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Padoan ed il campo minato della flessibilità

Palrando ieri davanti alla Commissione problemi economici e monetari dell’Europarlamento, il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha tentato di precisare ulteriormente il concetto di “flessibilità” con cui l’Italia ha sinora frantumato i cabbasisi dalle parti di Bruxelles senza ottenere alcunché. Ma siamo solo all’avvio del processo di persuasione, quindi non disperate. Soprattutto, Padoan oggi ha modificato la definizione di flessibilità, giocandosi il jolly.

Intanto, scusate la pignoleria ma continua a non esserci chiaro quali siano le “riforme strutturali”. Diremmo che certamente lo è il ddl delega sul lavoro, al momento in alto mare parlamentare e di conseguenza sufficientemente indeterminato da non poter essere presentato in Europa come evento epocale. Altro? Al momento non ci verrebbe in mente null’altro, anche perché è molto difficile andare a Bruxelles a dire che l’eliminazione del bicameralismo perfetto è “riforma strutturale” suscettibile di ricadute economiche, malgrado quanto si favoleggia in giro sulla “accelerazione” del processo legislativo che da tale riforma conseguirebbe.

E quindi? Padoan ha declinato la casistica di flessibilità secondo due grandi affluenti, uno domestico/endogeno ed uno più esogeno (in senso lato), che sarebbe il coniglio dal cilindro. Tutto prende le mosse dal fatto che, nel secondo trimestre, l’economia tedesca è destinata a non brillare, come comunicato ieri dalla Bundesbank, e quindi Padoan è preoccupato di perdere il treno e la locomotiva. Ecco quindi il jolly:

Per flessibilità, ha detto il ministro Padoan, l’Italia intende una cosa precisa: da un lato l’inclusione delle riforme strutturali nella valutazione della situazione del paese nel definire le raccomandazioni, dall’altro il ruolo delle circostanze eccezionali. “Il fatto che le riforme diano benefici più avanti nel tempo rispetto ai costi immediati, condizioni macroeconomiche generali molto sfavorevoli, con una crescita molto bassa in termini nominali come in termini reali, sono tutte circostanze eccezionali” di cui occorre tenere conto (Radiocor, 22 luglio 2014)

Bingo. Quindi, riepilogando: se facciamo le riforme strutturali (ma restiamo ambigui su quello che consideriamo “riforma strutturale”, per timore che qualcuno ci prenda a pernacchie sul Senato) avremo nel breve periodo dei costi netti, e per quel motivo chiediamo di allungare i tempi per il pareggio strutturale. Ma (e qui sta la novità) se la congiuntura dovesse peggiorare, vogliamo parimenti un allungamento dei tempi verso il pareggio strutturale di bilancio. La richiesta ha un senso, visto che la posizione di politica fiscale di un paese si misura in termini di variazione del saldo strutturale di finanza pubblica.

Quindi diciamo che il governo italiano chiede che si metta almeno la parola fine sulla mitologica “austerità espansiva”. Se nel 2015 dovessimo essere in recessione o comunque in condizioni di “crescita recessiva”, cioè da prefisso telefonico, e non solo noi ma tutta l’Eurozona, ecco che ci opponiamo ad una stretta fiscale che porti il saldo strutturale di finanza pubblica da un deficit dello 0,5% allo zero. Ovviamente, se il resto d’Eurozona cresce diciamo all’1% e noi allo 0,1% ecco che diviene assai difficile invocare le “condizioni macroeconomiche generali molto sfavorevoli”. Forse a Padoan (e a Renzi) conviene sperare in una euro-recessione “strutturale”, chissà.

Bene, prendiamo atto di questa novità, e attendiamo le reazioni. Resta il fatto che, se una cosa del genere dovesse passare, sarebbe misura ovviamente difensiva e non espansiva, nel senso che (forse) si impedirebbe una manovra prociclica di politica fiscale ma non si avrebbe comunque un impulso anticiclico. Piuttosto che niente, meglio piuttosto. Ma il fatto che Padoan ora abbia esplicitamente ed ufficialmente aggiunto alle casistiche di flessibilità il rallentamento dell’Eurozona oltre alle nostre sarchiaponiche “riforme strutturali” indica che il ministro dell’Economia si prepara ad andare in trincea, quest’autunno. Resta da capire se tutti questi bersagli mobili e queste ridefinizioni in corso d’opera verranno comprese e -soprattutto- gradite dai nostri intelocutori europei. Solo un piccolo inciso: è opportuno rimarcare lo strabismo di avere sia un target di deficit-Pil assoluto (il 3%) che uno strutturale (il cosiddetto MTO, Medium Term Objective). La combinazione risulta del tutto tossica quando un paese non cresce.

Come che sia, ed al netto di italiche astuzie contro le quali in Europa sono ormai vaccinati, il percorso resta maledettamente stretto. E pure minato.

 

Foto: lamiaideapercasatua/Flickr

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