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Sondaggio Doxa-Uaar su religiosità e ateismo: fotografia di una Italia che cambia

Il paese cambia, e cambia anche il rapporto degli italiani con la fede. Si riscontra più distacco verso la tradizione, maggior pluralismo e il diffondersi di comportamenti secolarizzati. C’è più attenzione per l’ateismo, ma quella che emerge è soprattutto la voglia di libertà e di laicità: non tanto contro la Chiesa cattolica, ma per un paese civile dove non esistono cittadini di serie A e B.

Sono tante le informazioni interessanti che l’Uaar ha raccolto attraverso il sondaggio commissionato alla Doxa. Confermando altre inchieste, gli italiani che si definiscono cattolici sono tre su quattro. A essi si aggiungono il 10% di credenti senza riferimenti religiosi e il 5% di credenti in un’altra religione, mentre il rimanente 10% si distribuisce in parti uguali tra gli agnostici e gli atei. Il dato dei credenti che non appartengono a nessuna confessione religiosa è sostanzialmente una novità, in Italia: nei paesi anglosassoni viene invece ritenuto fondamentale e già da qualche anno è studiato il pensiero dei cosiddetti nones (che possono essere sia credenti senza riferimenti religiosi, sia non credenti), visto che è il gruppo “religioso” che, in tutti i paesi democratici, cresce con la velocità maggiore. La ricerca Doxa conferma che in Italia le cose non vanno diversamente: un italiano su cinque non appartiene ormai ad alcuna religione.

Il rapporto con la religione è dunque sempre più individuale, l’esigenza di socializzarlo è in calo. Tanto che i cattolici praticanti rappresentano (ormai da tempo) una minoranza, e il cattolico-tipo è un’anziana donna meridionale poco istruita. La demonizzazione dei non credenti sembra ormai alle spalle: non solo il 36% ritiene che si possa vivere bene senza Dio, ma coloro che non hanno problemi a scegliere un medico di famiglia o un consulente finanziario atei sono persino una larga maggioranza. I cattolici credenti che non vogliono avere alcun rapporto con atei rappresentano ormai una piccola minoranza (5%).

Nonostante ciò, la maggioranza della popolazione ritiene però che i dogmi e i precetti della Chiesa continuino a condizionare la vita delle persone. È molto significativo che a pensarla in questo modo siano soprattutto i credenti non cattolici (75%). A riprova, è elevato anche il numero di non cattolici propensi a battezzare comunque i propri figli (61%), un dato che è comunque ragguardevole anche tra gli agnostici (49%) e gli atei (40%). Anche se meno che in passato, il condizionamento sociale si fa dunque sentire molto ed è la logica conseguenza di una società in cui il messaggio pro-cattolico (e talvolta esclusivamente cattolico) permea ogni ambito della vita quotidiana: scuola, lavoro, media, istituzioni.

L’Italia non è dunque un paese in cui tutti possono esprimere liberamente le proprie opinioni. Eppure la voglia di libertà e di uguaglianza è largamente diffusa. La maggioranza della popolazione (cattolici compresi, dunque) dice ‘no’ all’attuale normativa sull’ora di religione, con i docenti scelti dai vescovi ma retribuiti con fondi pubblici. E sono addirittura due su tre i connazionali che concordano con l’affermazione che “i non credenti devono poter criticare i credenti e le loro convinzioni tanto quanto i credenti hanno il diritto di criticare i non credenti e le loro convinzioni”. Un’ulteriore dimostrazione che, nella popolazione, gli atei e gli agnostici, così come le loro convinzioni, possono ormai considerarsi “sdoganati”. Anche se non certo tra i politici e gli organi di informazione…

C’è insomma ancora molto da lavorare. Soprattutto per l’Uaar. Il sondaggio conteneva infatti alcune domande relative all’Uaar. Ne emergono quattro dati importantissimi, perché per molti versi appaiono sorprendenti: la maggioranza assoluta dei non cattolici è favorevole a essere rappresentata da un’organizzazione di atei ed agnostici che si batta per la laicità dello Stato; la più alta percentuale di favorevoli si riscontra tra i credenti non cattolici; la maggioranza dei non cattolici chiede un’associazione laica, piuttosto che anticlericale o “filosofica”; la più alta percentuale di anticlericali si riscontra anch’essa tra i credenti non cattolici.

Sembra quasi che i credenti non cattolici rivolgano una critica ai loro leader religiosi, “accusandoli” di ritenerli troppo tiepidi nei confronti dell’invadenza della Chiesa. E chiedano quindi aiuto ad associazioni come l’Uaar. I non credenti hanno invece l’atteggiamento inverso: non sono pochi coloro che, per raggiungere i medesimi obiettivi, preferirebbero individuare altre vie rispetto a una presenza organizzata esplicitamente atea e agnostica.

Resta comunque il fatto che la “voglia di Uaar” è molto diffusa, e straordinariamente diffusa anche tra molti credenti. Un’esigenza che mostra come le prospettive di crescita della nostra associazione siano ampie, visto che al momento è conosciuta soltanto dal 7% della popolazione. C’è voglia di libertà e di uguaglianza, di una società plurale in cui ognuno sia ciò che vuole essere. Emerge con forza la spinta per un’Italia diversa e rispettosa di tutte le diverse convinzioni, e soprattutto la richiesta di un fortissimo impegno per farla diventare realtà. Sta a tutti noi provarci.

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