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Lo scontro nella Procura di Milano: quale è il significato politico?

Massimo Giannini, uno dei giornalisti più intelligenti di Repubblica, oltre che vice direttore del medesimo giornale, ha scritto, domenica 18 maggio, un articolo molto acuto per spiegare cosa stia accadendo nella Procura di Milano e la posta politica in ballo. È un testo dichiaratamente di parte, schierandosi senza finzioni con Magistratura democratica, con Edmondo Bruti Liberati e con l’ufficio che dirige - appunto, la Procura milanese - e, pur non condividendone le tesi, non posso non riconoscere che si tratta di un pezzo di notevole bravura giornalistica e di grande onestà intellettuale nel dichiarare le sue propensioni (cosa che non sempre si può dire di quel che si legge su Repubblica).

Si inizia ricordando le ragioni dell’esposto del Procuratore aggiunto Robledo (di Magistratura Indipendente), contro il suo sovraordinato Bruti Liberati: avergli proposto una sorta di spartizione consensuale delle istruttorie, aver privilegiato, negli incarichi, i sostituti appartenenti a Magistratura Democratica, anche in violazione dei criteri di legge, in particolare il caso Ruby, attribuito alla Boccassini che dirige la Dda (Procura antimafia), aver iscritto tardivamente Formigoni nell’albo degli indagati.

Giannini poi prosegue riassumendo la difesa di Bruti: ovviamente nega di aver distribuito gli incarichi sulla base dei criteri di corrente, afferma di aver predisposto un coordinamento fra procura generale, Ddd e pool per i reati nella Pa diretto da Robledo, che, però, avrebbe richiesto l’esclusiva del caso Expo per stralcio (nonostante fosse nato da una indagine Dda); quel che dice Bruti avrebbe fatto perdere l’unitarietà di tutta l’inchiesta, spezzandola in filoni concorrenti. Afferma sempre Bruti di non aver potuto affidare l’inchiesta Ruby a Robledo, in quanto questi aveva precedentemente querelato Berlusconi per diffamazione e, pertanto, sarebbe stato incompatibile.

Infine, Giannini, dopo aver ricordato i meriti della Procura Milanese, punta di eccellenza della nostra magistratura, mette - peraltro giustamente - in relazione il caso con tre prossime scadenze:

a- il rinnovo del Csm previsto per i primi di luglio

b- l’eventuale rinnovo (o meno) dell’incarico di Bruti Liberati a capo della Procura milanese per il prossimo quinquennio

c- il progetto di revisione dell’ordinamento giudiziario previsto dall’accordo del Nazareno fra Renzi e Berlusconi, di cui si sa ancora poco ma si capisce perfettamente l’intenzione di “mettere la museruola” ai giudici.

Il tutto con la destra scatenata, dentro e fuori la magistratura, nell’attacco a Md e nel disegno di “normalizzare” la Procura milanese.

Sin qui Giannini, che assume apertamente la difesa di Bruti, Md e Procura Milanese. Noto per inciso che non si capisce bene la coerenza fra l’accusa (giustissima) a Renzi di colludere con il pregiudicato Berlusconi, contro l’autonomia della magistratura, e l’invito di Scalfari a votare per Renzi, in altra pagina della stessa giornata. Non capisco: fate voi.

Ovviamente non mi passa per l'anticamera della mente di schierarmi per Robledo, non è questo il punto. A stabilire quali contestazioni siano rispondenti al vero e quali no, penserà il Csm con i suoi accertamenti, anche se da un lato si capisce che il caso Ruby non sia stato affidato ad un magistrato che aveva un suo privato contenzioso con l’indagato (e ci mancherebbe altro!), ma dall’altro non si capisce cosa c’entri la procura antimafia con un caso di sfruttamento della prostituzione come quello! Nella Procura ordinaria non c’erano altri sostituti che non avessero contenziosi con l’indagato? Va bene, vedremo.

Quello che più preme è altro. Credo che si debba essere un po’ più equidistanti e porre il problema in termini più generali. Prima di entrare nel merito, debbo chiarire un punto. Dalla semplice esposizione dei fatti, sembrerebbe che Bruti volesse fare un favore a Formigoni, ritardandone l’iscrizione nel registro degli indagati e Robledo fosse quello rigoroso che voleva farlo prima. Non è così e lo si capisce se si sa come funzionano le Procure. Il codice di procedura penale (art. 335) stabilisce che il pubblico ministero iscriva “immediatamente” a registro la notizia di reato di cui sia venuto a conoscenza, nonché “contestualmente o dal momento in cui risulta il nome della persona alla quale il reato è attribuito”. L’iscrizione è pubblica e chiunque - ovviamente anche l’indagato - può prenderne visione, a meno che il Pm non decida, con decreto motivato che, per specifiche esigenze di indagine, sia disposta la segretazione per tre mesi non rinnovabili. Ovviamente, nel momento in cui l’indagato apprende d’esser tale, sa di poter essere intercettato, perquisito, pedinato ecc e comportarsi di conseguenza. Allora, accade che nella maggior parte dei casi, il Pm iscriva a registro la notizia di reato per iniziare le attività investigative, ma solo successivamente il nome della persona indagata, ricorrendo alla norma dei tre mesi di segretazione. Per evitare che i tempi trascorrano a vuoto, è prassi ormai diffusa che si proceda all’iscrizione solo quando l’attività investigativa dia un risultato utile sul piano della prova. E talvolta questo viene fatto anche avviando da prima le intercettazioni o i pedinamenti, salvo sanare tutto con una opportuna iscrizione a registro quando ci sia un primo risultato da spendere in sede dibattimentale.

Non è il massimo della correttezza, anzi siamo proprio al limite, ma tanto è prassi ormai comune. Tutto ciò premesso, si capisce che l’iscrizione immediata a registro di Formigoni (a prescindere dal se essa fosse già dovuta o meno) era la soluzione più favorevole per il futuro indagato. Quindi, ad usare una terminologia rozza ed inesatta, chi stava facendo “il favore” al Celeste non era Bruti.

Ciò premesso, quello che mi persuade meno del pur ottimo articolo di Giannini è la chiamata a raccolta intorno al baluardo della Procura Milanese, sicuro presidio di legalità e democrazia. E poi, a ricaduta, la difesa d’ufficio di Md e il solito peana sull’autonomia della Magistratura.

Sulla Procura milanese (un giorno magari facciamo l’elenco anche delle inchieste più discutibili, non solo di quelle “gloriose”) mi limito a dire che ha certamente operato contro il ceto politico nell’inchiesta di Mani Pulite, ma mi chiedo sino a che punto sia stata una battaglia in difesa della legalità e sino a che punto uno scontro di potere fra schieramenti interni al sistema. La versione epica di Mani pulite mi convinceva poco già nel 1992-93 e mi convince ancor meno oggi, a venti anni di distanza. Ad esempio mi chiedo che ci facesse il più famoso di loro a colazione con un uomo della Kroll, o di chi fosse il cavallo sul quale montava impeccabile il capo della Procura del tempo. Poi mi chiedo sino a che punto quelle inchieste siano state funzionali al golpe referendario di Occhetto e Segni ed all’attacco alla Costituzione. E tante altre domande così.

E dunque non mi pare il caso di accorrere sotto le bandiere di via Freguglia, in difesa di una vulgata che non ha poi tanto fondamento.

Per quanto riguarda Md, devo dire che ebbe un ruolo importante dal 1964 al 1969 ed uno ancor più importante dal 1969 al 1979. E ne ho anche scritto, dicendo in cosa e perché fu una delle componenti più rilevanti nel processo di democratizzazione delle istituzioni, in quegli anni.

Dopo è un altro paio di maniche: Md, quella dei tempi eroici, finì nel 1979 con l’assemblea di Riva del Sole, quando la destra interna, legata al Pci (che sino ad allora era stata in minoranza) prese il potere. Da allora Md è diventata una delle articolazioni della corporazione giudiziaria, ed una delle più efficienti ai fini di carriera di molti. Ma, soprattutto, un centro di potere spesso molto vicino a Botteghe Oscure. Più di quanto sarebbe stato opportuno e desiderabile.

Ma il punto politico in discussione è un altro: sino a che punto possiamo tenerci questo ordinamento rivoltante della magistratura? Capiamoci, qui c’è chi dice che la soluzione è punire i magistrati mettendoli sotto la sferza del potere politico e chi, invece, si straccia le vesti e giura di voler morire sulla trincea della più totale autonomia del potere giudiziario, roccaforte e presidio della democrazia.

Personalmente trovo entrambe queste posizioni indecenti e le respingo con uguale decisione: della prima penso che in un paese così corrotto di tutto ci sia bisogno, meno che di mettere i magistrati sotto il potere politico. Della seconda, rilevo che questo preteso ruolo di difesa della separazione dei poteri è il paravento della serie di privilegi della corporazione che, fra gli altri, ha quello per il quale i controllati si scelgono i controllori. Con gli effetti che possiamo ammirare. Quanto poi all’identificazione fra autonomia corporativa dei magistrati e democrazia, faccio presente che nessuna altra Costituzione prevede una soluzione come quella italiana e non mi pare che la nostra sia l’unica democrazia del mondo. Ma questo attiene ad una riforma della Costituzione che ha i suoi tempi. Però si può fare qualcosa anche senza bisogno di una revisione costituzionale.

Del rapporto fra Parlamento e Csm abbiamo già detto giorni fa e non ci torniamo su. Veniamo invece proprio a quel che non si sopporta più: questa storia dei partiti interni alla Magistratura. Negli anni sessanta le correnti dei magistrati furono una necessità per animare il dibattito interno e svecchiare una corporazione che portava ancora pesantemente i segni della cultura elitaria pre-fascista (i magistrati furono gli unici a non essere assoggettati al giuramento di fedeltà al fascismo, quel che fa onore alla categoria, ma dice anche delle precedenti resistenze di classe). Ma, almeno dalla fine degli anni ottanta, non si tratta più di questo e le correnti sono solo gruppi di potere interni alla corporazione, con rapporti privilegiati con questo o quel partito. E, infatti, anche in questa occasione abbiamo assistito alla solita logica di schieramento, con i membri di Md (e Pd) a favore di Bruti e quelli di Magistratura Indipendente a favore di Robledo. Se poi i membri laici della destra non sono schierati a favore di Robledo si può capire con la sua querela a Berlusconi.

Insomma, se si deve decidere su un addebito disciplinare, non conta affatto se l’incolpato ha fatto davvero o no una certa cosa, ma quanti amici di corrente ha nel Csm. Direi che è una porcheria che non si può più sopportare. Quantomeno la funzione disciplinare potrebbe essere affidata ad una commissione composta per anzianità, per sorteggio o come vi pare, ma non con il manuale Cencelli, e che se c’è una maggioranza dei 4/5 non si vada neppure al plenum.

Uguale il discorso sugli incarichi negli uffici (Procuratore della Repubblica o Generale, Presidente di Corte d’Appello o Tribunale ecc.) che oggi è ridotto ad un indecente mercato spartitorio fra le diverse componenti. Si fissino prima delle nomine i criteri con i relativi punteggi (anzianità, stato di servizio, produzione di sentenze o atti, pubblicazioni ecc.) e poi proceda una commissione parimenti sorteggiata o costituita per anzianità.

Ma, soprattutto, che vengano proibite, anche per decreto legge, le associazioni di magistrati e le correnti interne (certo: va sciolta anche l’Anm) e si proibisca una volta per tutte di costituirne. Basta con le liste per le elezioni dei membri del Csm, si passi ad un sistema elettorale per candidature individuali. I primi 24 votati entrano in Csm. Certamente non si può fare in tempo per la tornata di luglio ed un rinvio non sarebbe opportuno, però si può fare la nuova legge che, nel suo articolato, preveda subito nuove elezioni dell’organo con le nuove regole.

Poi mettiamo mano al rapporto malsano con la politica. Non ripeto quanto detto sull’elezione dei membri laici del Csm, qui sottolineo solo due questioni. In primo luogo basta con i magistrati che smettono la toga (o, peggio ancora, prendono l’aspettativa) e cinque minuti dopo si candidano ad elezioni politiche o amministrative, magari per poi rientrare in magistratura alla fine mandato o dopo una mancata elezione. Si sancisca, una volta per tutte, che è candidabile solo chi si sia dimesso da almeno cinque anni dalla Magistratura.

In secondo luogo, basta con i magistrati applicati presso segreterie di ministri o come consulenti nelle posizioni più stravaganti, persino nelle Regioni. Questa è la moneta con cui la politica compra la “benevolenza” di tanti uffici. Ed allora, che tornino tutti a fare i magistrati, visto che c’è un arretrato di cause da fare spavento.

Sono solo poche indicazioni, ma sarebbe già una boccata d’aria, e credo che sia molto più importante che schierarsi a difesa di questa o quella corrente, di questo o quell’ufficio. Vi pare?

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