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Precious, ovvero come vivere la condanna a morte nei panni del condannato

di Laura Maino

Spiegare la pena di morte con un gioco di ruolo: legare la vita del condannato alla fievole luce di una candelina e non in maniera figurata; mettersi dalla parte del boia, trovare le sue motivazioni e, soprattutto, sostenerle nella discussione: che cosa porta un uomo a uccidere? Qual è l’origine del delitto? Ancora, possiamo immaginare che cosa si prova a essere condannati a morte e vedere la propria vita appesa a un “segnale” di fumo?

Iacopo Frigerio, autore di giochi di ruolo, nonché presidente dell’Associazione culturale Coyote Press, ha ideato e creato un gioco sulla pena di morte e per l’educazione ai diritti umani rivolto ai ragazzi delle scuole superiori. Alla stesura del volume stanno collaborando Gabriela “Ela” Rotoli e Corrado Buttinelli, membri del coordinamento Pena di Morte di Amnesty International Italia.

Come nasce questa collaborazione?

Da qualche tempo ho potuto avvicinarmi ad Amnesty International, comprendere cos’è e per cosa si batte. Ho cominciato a seguire il sito e la newsletter, a informarmi periodicamente sulle attività (in particolare quelle del gruppo più vicino a me, quello di Legnano). Ho sostenuto diverse campagne, attraverso il livello base, quello della firma. Però ero combattuto perché desideravo poter fare di più. L’occasione mi si è presentata grazie a un concorso di giochi di ruolo che mi ha dato la possibilità di scrivere un gioco sul tema della pena di morte. Ho pensato che il gioco avrebbe potuto essere un buon strumento per l’educazione ai diritti.

Racconta il gioco a beneficio di chi non ha mai giocato di ruolo.

Il gioco è strutturato per essere giocato da 3 o 4 persone e dura dalle 2 alle 4 ore. Ci si siede attorno a un tavolo – in un certo senso non è molto diverso dai classici Monopoly e Risiko – e si raccontano storie seguendo regole molto precise. Lo scopo del gioco è quello di raccontare i momenti salienti della vita di un condannato a morte immaginario, dall’infanzia all’esecuzione. Durante il gioco uno dei giocatori dovrà assumere il ruolo del condannato, in alcuni momenti dovrà raccontare la sua vita come se fosse una storia, in altri dovrà interpretarlo (recitarlo) come se fosse a teatro, ma senza seguire un copione. Gli altri giocatori si dividono ruoli “sociali”: uno dovrà rappresentare il personaggio – e il punto di vista – di chi è contrario alla pena di morte, un altro prenderà le parti di chi è favorevole, l’ultimo (se si gioca in 4) il ruolo neutro e indipendente di colui che cerca di comprendere la storia nella sua oggettività, cercando di non esprimere giudizio.

Tutte le potenziali storie che si vengono a creare partono da una struttura comune, dall’idea di un ipotetico personaggio (gestito dal giocatore “neutro”) che ha la possibilità di intervistare il condannato (o di riceverne la confessione spirituale), poco tempo prima dell’esecuzione. L’intervista scava in 4 momenti della storia: la vita dopo la condanna, gli eventi che portarono alla condanna, la vita prima della condanna e la vita durante l’infanzia e l’adolescenza. Un percorso a ritroso per cercare di comprendere, un passo alla volta, come il condannato è arrivato al momento della pena capitale. Essendo un gioco, ha delle regole e meccaniche che vincolano il modo di condurre la storia e interpretare i personaggi. Queste regole chiamano i giocatori a fare scelte dove, per tutelare un aspetto in positivo, inevitabilmente si finirà per subire qualcosa di negativo dall’altro.

Anche se questo gioco nasce da uno spirito contrario alla pena di morte, il tentativo è quello di creare un approccio neutro: le meccaniche di gioco non si schierano “eticamente”, trattano tutti i punti di vista alla pari, per non vanificare tutto il lavoro di analisi successiva.

Perché usare il gioco di ruolo per la difesa dei diritti umani?

Il gioco di ruolo è uno strumento potente (non a caso viene usato sia in formazione sia, con le dovute modifiche, nelle terapie psicologiche). Permette a chi gioca di simulare una realtà alternativa, di entrare nei panni di un personaggio e prendere le scelte per lui. In particolare permette alle persone di simulare una vita e poter poi discutere un argomento non solo in astratto, ma sperimentandone le emozioni, le sensazioni e le scelte. Provo a spiegarmi meglio, pensate di dover sensibilizzare un gruppo di persone sulla pena di morte, ognuno avrà le sue opinioni, ma spesso non c’è un vissuto personale reale e l’opinione della persona si basa su letture, assunti etici generali, talvolta stereotipi o pregiudizi. Se invece si gioca con questi giochi di ruolo le persone avranno dato vita a un’esperienza reale, preso dei punti di vista (quello del condannato, quello di chi è contrario e di chi è favorevole), fatto delle scelte e provato diverse emozioni. Anche se simulata, quella realtà virtuale permette di avvicinare di più le persone all’esperienza reale e le rende più recettive agli interventi di sensibilizzazione degli attivisti. Certo, serve che le persone si rendano disponibili e serve tempo, ma è uno strumento di notevole efficacia.

Precious, gioco sulla pena di morte

Il Gruppo Italia 022 di Legnano si è prestato in due trance come playtester del gioco in fase di correzione. Racconta la tua esperienza con loro.

Non mi capita spesso di avere come playtester persone che non sono giocatori abituali, quindi l’esperienza è stata davvero arricchente da più punti di vista. Il Gruppo ha risposto con entusiasmo all’iniziativa, scegliendo di utilizzare il momento come evento di formazione interno. Essendo numeroso, abbiamo deciso di dividere il gruppo in due sottogruppi. Il primo di questi a cui ho spiegato il gioco era costituito da adulti, per la maggior parte attivisti di lunga storia amnistiana. È stata un’esperienza molto particolare, perché quasi tutti avevano pochissima praticità con la cultura del gioco – anche solo come forma d’intrattenimento – quindi c’è stato per me l’impatto forte nel dover spiegare le basi stesse del gioco. Ciò è servito a darmi indicazioni su come scrivere un testo adatto a non giocatori. Le storie create poi sono risultate molto crude e dure, quasi senza speranza. Questa cosa mi ha davvero tanto colpito: non mi sarei mai aspettato che persone così esposte per la tutela dei diritti umani potessero al contempo dare (e forse un po’ avere) un’immagine così negativa dell’uomo.

Il secondo gruppo era costituito dagli ultimi entrati nel gruppo 022. Con loro le cose sono filate in generale più lisce, in quanto si trattava di ragazzi più abituati alla cultura del gioco, al teatro dell’improvvisazione. Questo ha facilitato molto nello spiegare il gioco. Hanno fatto da contraltare anche i temi delle loro storie: più speranzose, idealiste, storie di persone molto umane, vittime di un’educazione o di un sistema giudiziario carente.

In generale è stato per me molto bello raccogliere così tanto entusiasmo e disponibilità nel testare e commentare un gioco di ruolo, da parte di persone che erano davvero poco confidenti con questo mondo ludico. Un gesto altruistico che spero di poter ricambiare con questo gioco.

Foto: World Coalition Against the Death Penalty, Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

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