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A spasso con Dante: la selva oscura

Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
ché la diritta via era smarrita
(Inf I, 1-3)

Ci sono momenti bui nella nostra vita, ore in cui ci rendiamo conto di aver sbagliato e che la strada che stiamo percorrendo non porta da nessuna parte. In queste occasioni si vede la forza d’animo e la capacità, tutta umana, di fare autocritica e migliorarsi. Come questo discorso astratto possa essere messo in pratica lo racconta un libro che parla un po’ di tutto, anche di noi che viviamo quasi settecento anni dopo la sua pubblicazione. Sto parlando della Divina Commedia di Dante Alighieri, forse la più grande opera letteraria mai scritta da mano d’uomo, capolavoro che abbiamo la fortuna di leggere nella nostra lingua ma che in pochissimi conoscono.

È vero, a scuola ci siamo passati tutti sotto i canti infernali e spesso il ricordo che si ha di quelle interminabili lezioni non è dei migliori. Per questo l’intenzione alla base di questa nuova rubrica è quella di rileggere la Commedia con la stessa passione e ingenuità con cui si legge un romanzo, capitolo dopo capitolo, e di goderci il più straordinario viaggio mai compiuto, raccontato dal miglior narratore mai esistito.

Per quanto la nostra vita sia frenetica e piena di rumore ed impegni prima o poi arriva un momento, anche un solo istante in cui ci si ferma e ci si chiede: "Che sto facendo? A cosa mi servono tutti questi sforzi?" L’intera esistenza è un cammino che ci è dato in sorte di percorrere e, entro certi limiti, abbiamo facoltà di indirizzare dove preferiamo. Questa libertà può però essere pericolosa. Il protagonista della nostra storia aveva camminato a lungo a testa bassa, con ostinazione, per ritrovarsi poi in una selva oscura, perso e disorientato. Chi è abituato ad andare per boschi sa quanto si facile perdersi e sa anche che, in mezzo alla fitta vegetazione che sembra schiacciarti al suolo, non c’è cosa più desiderabile di vedere un raggio di luce. In questo caso il nostro narratore, che ancora non si è presentato, ci dice che aveva trentacinque anni e che aveva perso il sentiero in questa terribile e impervia selva che fa paura solo a ricordarla.

Ad un certo punto però il buio spettrale viene squarciato dal chiarore della luna che illumina la notte: si può riprendere il cammino! Gli alberi iniziano a diradarsi, si apre davanti ai nostri occhi un dolce colle illuminato dai primi raggi del sole nascente. Il peggio sembra passato davvero, si tira un sospiro di sollievo e ci si volta indietro un po’ come il naufrago in salvo sulla spiaggia che si gira a guardare il mare dove stava per annegare. Dopo essersi riposato un po’, sentendosi rinfrancato nel corpo ma soprattutto nel morale, il nostro pellegrino inizia la risalita dell’altura ma all’improvviso si trova davanti tre animali feroci: una sorta di lince, un leone ed una lupa gli sbarrano la strada e lo ricacciano indietro. La selva alle spalle si riavvicina improvvisamente, le belve lo incalzano da davanti ma insperatamente un’ombra si scorge in lontananza. È chi offrirà al narratore una terza inedita via per ritrovare se stesso e la propria salvezza.

Quasi sempre la strada che porta a destinazione è quella più lunga e scomoda e il viaggio che stiamo per intraprendere non fa eccezione: per giungere al sommo bene sarà necessario affrontare il Male in persona, scendendo nel profondo dell’Inferno, per poi purificarsi salendo il monte del Purgatorio, da dove ci si potrà elevare spiritualmente per i cerchi del Paradiso. Cosa vuol dire tutto ciò? Forse che per essere persone migliori dobbiamo sconfiggere quei mostri che abbiamo dentro come la lince dei nostri desideri carnali, il leone della nostra violenza o la lupa della nostra avidità. Scopriamo che è davvero difficile salvarsi senza l’aiuto di qualcuno che ci voglia bene e che ci sostiene perché la strada che riporta nel buio delle nostre selve è sempre in discesa. È opportuno ricordare che tra gli invitati a partecipare a tale viaggio ci siamo anche noi dal momento che nell’incipit che tutti conosciamo si parla del cammin di nostra vita. In questo paesaggio senza tempo, in un’atmosfera irreale, da sogno, inizia il percorso che porta a conoscere tanto i sublimi ambienti dell’aldilà quanto gli abissi del nostro animo, perché in ogni caso quando si viaggia e ci si mette in gioco si torna con una maggiore consapevolezza di se stessi.

 

L'illustrazione è di Gustave Doré (1861)

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