mano. Insomma è colpa della moglie che lo ha lasciato e non solo se ne è pure andata di casa.

Sono le donne cattive ad amare la mano a questi poveri padri fragili. Queste sono le dichiarazioni espresse dal Corriere che inoltre, tramite le testimonianze dei vicini, definisce l’assassino come un bravo padre e un buon lavoratore, legato alle famiglia ma che purtroppo ha perso il lavoro e anche la moglie (due caratteristiche del maschio alfa ndr.).

Ricciocorno Schiattoso sottolinea la retorica della cattiva madre/moglie, “teorie” che emergono dalle dichiarazioni di vicini di casa, testimoni, genitori dell’assassino in numerosi articoli nazionali nel descrivere fatti di cronaca che coinvolgono come vittime figli o mogli fatti a fettine da parte di mariti, ex mariti, conviventi o ex conviventi. Anche noi ne parlammo nel caso di Motta Visconti, Melania Rea (dove addirittura in tribunale si parlò di moglie dal carattere troppo forte) e altri casi di cronaca descritti dai giornali nel medesimo modo.

Mogli che secondo la nostra società non sono abbastanza succubi e dunque sono la causa della reazione violenta dei propri compagni.

Intanto altre fonti annunciano l’incremento degli “infanticidi” in famiglia aprendo uno scenario che rivela che “Medea” non ha sesso:

Il 17 agosto 2014 Luca Giustini, ferroviere di 34 anni, ha assassinato la figlioletta di 18 mesi con cinque coltellate a Collemarino (Ancona). Dice di aver agio per opera di Dio.

Il 18 luglio 2014 Massimo Maravalle, 47enne informatico, nella notte ha soffocato con un cuscino il figlio adottivo di origine russa di 5 anni nella casa di via Petrarca, a Pescara, mentre la moglie dormiva. Pare non accettasse l’idea della separazione.

- Il 9 marzo 2014 – Edlira Dobrushi, casalinga di 37 anniuccide a Lecco con novanta coltellate le sue tre figlie di 3, 10 e 13 anni cercando poi di tagliarsi le vene, ma senza riuscirci. Il movente dietro la vicenda? Il marito l’aveva lasciata per un’altra donna.

- Sempre nel marzo 2014 a Cosenza Daniela Falcone, 43 anni, ha ucciso il figlio undicenne e poi ha tentato il suicidio. Pare che l’assassina abbia ucciso il figlio perché litigava con il marito a causa dei tradimenti di lui che durante una lite le ha confessato la donna con la quale aveva una relazione extraconiugale era rimasta incinta. 

L’11 febbraio 2014  Michele Graziano, 37 anni, ad accoltellare a morte i suoi bambini, Elena di 9 anni e Thomas di 2 anni, avuti con due donne diverse, per poi tentare il suicidio nella sua casa a Giussano (Monza e Brianza).

Genitori che non meritano alcuna comprensione. Gente che senza pietà ammazza i propri figli e congiunti, ma che nessun giornale dà loro il nome di killer o assassini ma li giustificano perché la famiglia è sacra. 

 

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