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Dal conflitto territoriale a quello razziale

Le prospettive sono agghiaccianti. E non sto parlando della Palestina.

Alla fine di una manifestazione filopalestinese convocata a Parigi, un gruppo di qualche centinaio di persone, al grido di “morte agli ebrei” (juifs in francese vuol dire “ebrei”, non “israeliani”) si è avvicinato pericolosamente ad una delle vecchie sinagoghe della città francese, dove si stava svolgendo una cerimonia funebre per i tre ragazzi israeliani uccisi. Gli ebrei - non “israeliani” - si sono dovuti chiudere dentro e attendere l’arrivo della polizia che si è scontrata con i manifestanti.

Commento a cavallo tra l'agghiacciante e il demenziale del responsabile del coordinamento delle comunità islamiche milanesi, Davide Hamza Piccardo: "ebrei, è finita la pacchia".

Non so in quale pacchia siano vissuti "gli ebrei" negli ultimi duemila anni, ma se lo dice lui...

Comunque siano andate le cose in questi giorni, la caccia all’ebreo è indiscutibilmente diventata piuttosto comune in Francia dove vive una imponente comunità di origini arabe e islamiche (cinque milioni) ed una consistente comunità ebraica (500mila). Sono molti gli ebrei aggrediti e mandati in ospedale. Qualcuno è stato ucciso, basti ricordarsi del giovane Ilan Halimi o dei quattro morti (tre bambini) della scuola di Tolosa, due anni fa; o dell'attentato al museo ebraico di Bruxelles (quattro morti) il cui esecutore veniva da Parigi

Nella sola Francia, nel corso del drammatico 2009 (sono dati del CFCA, Coordination Forum for Countering Antisemitism), ci furono la bellezza di 631 azioni contro ebrei, quasi due al giorno di media. Quello fu l’anno dell’operazione Piombo fuso, la guerra di Gaza. Gli ebrei francesi (non si parla di israeliani, repetita juvant) ne subirono indirettamente le conseguenze.

E Haaretz oggi ci informa che nei primi tre mesi dell'anno sono emigrati dalla Francia, con méta Israele, più ebrei che in tutti gli anni precedenti a partire dal 1948.

E ieri, di nuovo a Parigi, scontri violenti tra manifestanti e polizia; e la sinagoga colpita dal lancio di molotov. Rue de Rosiers, la via della comunità ebraica, è stata presidiata dalla polizia e dalla "Ligue de défense juive" (che a sua volta non scherza quanto a capacità di provocazione).

La colpa, si dirà, è del sostegno ebraico alla politica israeliana. Perché gli ebrei si riconoscono dalla kippà e chi porta la kippà è in genere un ebreo osservante; che sono quelli più vicini a Israele (ma non è affatto detto, in questi giorni si sono viste molte foto di ebrei della setta Neturei Karta da sempre avversi al sionismo e allo Stato di Israele). E con questo si sgombra il campo da qualsiasi dubbio, da qualsiasi perplessità. Se è ovviamente lecito e legittimo manifestare contro le politiche israeliane, ora sta diventando legittima pure l'idea di aggredire gli “ebrei”, anche quando non sono israeliani.

E qui si viene al dunque. Perché colpire un ebreo in quanto ebreo si chiama razzismo. Anche quando l'aggressione viene giustificata con motivazioni politiche.

Come definireste l’uccisione di un arabo perché arabo? Razzismo, non è vero? Eppure un arabo potrebbe essere facilmente, soprattutto se usa vesti tradizionali ed esce da una moschea, un filopalestinese. Cioè un “nemico” per certi filoisraeliani.

La logica di assalire gli “ebrei” si potrebbe quindi ribaltare nel suo contraltare speculare e diventare una brutale caccia all’arabo dalle conseguenze imprevedibili e potenzialmente devastanti.

Ne abbiamo avuta un'avvisaglia con l'uccisione dei tre ragazzi israeliani e la ritorsione contro un ragazzino palestinese; ma si potrebbe sostenere che queste morti sono l'ulteriore imbarbarimento di un conflitto già ampiamente atroce. La questione prende un altro colore se supera quei confini.

Importare nel cuore dell’Europa il conflitto israelo-palestinese, riempiendolo di contenuti manifestamente razzisti, aprirebbe davvero le porte dell’inferno, come amano dire con supponente arroganza i dirigenti di Hamas o di Israele nel corso del loro storico conflitto.

Il rischio è altissimo, ma non sembra che ci si sia ancora resi conto di quello che potrebbe essere un conflitto razziale nel continente che, per le sue origini culturali e religiose notoriamente intolleranti, li ha generati uno dopo l'altro nel corso della sua storia bimillenaria.

Così si ritiene logico e giustificabile manifestare davanti alle sinagoghe, come se fossero le ambasciate di Israele, aggredire uomini con la kippà e dire "finita la pacchia per gli ebrei", senza rendersi conto di cosa si sta preparando. Poi, prima o poi, qualcuno reagirà.

E le prospettive potrebbero diventare agghiaccianti. Anche senza parlare di Palestina.

 

Foto: Twitter di Stephane Jourdan, report di Afp. L'immagine è stata scattata durante la manifestazione di sabato scorso. 

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