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 Home page > Tribuna Libera > Cessate il fuoco a Gaza: perché Hamas ha rifiutato la tregua

Cessate il fuoco a Gaza: perché Hamas ha rifiutato la tregua

Ieri sera, poche ore dopo aver accettato la proposta di cessate il fuoco formulata dall’Egitto, Israele ha ripreso i raid sulla striscia di Gaza. La tregua è caduta sotto i colpi dei razzi palestinesi, una cinquantina in tutto, che hanno continuato a sorvolare il confine israeliano senza provocare vittime. Hamas ha infatti rifiutato la proposta di tregua, sostenendo di non essere stato coinvolto nella trattativa intavolata dagli emissari del generale Al-Sisi. In serata, poco prima che gli attacchi aerei riprendessero, il vice-Ministro degli Esteri israeliano Danny Ayalon ha commentato: “Se Hamas non accetterà la tregua entro le nove prevedo che l’IDF deciderà di effettuare un intervento di terra nella Striscia ”.

Mentre le diplomazie sono al lavoro per scongiurare una escalation che porterebbe ad un drammatico inasprimento de conflitto e ad un aumento delle vittime civili, molti puntano il dito contro Hamas accusandolo di aver rifiutato una proposta che avrebbe potuto fermare le bombe.

Quali sono state le motivazioni del rifiuto del gruppo fondamentalista?

Prima di tutto vanno analizzate le circostanze di contesto. La proposta di tregua è arrivata dall’Egitto, alleato forte di Hamas ai tempi della presidenza Morsi ma che oggi, dopo la salita al potere del Generale Al-Sisi e la messa al bando del movimento dei Fratelli Musulmani da cui Hamas deriva, porta avanti relazioni molto turbolente con il gruppo palestinese. Nel 2012, in circostanze simili, Hamas aveva accettato una proposta egiziana di cessate il fuoco, ma allora Morsi poteva contare sulla comune appartenenza alla Fratellanza. La scarsa fiducia nel vicino egiziano si somma alla forte diffidenza verso i negoziatori stranieri, l’americano John Kerry e l’inviato dell’Unione Europea Tony Blair, considerati troppo vicini al nuovo regime del Cairo e a Netanyahu.

Non è chiaro se i palestinesi di Hamas siano stati effettivamente consultati o se, come afferma un portavoce del movimento Sami Abu Zuhri, abbiano appreso della proposta solamente attraverso i social media . Al di là di questo, sono stati i contenuti dell’accordo a non aver convinto Hamas, che non ha visto riconosciuta nessuna delle sue richieste. Per fermare il lancio di razzi, Hamas e il suo braccio armato, le brigate Ezzedin al-Quassam, chiedevano l’allentamento del blocco imposto da Israele sui valichi di frontiera, a partire da quello di Rafah con l’Egitto dal quale giunge la maggior parte dei beni e degli aiuti per la Striscia.

Le altre richieste riguardavano il rilascio di 54 militanti catturati da Israele durante le operazioni di ricerca dei tre coloni israeliani rapiti e l’estensione della zona di pesca di fronte alle coste dell’enclave palestinese, nei termini dell’accordo siglato nel 2012 dalle due parti, ma mai rispettato da Israele. I pescatori arabi hanno in effetti sofferto una progressiva riduzione dei confini dell’area di pesca loro concessa dalla marina israeliana e rischiano di perdere la loro unica fonte di sostentamento.

Il problema, dice Ismail Hniyeh, principale leader del movimento nazionalista islamico a Gaza, “non è il cessate il fuoco ma la situazione nella Striscia”. Dopo la presa di potere da parte di Hamas, nel 2006, il piccolo territorio costiero, già martoriato e densamente popolato, ha subito un ulteriore impoverimento a causa del blocco imposto dallo stato ebraico sui valichi ed è stato teatro di violente incursioni militari, inaugurate dall’operazione Piombo Fuso del 2008 che in tre settimane provocò la morte di oltre 1200 palestinesi, di cui 400 bambini.

Inoltre, Hamas ha bisogno di riaffermare la sua immagine di movimento di resistenza contro l’occupazione e il lancio di razzi è l’unico strumento a disposizione per ribadire la propria importanza, marginalizzare ulteriormente il ruolo dell’ANP nella Striscia, già ai minimi storici e non perdere ulteriore terreno nei confronti dei movimenti jihadisti più intransigenti che continuano a fare proseliti nelle città colpite dalle bombe.

Esiste anche un problema di natura pratica per Hamas. Da diversi mesi non è più in grado di pagare gli stipendi dei 40mila dipendenti pubblici che lavorano nella Striscia e che sono sottoposti al suo governo. Il movimento ha subito una drammatica riduzione delle entrate economiche con il venir meno dei finanziamenti di Siria e Egitto, i suoi sostenitori storici. I soldi che arrivano da alcuni paesi de Golfo e dalla Turchia non bastano. Per interrompere il lancio di razzi Hamas pone dunque questa ulteriore condizione: il pagamento dei salari pubblici.

Nell’analisi del rifiuto non vanno taciute le motivazioni più ciniche. Hamas ha bisogno di nutrire la sua retorica di guerra e di guadagnare consenso internazionale, mettendo al contempo in difficoltà Israele sul piano diplomatico e della comunicazione. Le morti tra i civili sono uno strumento molto efficace per realizzare questi obiettivi. Maggiore sarà il numero di donne e bambini che perderanno la vita sotto i colpi dell’IDF, più forte sarà il contraccolpo di immagine che Israele dovrà sopportare. Finché i telegiornali e le testate di tutto il mondo mostreranno il sangue delle vittime e le case distrutte, Hamas potrà presentarsi come un simbolo di resistenza in una lotta disperata, asimmetrica e, proprio per questo, eroica.

E Israele, cosa spera di ottenere? I proclami contro i “terroristi” di Hamas si rincorrono ogni giorno, rilanciati da autorevoli esponenti de governo, ma la completa distruzione del nemico non è il vero obiettivo. Lo stato ebraico punta ad un forte ridimensionamento di Hamas, per via militare, ma non vuole la sua cancellazione dal panorama politico perché sa che il vuoto sarebbe immediatamente riempito da una formazione più integralista. “Si tratta di indebolire Hamas senza indebolirlo troppo”, spiega Daniel Levy, direttore per il Medio Oriente dell’European Council for Foreign Relations. “Netanyahu vuole ancora Hamas come controparte a Gaza, per non dover confrontarsi con il caos e il disordine ”.

 

Photo: Wikimedia

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