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Qualche criterio per leggere i risultati elettorali

Il commento ai risultati elettorali somiglia molto da vicino al “lunedì dello sport”: discussioni infinite fra gli spericolati giustificazionismi dei perdenti impegnati e i crassi trionfalismi dei vincitori. È un copione già scritto: chi perde si arrampicherà arditamente sugli specchi cosparsi di vetril per lamentare il fuorigioco che l’arbitro (quel venduto!) non ha voluto vedere e la solita sfortuna che si accanisce, con l’ala destra che alla ripresa aveva la caviglia dolorante; chi vince vanterà la sicura superiorità atletica della sua squadra, l’impeccabile tecnica di gioco, la passione dei giocatori e via tifando. E, infatti, caratteristica del tifoso è la fede incrollabile che resiste a qualsiasi evidenza. D’altra parte, con il tifo, come con il cuore, non si ragiona. E nel calcio si può capire. Ma in politica il tifo fa solo danni, perché così non si impara mai niente dall’esperienza fatta.

Anche la politica ha a che fare con le passioni, ma bisogna sapersene difendere ed è bene che il militante non faccia il tifoso. Ad esempio, è classico che prima del voto il militante gonfi le aspettative e predichi che il proprio partito “prenderà il 6, ma che dico?, l’8% in più”, mentre dopo, al momento dei risultati, constatando che l’avanzata è stata dello 0,3%, sosterrà con pacatezza come si tratti di un risultato positivo e non trascurabile, nonostante la difficoltà della prova ecc. ecc.

O, vice versa, negherà la possibilità di una flessione prima, per poi minimizzarne la portata una volta che questa si sia verificata. Osservare tutto ciò è molto divertente, ma se vogliamo evitare, o almeno contenere, queste esibizioni di acrobazia intellettuale, un piccolo rimedio ci può aiutare: fissare prima della competizione i criteri con cui leggerne i risultati. Insomma, il ragionamento è semplice: poste alcune premesse (il dato di confronto, l’andamento dei sondaggi, la situazione oggettiva del singolo partito ecc.), fissare alcune soglie al di sopra ed al di sotto delle quali il risultato si qualifica come buono, discreto, mediocre o cattivo e, magari, fissare anche qualche dato comparativo per stabilire se alla vittoria numerica corrisponda una vittoria politica (o vice versa ad una sconfitta numerica una sconfitta politica).

Iniziamo. nel nostro caso, il dato di confronto è molto facile: le politiche dell’anno scorso che sono il test più recente e abbastanza somigliante. In teoria l’assenza del “voto utile” e il sistema proporzionale dovrebbero giocare a favore dei “piccoli” che sono più compressi nelle politiche dove si vota con il maggioritario. In secondo luogo si vota con la preferenza, il che dovrebbe avvantaggiare i partiti come il Ncd-Casini che vi fanno più frequente ricorso. Ma non è il caso di sopravvalutare questi fattori in una competizione così politicizzata e segnata dal ruolo dei singoli leader.

Le elezioni europee di solito segnano una partecipazione più bassa delle altre elezioni per una serie di ragioni (distanza fra l’elettore e l’istituzione, voto in una sola giornata ecc.) ed il trend generale fra politiche, amministrative ed europee è all’aumento dell’astensionismo. Anche i sondaggi rilevano una tendenza a non superare il 55-65% di partecipazione al voto. E non è detto che la tendenza ad astenersi si spanda omogeneamente fra i diversi schieramenti, il che, ovviamente, può alterare i rapporti di forza.

Il Pd: nelle politiche ebbe 8.644.000 voti pari al 25,42. È il grande favorito dei sondaggi che promettono fra il 32 ed il 35% (tuttavia, nelle ultime settimane gli stessi istituti demoscopici hanno leggermente ridimensionato queste aspettative, segnalando un certo affanno). A favorire l’ascesa del Pd dovrebbero essere la polverizzazione del centro montiano (che aveva preso un 10,6% cui andrebbe aggiunto l’1,12% di Fid), la probabile flessione del blocco Sel-Rivoluzione Civile (che totalizzavano un 5,45% che ragionevolmente non ripeteranno), le aspettative non buone del centro destra ed in particolare di Fi. Per cui il Pd ha un competitore in ascesa nei sondaggi, il M5s.

D’altra parte, la recente elezione di Renzi alla segreteria e la sua ascesa alla Presidenza del Consiglio si ritiene debbano dare nuovo ossigeno al partito. Va però detto che il caso Expo può danneggiare il Pd. Per cui, sul piano dei numeri puri e semplici possiamo ipotizzare questi scenari:

a- Pd dal 33% in su: vittoria piena, consacrazione di Renzi come leader e prosecuzione della sua agenda politica

b- Pd dal 31 al 32,9%: risultato in sé notevole (+6 o 7%) ma ridimensionato nella percezione dall’attesa di risultati migliori, per cui si plana su un “discreto”. Renzi esce rafforzato dalla prova.

c- Pd dal 29 al 30,9%: risultato in sé buono (+4 o 5% circa), ma, date le premesse dei sondaggi e lo “sgonfiamento del centro”, sostanzialmente mediocre. L’immagine di Renzi si appanna e l’agenda delle sue riforme costituzionali si ferma.

d- Pd dal 26 al 28,9%: risultato cattivo, nonostante l’avanzata percentuale, che segnerebbe l’inizio della parabola discendente di Renzi e agiterebbe molto le acque nel Pd

e- Pd dal 25,9 in giù: risultato disastroso che determinerebbe il rapido declino di Renzi e la crisi del Pd

Forza Italia: come Pdl ebbe il 21,57% con 7.332.000 voti. Nel frattempo ha subito la scissione del Ncd, tuttavia, nel blocco di centro destra c’erano una serie di liste minori (la Destra, Moderati in rivoluzione ecc.) oggi assenti, che totalizzarono circa mezzo milione di voti con circa l’1,7%. Fi è la grande sfavorita dei sondaggi che, quasi unanimemente, la danno sotto il 20% con punte in basso del 17%. Berlusconi non sembra aver ritrovato lo smalto della scorsa volta e i casi Dell’Utri, Scajola, Expo ecc, possono aver ulteriormente appesantito la situazione. Per cui:

a- Fi dal 21,5% in su: successo pieno e “resurrezione del Cavaliere” che potrebbe liquidare i concorrenti del Ndc e rilanciare la propria partecipazione al governo

b- Fi dal 20 al 21,4%: successo con tendenza alla ripresa

c- Fi dal 18 al 19,9%: risultato fra il mediocre (18%) ed il sufficiente (19,9%), la caduta ci sarebbe ma sostanzialmente contenuta e la leadership sul centro destra non sarebbe in discussione

d- Fi dal 16 al 17,9%: sconfitta che apre le porte ad una crisi totale del partito perché metterebbe in dubbio tanto la leadership del centro destra quando la possibilità di mettere in coalizione tutti i partiti del centro destra (da Alfano alla Lega) e, in mancanza di ciò, escluderebbe il centro destra da un eventuale ballottaggio

e- Fi sotto il 16%: risultato disastroso che produrrebbe probabilmente una rapida dissoluzione del partito e l’esclusione quasi matematica del centro destra da eventuale ballottaggio.

M5s ha avuto 8.689.458 voti pari al 25,56%; i sondaggi si sono modificati in corsa e, partiti da circa il 21-22% delle prime settimane, sono arrivati a circa il 27%. Il movimento ha avuto una vita tormentata con frequenti abbandoni ed espulsioni di parlamentari, ma ha condotto diverse battaglie di opposizione (come quella sulla Banca d’Italia) che lo hanno costantemente tenuto sotto i riflettori.

Nella scorsa occasione risultò molto sottostimato nei sondaggi, probabilmente perché il movimento raccoglie molti consensi fra i Vlm (Voters last minute) che decidono nelle ultime 72 ore. Pertanto:

a- M5s dal 28% in su: vittoria secca, il movimento sarebbe quasi certamente uno dei due ammessi ad un eventuale doppio turno, per cui, il primo effetto sarebbe l’abbandono dell’Italicum sine die

b- M5s dal 26,5 al 27,9%: avanzata e probabile candidatura ad eventuale ballottaggio, sostanziale successo

c- M5s dal 24,5 al 25,4: sostanziale tenuta, indicherebbe un iniziale radicamento del movimento e, con esso, della tripartizione del sistema politico, ma indicherebbe anche che il M5s ha probabilmente toccato il tetto del suo elettorato potenziale, almeno per questa fase politica. Sostanziale stallo e partecipazione non sicura ad un eventuale ballottaggio.

d- M5s dal 24,4 al 20%: sconfitta più o meno accentuata, ma passibile di recupero. Probabilissima esclusione da eventuale ballottaggio.

e- M5s dal 19,9% in giù: secca sconfitta con probabile inizio della crisi del movimento

Per i competitori minori i calcoli sono molto più semplici: per la Lega si tratta di riprendere a crescere dopo la crisi seguita alla débacle bossiana, diciamo che dal 6,5% in su, Salvini potrebbe parlare di vittoria. Per Fdi e Lista Tsipras si tratta di fare il 4% ed entrare nel Parlamento europeo, quel che sarebbe una vittoria piena, mentre una sconfitta potrebbe portare alla dissoluzione (soprattutto la Lista Tsipras che non è composta da una sola forza politica).

Particolare il caso del Ncd che non ha elementi di raffronto partecipando per la prima volta a delle elezioni, diremmo che il risultato minimo è superare la soglia del 4%, al di sotto della quale il partito si squaglierebbe e ci sarebbe ragionevolmente la crisi di governo con effetti imprevedibili. Un risultato di “sussistenza si collocherebbe fra il 4 ed il 6%, che diventerebbe discreto sino al 7,5% per diventare molto buono da quel limite in su, candidando il partito alla leadership del centro destra, soprattutto se questo si accompagnasse ad una severa flessione di Fi (dal 17 in giu, per intenderci).

Ora veniamo a quella particolare alchimia che trasforma i risultati elettorali in risultati politici. Ovviamente tutti devono tenere un occhio al numero assoluto di voti, perché gli elettori che non hanno votato, in buona parte potrebbero tornare in prossime elezioni politiche, sconvolgendo il quadro. Per cui, avanzare in percentuale ma restando più o meno agli stessi numeri assoluti non è un buon risultato e, peggio ancora, avanzare percentualmente ma perdendo voti assoluti, definisce la vittoria come un fuoco di paglia. Ma, soprattutto ci sono successi elettorali che si trasformano in sconfitte politiche per la chimica dei risultati.

Chi rischia di più, in questo senso, è Renzi che - oltre che da un risultato troppo inferiore alle aspettative - deve guardarsi da questi rischi:

a- che la distanza fra Pd e M5s scenda sotto i 5 punti: questo significherebbe che il M5 è un competitore credibile da cui guardarsi e questo potrebbe avere contraccolpi nel partito dove, i suoi compagni potrebbero “consigliargli” di concentrarsi sul governo, lasciando ad altri
la cura del partito. Dopo di che, sfilatogli il partito, inizierebbero a cucinarlo a fuoco lento. In ogni caso, la sua immagine di “vincente” sarebbe seriamente appannata.

b- che Fi vada troppo male, perché questo implicherebbe la fine della sua agenda di riforme costituzionali e il probabile arrivo al ballottaggio del M5s che sarebbe un competitore più nuovo ed insidioso

c- che vada troppo male il Ncd perché questo potrebbe portare allo scioglimento del partito e, quindi, alla crisi di governo con rischio di elezioni e senza legge elettorale maggioritaria.

Un po’ meno rischia Grillo: se il distacco dal Pd supera i 6-7 punti la corsa solitaria del M5s non appare più competitiva, a meno di fatti imprevedibili. Grillo poi deve stare attento ad una cosa: le europee sono il test per certi versi più favorevole ad un movimento che rifiuta alleanze, infatti nelle europee ciascuno si presenta da solo. In secondo luogo, il m5s dà il meglio di sé nelle competizioni nazionali, dove valorizza al massimo la sua carica antisistema, ma va molto meno bene nelle amministrative, dove la “lista di sconosciuti” funziona molto meno. Quindi, se un’eventuale affermazione percentuale non si accompagna ad un aumento in voti assoluti non è un buon risultato ed occorrerà pensare molto bene a come affrontare le amministrative del prossimo anno, non potendo rischiare situazioni di tipo sardo.

Berlusconi, anche se avesse per ipotesi un 22-23%, che in queste condizioni sarebbe un clamoroso successo, deve temere sia una affermazione troppo forte del M5s (ad esempio al 29-30%), che lo metterebbe virtualmente fuori da una competizione a due, sia un successo troppo forte del Ncd che ne insidierebbe la ledership di schieramento. Ma anche una vittoria di Fi ottenuta vampirizzando gli eventuali alleati non sarebbe un bel risultato: ad esempio se Ndc e Fdi andassero sotto quoziente, la sommatoria del centrodestra potrebbe non essere sufficiente ad entrare in ballottaggio e, comunque, questo lo consegnerebbe nelle mani della Lega unico possibile alleato di qualche peso.

Per tutti gli altri (Ncd, Lista Tsipras, Lega e Fdi) la “chimica” conta poco, quel che serve è il proprio risultato. Adesso vediamo come va.

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