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Campi Nomadi SpA, il rapporto sugli sprechi del sistema campi a Roma

A un mese dalla prima presentazione, l’Associazione 21 Luglio ieri ha nuovamente proposto, presso la Sala Rossa del Municipio VII di Roma, il rapporto “Campi Nomadi SpA”, sui costi del "sistema campi" nella Capitale per l'anno 2013.

"Segregare", "marginalizzare", "escludere", sono verbi dispendiosi se coniugati alla terza persona plurale. Loro, i Rom, soggetti di un’eterna emergenza securitaria, capri espiatori delle frustrazioni di una città che arranca e di un paese in crisi, subiscono da sempre una dialettica pubblica e politica che li dipinge come portatori di una cultura irriducibilmente aliena, di una sub-umanità corrotta da combattere e allontanare. Col plauso trasversale della cittadinanza, che nella diffidenza verso i Rom ritrova una comunione di valori che trascende l’appartenenza politica, le famiglie nomadi vengono espulse dai recinti ferroviari, dalle tangenziali, dai luoghi dove si tessono le reti della socialità e dell’integrazione, per essere ricollocati all’interno di “campi attrezzati”, lontani dai servizi e da ogni speranza di integrazione.

Ma conviene davvero rinunciare a ogni tentativo di inclusione e di comprensione e limitare l’intervento pubblico alla costruzione di nuovi campi nomadi? Al di là di ogni considerazione etica e di diritto, è economicamente razionale ridurre tutto al lessico della segregazione? Il Rapporto dell’Osservatorio 21 Luglio dice di no, fornendo dati e cifre sorprendenti.

Nel solo 2013, il Comune di Roma ha speso 24 milioni di euro per concentrare i Rom nei cosiddetti “Villaggi della solidarietà” e nei “Centri di raccolta Rom” e per sgombrare gli insediamenti informali, che sorgono a macchia di leopardo in assenza di soluzione abitative alternative. I campi ufficiali formano un vero e proprio “sistema” all’interno del quale operano 35 enti pubblici e privati e 400 addetti, che usufruiscono dei fondi comunali in assenza di gare di appalto e bandi pubblici. Gli incarichi e i finanziamenti vengono quasi sempre erogati direttamente ai soggetti individuati dal governo cittadino. L'86,4% dei 24.108.406 di euro spesi dal comune nell’ultimo anno per occuparsi dell’”emergenza” e provvedere a circa 8000 persone di cultura ed origine Rom (ma spesso di cittadinanza italiana), per la metà bambini, è stato impiegato per la gestione dei campi e per le attività di controllo e sicurezza all’interno degli stessi. Solo il 13,2% dei fondi è stato indirizzato agli interventi di scolarizzazione e un misero 0,4% alle iniziative volte all’inclusione sociale dei Rom.

Prendendo in considerazione solo gli 8 “villaggi della solidarietà” presenti sul territorio del comune, si calcola una spesa di oltre 16 milioni di euro annui, sacrificati alla segregazione ed al controllo di 4391 persone. Numeri molto bassi, se considerati in rapporto alle dimensioni di una città come Roma. Il solo Campo di Castel Romano, un terreno recintato sulla via Pontina a 25 chilometri dal centro, dove vivono meno di mille persone in container che cadono a pezzi, assediati in estate dal sole, è costato più di 5 milioni di euro in un anno. Se sommati ai costi degli anni precedenti, si ottiene un totale di 270,000 euro a famiglia, dal 2005 a oggi. Il valore di una villetta a due piani con garage e giardino, nella stessa zona della provincia. Ma la spesa pro-capite più alta si registra nel campo di Via Amarilli, nella zona orientale di Roma. Nel 2013, a fronte di un investimento per l’inclusione sociale di zero euro (zero, come la tolleranza), il Comune ha sborsato 906 euro al mese per ogni ospite della struttura, dove risiedono 130 persone.

E poi il capitolo degli sgombri forzati, quelle azioni condotte al mattino dalle forze dell’ordine per radere al suolo baracche di assi e di plastica dove intere famiglie dormono e trovano rifugio. Case di fortuna che resistono agli elementi fino al giorno in cui le urla dei poliziotti anticipano il rumore delle ruspe. Sempre nell'ultimo anno, per spostare da un punto all’altro della città 1200 rom, con 54 azioni di sgombero, il Campidoglio ha sottratto alle casse comunali quasi due milioni di euro. Cifre a sei zeri per spostare il problema qualche chilometro più in là, prima di ricominciare, ancora una volta: urla e rumore di ruspe.

A chi vanno, tutti questi soldi? I destinatari sono diversi, ma sono il Consorzio Casa della Solidarietà e Risorse per Roma a spartirsi la fetta maggiore con 4.242.028 e 3.757.050 di euro intascati ogni anno, rispettivamente. Tutti gli altri si accontentano, si fa per dire, di sovvenzioni comprese tra i 100,000 e i due milioni di euro. Uno spreco evidente, se si considera che queste cifre non hanno portato a nessun miglioramento della situazione, né per i rom, né per la cittadinanza, inferocita per la presenza dei campi e per gli episodi di microcriminalità che la marginalizzazione in alcun modo contribuisce a ridurre.

Il rapporto rilancia la necessità di “superare” il sistema campi e di impiegare le risorse disponibili in modo più efficace e produttivo, sia sul campo della sicurezza che su quello, altrettanto basilare, dei diritti. Le alternative esistono, sono già disponibili, ma occorre una inversione di tendenza generale nell’approccio al problema, da parte dei cittadini e da parte degli amministratori chiamati a risolverlo. Un cambio di rotta nell’interesse di tutti, rom compresi, in buona parte italiani e cittadini al pari degli altri.

Tra le soluzioni proposte dall’Associazione 21 luglio, c’è un progetto di autorecupero che coinvolgerebbe famiglie italiane, rom e immigrate, accomunate dal disagio abitativo. Il progetto prevede l’individuazione di alcuni edifici, tra i 1200 ettari di immobili inutilizzati presenti sul territorio della città, e la loro ristrutturazione ad uso abitativo. Progetti similari, realizzati a Padova e Messina, hanno dimostrato che si può offrire un alloggio dignitoso ed una possibilità di integrazione spendendo, per ogni famiglia di 5 persone, una cifra compresa tra i 10 e i 50 mila euro in cinque anni. Un terzo di quello che il Comune di Roma spende per confinare una famiglia di dimensioni analoghe nel campo della Barbuta, a ridosso del Raccordo Anulare.

Ci sono strade da percorrere dunque, ma bisogna avere la forza di imboccarle anche quando non offrono un ritorno in termini elettorali. “Segregare, concentrare e allontanare i rom ha un costo altissimo che Roma non può e non deve più permettersi – afferma l’Associazione 21 luglio. Chiediamo pertanto all’amministrazione un impegno concreto volto a mettere la parola fine alla ‘politica dei campi’ e al ‘sistema’ che vi si cela dietro e a riconvertire le risorse in progetti di reale inclusione sociale a beneficio di cittadini rom e non. È quanto mai urgente, quindi, che il sindaco Marino intervenga per sospendere il progetto di rifacimento del nuovo ‘campo’ in via della Cesarina, che l’Assessorato alle Politiche Sociali intende realizzare nei prossimi mesi e che andrebbe a incidere significativamente sulle spese previste nel 2014 per il ‘sistema campi’”. 

Sulla questione rom, il sindaco Marino ha l'occasione di dare prova della propria lungimiranza.

 

Foto: Associazione 21 luglio

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