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Lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante è diventato un vero Stato?

Dopo gli avvenimenti che hanno sconvolto i rapporti di forza in Irak occorre porsi una nuova domanda, scrive Joshua Keating sulle pagine di Slate.

Il gruppo militare islamista conosciuto come Stato Islamico dell’Iraq e del Levante martedì scorso ha conquistato la città di Mosul, dopo aver assunto il controllo di Tikrit, Ninive e della provincia di Baiji. L’espansione del territorio sotto il controllo delle miliazie dell’ISIL è tale, ormai, da configurare l'esistenza di un vero e proprio Stato islamico separato da quello iracheno e ad esso antagonista? La domanda è legittima.

Come scrive Liz Sly sul Washington Post, dopo solo un anno dalla sua costituzione l’organizzazione islamista controlla e di fatto governa su un territorio vastissimo che va dalla città siriana di Aleppo, dove l’Isil fronteggia l’esercito di Assad, fino a Falluja, nell’Iraq occidentale. Con la presa di Mosul l’influenza si spinge ora fino alle province del nord.

La forza del gruppo risiede nei numeri e nella strategia. Il numero dei miliziani è compreso tra le 7000 e le 10.000 unità, quasi interamente concentrate sul suolo iracheno. L’obiettivo dell'ISIL è duplice: imporre una versione austera e severa della legge islamica sui territori assoggettati al suo controllo e, sul lungo periodo, arrivare alla creazione di un vero e proprio stato islamico unificato, da sempre chimera dei movimenti islamisti transnazionali.

Dobbiamo dunque considerare l’ISIL come un proto-stato vero e proprio, amministratore di una sovranità fattuale destinata a rafforzarsi, o si profila un destino simile a quello dell’Azawad, lo stato islamico indipendente voluto dai miliziani nel Mali nel nord sgretolatosi sotto i colpi della coalizione internazionale a guida francese? Keating propende per questa seconda ipotesi e spiega le sue ragioni.

I miliziani iracheni potrebbero incontrare serie difficoltà ad imporre une versione brutale e fuori del tempo della sharia sulla popolazione. Ne scaturirebbe un risentimento ampio e generalizzato, difficile da gestire, così come già avvenuto in Mali. La ragione stessa della guerra condotta dall’ISIL potrebbe dunque rappresentare il seme del suo fallimento. Inoltre, lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante conduce attualmente una guerra su tre fronti: contro l’esercito iracheno, contro le truppe di Assad e contro le altre fazioni dell’opposizione siriana. Ai nemici diretti si aggiungono quelli esterni: Iran, USA e altri gruppi islamisti sembrano per una volta trovare un punto di accordo proprio nell’opposizione alle mire espansioniste del gruppo.

Secondo il New York Times ci sono però altri elementi da considerare, che depongono a favore dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante. Le vittorie e la conquista delle città irachene hanno portato all’ISIL denaro liquido e grandi quantitativi di armi. La liberazione di 2500 combattenti dalle prigioni delle città cadute ha rafforzato in modo significativo il peso militare delle milizie. Infine, la scelta di Assad di non calcare la mano contro i combattenti dell’ISIL, nel tentativo di dividere ulteriormente l’opposizione al regime, potrebbe rivelarsi una scommessa pericolosa.

C’è una sola cosa di cui essere certi, conclude Keating: dopo la vittoria di Mosul le milizie dell’ISIL hanno dato prova definitiva della propria forza e non potranno più essere sottovalutate.

 

Foto: Wikimedia

 

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