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Le scuole paritarie e la Costituzione tradita

di Adele Orioli

In questi giorni si fa un gran parlare di scuola, o meglio di scuole. No, ancora presto per gli immancabili servizi del tg sull’inizio a settembre del nuovo anno, tra grembiuli e caro-libri, ma gli spunti non mancano. Uno ci è offerto dal caso dell’insegnante di una scuola paritaria di Trento alla quale sembrerebbe non sia stato rinnovato il contratto perché lesbica (o quantomeno non desiderosa di spiegare e giustificare la sua vita sessuale con la direttrice scolastica). Vicenda che parrebbe aver scoperchiato, almeno in minima parte, la realtà delle scuole paritarie, di norma ad appartenenza confessionale (di norma, quella cattolica) e fortemente indirizzate ideologicamente, al punto da porre il dubbio se la loro equipollenza con gli istituti pubblici (e il loro foraggiamento) siano, e in che misura, congruenti con il nostro ordinamento costituzionale.

Un altro episodio che ancora lascia strascichi di polemiche riguarda l’impossibilità per il Comune di Bibiana, in provincia di Torino, di aprire una scuola per l’infanzia. E questo per merito di una brillante legislazione regionale, introdotta nel 2013 dal precedente governatore leghista Roberto Cota, che prevede il nulla osta della paritaria già esistente per l’apertura di un “ulteriore” istituto comunale. In realtà, il caso non è isolato: sono sei i comuni piemontesi che negli ultimi mesi si sono visti negare da un ente privato, seppur destinatario di fondi statali, la possibilità di istituire una scuola pubblica. Recita infatti la normativa che “non dovrà essere determinata riduzione, in termini di sezioni, dell’offerta formativa esistente nelle scuole paritarie”. Per dirla in altri termini, non sia mai che una scuola comunale con la sua presenza possa fare troppa concorrenza a quella parificata (che richiede il pagamento di una retta, spesso onerosa) con il conseguente rischio di sottrarle alunni. In nome di un contorto e malato senso della garanzia di libertà di scelta si impedisce a famiglie ed alunni l’accesso a strutture laiche gratuite e pubbliche, per favorire (e finanziare) solo quelle parificate (sistematicamente di matrice cattolica).

Forte lo sdegno generale nello “scoprire” questa normativa piemontese, anche se i “responsabili” adducono a discolpa come la ratio fosse quella di non sprecare soldi pubblici in mancanza di offerta formativa satura (e quindi il potere se spenderli o meno lo si mette in mano a privati: non fa una piega). L’attenzione mediatica arriva meglio tardi che mai, così come è auspicabile che di questi argomenti (e storture) se ne parli più spesso. Altrettanto auspicabile sarebbe che le autorità competenti si muovessero per porre rimedio. E quale maggiore istituzione se non il Ministro dell’Università e Ricerca, Stefania Giannini? Eh, infatti.

Sull’insegnante di Trento il Ministro ha dichiarato che dopo “un confronto chiaro e doveroso con le parti coinvolte” si agirà con “la dovuta severità” nel caso venissero riscontrate discriminazioni. Staremo a vedere: certo è che il Ministro non può fingere di ignorare, o di accorgersi solo adesso, di come nelle scuole religiosamente orientate il rischio di discriminazioni sia più alto che in altri ambiti: nel caso di contrasto tra i valori strettamente religiosi e quelli laici condivisi è ovvio che, proprio per la stessa natura della visione confessionale, siano questi ultimi a soccombere. Evidente il Giannini-pensiero lo è però nelle dichiarazioni a proposito del caso di Bibiana, che confermano peraltro precedenti affermazioni sul tema della parità scolastica. Non si tratta per il Ministro infatti di discriminazione: è invece una “reazione, inadeguata nel metodo ma motivata dalle difficoltà crescenti di sopravvivenza che molte paritarie in Italia stanno vivendo”.

Insomma qui il problema non è di uno stato che abdica non solo dalla propria facoltà, ma dal proprio dovere di garantire quella scuola gratuita e aperta a tutti dell’art. 34 Cost. per consegnarlo spontaneamente a soggetti privati religiosamente orientati (nella fattispecie in mano alla Federazione italiana delle scuole materne, che raggruppa le scuole cattoliche). Il problema sarebbe infatti che le paritarie soffrono della crisi. Qui il succo del discorso non è dato dal rovesciamento dell’articolo costituzionale di cui sopra (che vede scuole di soggetti privati libere di esistere senza oneri per lo stato), bensì dall’importanza di dover mettere fine (e per ora nulla il Ministro ci dice sul come) alla “situazione di grave difficoltà economica che vivono le scuole paritarie in alcune regioni” e alla “impropria battaglia, tutta e solo italiana, fra statale e non statale“.

Forse anche perché non più la commistione, ma ormai la decisa preferenza anche economica, per l’istruzione parificata rispetto a quella pericolante, in tutti i sensi, della scuola pubblica, è una peculiarità tutta italiana. In ogni caso, aspettiamo gli sviluppi. Chissà se a settembre i 29 bambini di Bibiana avranno la loro scuola, chissà se l’insegnante di Trento avrà trovato una nuova occupazione. Probabilmente non se ne parlerà più. Il Ministro adesso però ci assicura l’impegno a eliminare “i veti incrociati fra pubblico e privato (…) frutto marcio di una stagione passata”. Speriamo che i prossimi, di frutti, non siano direttamente avvelenati.

 

 

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