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"Il caso Eddy Bellegueule", quando l’autobiografia è atto di ribellione

Quali rapporti intercorrono tra il ventunenne biondo Édouard Louis, studente di sociologia all'École normale supérieure di Parigi, giovanissimo specialista di Pierre Bourdieu e raffinato romanziere esordiente, e Eddy Bellegueule, pre-adolescente cresciuto tra insulti, bullismo e omofobia nel sottoproletariato della Piccardia? Il primo scrive del secondo.

 

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Édouard Louis sembra a prima vista il tipico prodotto della Parigibene”. Modi aggraziati, elegante, molta cultura malgrado la giovanissima età. Un percorso accademico esemplare. Prima studia Storia all’Université de la Picardie, per poi seguire i corsi di sociologia dell’École normale supérieure di Parigi. A 20 anni cura una raccolta di testi di Pierre Bourdieu, a 21 pubblica il suo primo romanzo “Il caso Eddy Bellegueule”, premio Pierre Guénin 2014 contro l’omofobia e per la parità dei diritti. “Édouard Louis permette di prendere coscienza dell’impregnazione dell’omofobia nel quotidiano delle persone LGBT” dichiara SOS homophobie.

“Il caso Eddy Bellegueule”, edito in Francia a febbraio 2014 e tradotto in italiano da Alberto Cristofori per Bompiani, fa discutere. Se parte della critica loda il talento ed il coraggio dell’autore-narratore, qualcuno gli rimprovera la sua descrizione, ma soprattutto la sua diserzione dal suo ambiente d’origine. Poiché Eddy Bellegueule e Édouard Louis sono la stessa e medesima persona.

“Mi hanno fatto questa domanda che in seguito mi sono ripetuto incessantemente per mesi, anni, 'Sei tu il frocio?' Pronunciando queste parole, le avevano incise in me per sempre come uno stigma, come quei segni che i greci imprimevano con un ferro rovente o con un coltello sul corpo dei devianti pericolosi per la comunità. L’impossibilità di liberarmene. È la sorpresa che mi ha folgorato, anche se non era la prima volta che mi dicevano una cosa simile. non ci si abitua mai all’offesa. Un sentimento di impotenza, di perdita dell’equilibrio. Ho sorriso – e la parola frocio riecheggiante, mi esplodeva nella testa, palpitava in me con la frequenza del mio battito cardiaco.(…) Hanno incominciato prima a spingermi con la punta delle dita, senza eccessiva brutalità, sempre ridendo, io sempre con lo sputo sulla faccia, poi sempre più forte, finché la mia testa ha urtato contro il muro del corridoio. Io non dicevo niente. Uno mi ha afferrato per le braccia mentre l’altro mi tirava dei calci, sorridendo sempre meno, prendendo sempre più sul serio il proprio ruolo, con un’espressione di concentrazione crescente, di collera, di odio. Mi ricordo: i pugni nella pancia, il dolore provocato dall’urto fra la mia testa e il muro di mattoni. È un elemento a cui non si pensa, il dolore, il corpo che soffre all’improvviso, ferito, contuso. Si pensa – davanti a scene come questa, voglio dire: vedendole dall’esterno – all’umiliazione, all’incomprensione, alla paura, ma non si pensa al dolore.”

Considerare, però, “Il caso Eddy Bellegueule” una narrazione dellomofobia nella Francia rurale e sottoproletaria è riduttivo. La descrizione flaubertiana degli interni, l‘insight sui personaggi, l’acuta osservazione dell’ambiente rende questo romanzo un piccolo diamante – neppur tanto grezzo – di accuratezza sociale che tocca varie tematiche come la povertà estrema e la conseguente vergogna, la crudeltà gratuita, i rapporti tra i generi, la disoccupazione, il rapporto col corpo, l’alcolismo, il razzismo e l’ignoranza.

“Vedevo mio padre, quando una delle nostre gatte metteva al mondo dei piccoli, infilare i gattini appena nati in un sacco di plastica del supermercato e sbattere il sacco contro uno spigolo di cemento finché il sacco non si riempiva di sangue e i miagolii cessavano. L’avevo visto sgozzare dei maiali in giardino, bere il sangue ancora caldo che raccoglieva per farne sanguinaccio (il sangue sulle sue labbra, sul suo mento, sulla sua maglietta). Questo è il migliore, il sangue appena uscito dalla bestia che crepa. Le grida del maiale agonizzante quando mio padre gli troncava l’arteria giugulare si sentivano per tutto il paese.”

Potrebbe sembrare un accozzaglia di stereotipi sugli ambienti popolari, ma la realtà supera la finzione. Eppure Eddy/Édouard lo ribadisce: non giudica, cerca di capire.

Édouard Louis coglie l’implacabile determinismo ambientale. La madre dice a Eddy che avrebbe potuto finire gli studi, “diventare una signora” ma che ha commesso errori, che si è ritrovata incinta a 17 anni e il suo futuro – o la sua assenza di futuro – era già segnato. Secondo Édouard Louis la madre non ha sbagliato, ma il milieu scandisce i tempi, le regole implicite, i taciti accordi. Nessuno fa carriera, le donne rimangono incinte troppo presto, si sposano giovani. Della madre evoca “le difficoltà a parlare correttamente il francese per causa d’un esperienza infelice, umiliante, dell'universo scolastico: Non ho potuto con tuo fratello, e comunque non mi piaceva tanto”.

“Era una madre suo malgrado, di quelle madri che sono state madri troppo presto. Aveva diciassette anni, è rimasta incinta. I suoi genitori le hanno detto che non era prudente e nemmeno molto adulto come comportamento. Potevi stare più attenta. Ha dovuto mettere fine al suo diploma professionale di cucina e uscire dal sistema scolastico senza abilitazione. (…) Tutto procede come se, in paese, le donne facessero figli per diventare donne, sennò non lo sono veramente. Vengono considerate lesbiche, o frigide. Le altre donne s’interrogano all’uscita di scuola. L’altra non ha ancora fatto un figlio alla sua età, sarà che non è normale. Sarà una lesbica. O una frigida, o una mal-scopata. Più tardi avrei capito che, altrove, una donna compiuta è una donna che si prende cura di sé, della sua carriera, che non fa figli troppo in fretta, troppo giovane.

Ad Édouard Louis non sfugge nemmeno la lesbofobia borghese, aggiunge con ironia: “Ha anche a volte il diritto di essere lesbica il tempo dell’adolescenza, non troppo a lungo ma qualche settimana, qualche giorno, per semplice divertimento”.

La prima scena vede il piccolo Eddy a scuola, farsi sputare in faccia da due altri ragazzi dopo essersi fatto dare del frocio: “Lo sputo è colato lentamente sulla mia faccia, giallo e denso, come il catarro sonoro che ostruisce la gola dei vecchi o dei malati, dall’odore forte e nauseabondo. Le risa acute, stridenti, dei due ragazzi: Guarda ha la faccia piena, quel figlio di puttana. Mi cola dall’occhio fino alle labbra, mi entra in bocca. non ho il coraggio di asciugarmi. Potrei farlo, basterebbe passarci su la manica. basterebbe una frazione di secondo, un gesto minimo perché lo sputo non entrasse in contatto con le mie labbra, ma non lo faccio, per paura che quelli si sentano offesi, per paura che si arrabbino ancora di più.”

I modi effeminati del ragazzino – che ne ignora la causa – non passano inosservati in paese. Lì bisogna essere dei “duri”. Per Eddy piovono insulti e risate, quando non sono addirittura lesioni fisiche. Ha troppe amiche e non lega con gli altri maschi. È troppo magro; cerca d’ingrassare a furia di pacchetti di patatine, ci riesce prendendo 20 chili. Si eccita pensando agli uomini, ma prova a frequentare le ragazze del paese. Quando riesce ad ottenere una reazione fisica al contatto con una donna si crede “salvo” e “guarito”.

Indossa i vestiti della sorella, ben al riparo nella solitudine di una stanza. Viene colto in flagrante dalla madre durante un rapporto sessuale col cugino più grande. Ma dopo essere stato preso a schiaffi dal padre la famiglia tace l’accaduto e spera in un cambiamento. E poi arriva la consapevolezza, lampante, che a piacergli è – e sarà sempre – il corpo maschile, e che il suo ambiente d’elezione non corrisponde a quello delle sue origini. Deve diventare borghese per ottenere il diritto di essere ciò che è. Poiché il crimine in paese non è ciò che si fa, ma ciò che si è.

“Perché Stéfane aveva raccontato questa storia? Perché non aveva temuta la vergogna, gli scherni? Perché, quella sera mentre eravamo insieme a giocare a calcio, ma anche le altre sere in cui le prese in giro abbondavano, perché non era oggetto, anch’egli, dell’odio e degli insulti? Eravamo in due, in quattro in verità, con Bruno e Fabien. Ma la loro partecipazione agli appuntamenti nel capannone non era mai stata evocata. Non potevo dire nulla, par timore delle conseguenze, e sapevo che tale delazione sarebbe risultata vana, che sarebbero, come Stéfane, stati risparmiati. Sarebbe stato logico che anche ad egli fosse dato del frocioIl crimine non è fare, è essere. E sopratutto sembrare.”, scrive É. Louis.

L’epilogo, come sappiamo, permetterà a Eddy di diventare Édouard, di integrare un buon liceo, di andare all’università e di tagliare i ponti col suo ambiente d’origine. Rimane un romanzo autobiografico edificante. Una denunzia dell’esistenza di classi delle quali mai si parla, classi erroneamente qualificate come “operaie”, ma corrispondenti al sottoproletariato rurale. Emerge della Francia un immagine diversa, all’opposto di quella dei salotti parigini, dei matrimoni egualitari, del Marais, insomma di quella che all’estero ritrae un paese all’avanguardia. Quella del romanzo è una Francia vittima del proprio isolamento, della non conoscenza e della miseria. Una Francia che odia gli immigrati senza averne mai incontrato uno, che rifiuta l’omosessualità, che non tollera gli effeminati, che opprime le donne. Non la Francia ultracattolica – non è gente che va in chiesa –, nemmeno quella nazionalista – per quello occorrerebbe una coscienza politica –, ancor meno quella urbana delle cité, ma una Francia abbandonata persino dai mediaUna Francia della quale anche i francesi ignorano l’esistenza. Édouard Louis non l’abbandona come alcuni hanno sancito, ma la documenta e la porta alla luce. Con successo.

Il caso Eddy Bellegueule, Milano, Bompiani, 2014 (En finir avec Eddy Bellegueule, Le Seuil, 2014), vincitore del Prix Pierre Guénin 2014.

 

Elisabeth A. Beretta

Questo articolo è stato pubblicato qui

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