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Boko Haram, il petrolio e i Paesi del Golfo

Alain Chouet, ex-ufficiale dell'intelligence francese, denuncia l'ombra di finanziatori privati dei Paesi del Golfo dietro le azioni del gruppo terroristico Boko Haram.

Boko Haram, il gruppo terroristico islamico che in Nigeria si è reso responsabile del rapimento di centinaia di studenti liceali, e il loro capo, Abubakar Shekau, da settimane oggetto delle attenzioni della stampa internazionale, “non hanno niente a che vedere con i gruppi jihaidisti”. 

Stando alla descrizione del movimento data dalla maggior parte dei giornali, Boko Haram sarebbe un gruppo di fondamentalisti folli, drogati e violenti, che agisce con il solo intento di destabilizzare il Paese e diffondere Al-Qaeda in Africa. Secondo Alain Chouet, ex ufficiale dell’intelligence francese (la DGSE), esperto di Islam e terrorismo, la questione Boko Haram sarebbe invece ben più complessa.

Segretario dell’ambasciata francese prima in Libano, poi in Siria, capo delle operazioni anti-terroristiche e infine membro dei servizi segreti, Alain Chouet ha scritto libri nei quali tenta di decostruire un approccio al terrorismo islamico che tende, dal 2001 in poi, a ricondurre qualunque azione e movimento ad Al-Qaeda. La sua analisi, pubblicata da Mondafrique.com, fa il punto sulle scelte politiche di Boko Haram e sugli equilibri che regolano il rapporto tra Nigeria e Paesi del Golfo. Al di là di tutte le ideologie e i fondamentalismi religiosi, infatti, ci sono in ballo questioni strettamente economiche.

L’interesse dell’Occidente verso il movimento esplode dopo lo spettacolare rapimento, orchestrato ad arte, secondo Chouet, di 250 studentesse nigeriane: l'incapacità del governo nigeriano di gestire la crisi spinge l’opinione pubblica internazionale a contare sull’intervento dei droni e delle intelligence occidentali. Abubakar Shekau, il capo dell’organizzazione terroristica, per Chouet è tutto fuorché un pazzo invasato: da sei anni a questa parte controlla migliaia di paramilitari e architetta azioni di forte impatto mediatico.

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Abubakar Shekau, capo di Boko Haram

“Le reazioni indignate delle élite europee e statunitensi sono per Boko Haram un attestato di esistenza, il riconoscimento della loro importanza”. 

Ma come si finanziano i terroristi?

Le attività di razzia e brigantaggio del gruppo contribuiscono sicuramente al pagamento dei mercenari e degli equipaggiamenti, ma dev’esserci dell’altro. Cosa? “Sponsor stranieri”. Chouet prevede che la gestione politica del rapimento prenderà molto tempo, e renderà necessario o liberare dei terroristi attualmente prigionieri, la qual cosa rafforzerà il prestigio di Shekau, oppure sferrare un attacco militare contro Boko Haram, con il rischio di conseguenze tragiche per gli ostaggi. L’obiettivo del gruppo terroristico, nel guadagnare tanta visibilità, sarebbe trovare gli appoggi dei finanziatori del jihadismo internazionale, che si trovano perlopiù presso le petromonarchie del Golfo. Anche se le posizioni ufficiali di Arabia Saudita e Qatar sono recentemente cambiate a seguito delle pressioni internazionali, i ricchi finanziatori privati del fondamentalismo islamico che si trovano in questi Paesi dipendono dal petrolio, e la Nigeria costituisce per il loro impero un caso particolare.

“Contrariamente a quanto raccontano gli esperti di terrorismo che vedono dal 2001 in avanti una tela tentacolare estendersi pian piano in tutto il pianeta”, osserva Chouet, “Boko Haram è innanzitutto un movimento insurrezionale locale, a base economica e sociale: recluta i suoi membri in Nigeria, approfittando delle diseguaglianze, della corruzione e delle drammatica situazione socio-economica del Paese”. Cosa c'è in ballo? Il petrolio.

A ben vedere, le operazioni di Boko Haram si collocano all’interno di un paese diviso tra il nord musulmano (45% della popolazione) e il sud cristiano (35%) e animista (20%): il peso della forza politica del nord musulmano (storicamente, i ruoli di potere dell’esercito appartenevano alle élite del nord) è decresciuto, anche in considerazione del fatto che la maggior parte delle riserve di idrocarburi - la Nigeria è il sesto esportatore di petrolio al mondo - si trova nel sud del Paese. L’insofferenza musulmana per il progressivo spostamento delle élite verso il sud cristiano, non ha fatto altro che alimentare la forza di Boko Haram. Il rovesciamento dei rapporti di forza in Nigeria non ha lasciato indifferenti gli Stati dell’OPEC.

La paura degli Stati arabi è che la Nigeria, sottratta all’influenza islamica, si lanci in politiche di nazionalizzazione del petrolio, non rispettando i vincoli dell’OPEC per mantenere il prezzo del barile al massimo sopportabile in ambito internazionale, oppure rifiutando l’accettazione del pagamento del proprio petrolio in dollari – così da permettere agli Stati Uniti di “esportare” il proprio debito interno.

Strumento nelle mani di poteri più grandi, Boko Haram serve a destabilizzare la Nigeria, a rendere il governo centrale dipendente dai Paesi della NATO. Niente di nuovo sotto il sole: “Ovunque Qatar e Arabia abbiano interessi, valigette piene di dollari vengono recapitate a gruppi terroristici, in Afghantistan, in Libia, in Tunisia, in Sudan, in Mali”, afferma Alain Chouet, concludendo: "Come tutti i jihadisti ispirati dal wahabismo salafita, Abubakar Shekau è uno strumento nelle mani delle petromonarchie. Se necessario, lo si sostituirà, come era successo con Mohammed Yusuf, ucciso dalla polizia nel 2009”.

 

Foto: Wikimedia, Wikimedia

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