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Siae: cancellato l’assegno di professionalità. La voce di un autore

È possibile che una notizia non venga trattata come tale? Al di là dei diversi pareri che ognuno potrà farsi, l’intervista di oggi rappresenta in primis un’occasione per parlare di un fatto attraverso gli occhi di chi l’ha vissuto. Nasce così l’intervista a Fabio Capecelatro, chitarrista con una passione smodata per i Beatles ma soprattutto scrittore di libri per bambini e giornalista, appassionato di una scrittura ironica e beffarda che strapperebbe un sorriso al lettore più esigente.

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Fabio Capecelatro
Fabio Capecelatro

Chi è Fabio e come lo definiresti?

Mi definirei un inutile scribacchino, che non è un pianto vittimistico ma solo la constatazione di quello che è il mio attuale ruolo nella società. Diciamo meglio: uno scrittore senza mercato, che oggi significa essere del tutto inutile… appunto.

Perché hai accettato di rilasciare questa intervista?

È da tempo che cerco di far conoscere un problema tanto grave quanto del tutto ignorato: sono rimasto vittima – insieme ad altri autori – di un provvedimento brutale e iniquo, che in molti casi ha avuto conseguenze drammatiche non solo sul piano economico, ma anche su quello psicologico e morale.

Spiegaci nel dettaglio quello che ti è successo.

La vicenda è piuttosto complessa, ma proverò per quanto possibile a sintetizzarla: esisteva fino al 2011 un istituto che si chiamava “assegno di professionalità”, un vitalizio di 615 euro che spettava agli autori (musicisti, scrittori, autori radio e televisivi) dal sessantesimo anno di età in poi. Per pagare tale vitalizio si attingeva al Fondo di Solidarietà della Siae, che era alimentato in gran parte dagli autori stessi, con una trattenuta sui diritti, e in parte dagli editori con una piccola percentuale. Orbene, dal gennaio 2012 l’erogazione di quell’assegno è stata abolita con una delibera approvata segretamente dai commissari straordinari (nominati nel 2011 dall’allora ministro della cultura Bondi), cogliendo tutti di sorpresa. Ed è facile immaginare cosa abbia significato trovarsi di punto in bianco a non poter più disporre di una somma che, seppure modesta, era utile per pagare un affitto, le spese quotidiane, in molti casi le medicine. Non credo ci siano parole per commentare adeguatamente un atto così selvaggio.

Perché reputi che questa vicenda non abbia avuto il giusto risalto sui media?

Dopo aver cercato di contattare con sforzi sovrumani l’intero mondo dell’informazione italiana, ho la netta sensazione che ci sia una specie di soggezione nei confronti di un’istituzione che evidentemente è una roccaforte di potere super-corazzata. Ho scritto a giornalisti di rilievo, a direttori di giornali, agli ex ministri della cultura Ornaghi a Bray, a nome di centinaia di autori. Ma nessuno, neanche tra i giornalisti che vantano da sempre la propria indipendenza, mi ha mai dato uno straccio di risposta. Come se sulla Siae non fosse permesso scrivere. 

Nonostante il poco risalto mediatico, vi siete comunque rivolti alla giustizia. Quale pensi che sarà lo sviluppo dell’iter “giudiziario”?

È difficile dirlo, so ben poco di giurisprudenza ma quanto basta per poter dire che le leggi e i cavilli in Italia sono numerosi e complicati, e in sostanza servono per annullarsi reciprocamente, per cui una sentenza dipende sempre da una interpretazione, non già dall'applicazione di un diritto chiaro e incontrovertibile. In altre parole devi sperare non tanto di avere la legge dalla tua parte, ma di incontrare un giudice che sposi benevolmente la tua causa, che è proprio l’esatto opposto dello stato di diritto. Quindi le probabilità sono al 50 per cento. Ci sono aspetti e retroscena piuttosto complessi: i commissari che hanno approvato la delibera si sono fatti forti di una sentenza del Consiglio di Stato del 1992, secondo la quale i benefici del Fondo andavano estesi a tutti, iscritti e soci (mentre per statuto erano riservati ai soli soci). La sentenza in sé è piuttosto bislacca: per diventare soci occorreva un’istruttoria dalla quale risultava che tu eri autore di professione e non sporadicamente, come accade per migliaia di iscritti (i quali spesso svolgono altri e più remunerativi mestieri, per cui accedere al vitalizio sarebbe stato per loro solo un arrotondamento). Ma il punto è un altro: la delibera non applica affatto le disposizioni della sentenza, perché non solo non estende il beneficio, ma lo sottrae a quelli che comunque se lo erano conquistato. È un po’ come se un medico, non potendo curare tutti i suoi pazienti, li uccidesse in modo da non fare torto a nessuno. Ripeto, secondo me quella sentenza era solo un pretesto, e adesso tutto sta a convincere i giudici che comunque eravamo titolari di un diritto acquisito. Cosa non semplice, visto la fine che stanno facendo i diritti da qualche decennio a questa parte. Per dovere di cronaca è giusto aggiungere che il nostro primo ricorso al Tar è stato respinto nel luglio 2013, e adesso ci siamo appellati al Consiglio di Stato. C’è però un aspetto che trovo per lo meno imbarazzante ed inquietante: il presidente della terza sezione del Tar, Franco Bianchi, che ha respinto il nostro ricorso, proprio qualche giorno prima è stato indagato per corruzione (vedi articolo La Repubblica.it del 2 luglio 2013). È vero che fino alla fine del percorso giudiziario ogni indagato è innocente, ma un Presidente di tribunale non è una persona qualsiasi e, se permetti, vorrei che chi firma una sentenza che mi riguarda in modo vitale sia una persona al di sopra anche del minimo sospetto. Mettiamoci poi che anche il direttore generale della Siae Gaetano Blandini nel 2012 è stato indagato insieme ad Anemone e Balducci nelle inchieste sul G8 e sui grandi eventi (vedi articolo Il Messaggero.it del 17 maggio 2012). Dico queste cose per fare capire quanto sia dura e faticosa la nostra lotta e quanto il contesto nel quale ci muoviamo non sia del tutto limpido.

Una situazione complicata che forse ha spinto qualcuno ad ipotizzare addirittura la “chiusura della SIAE” così come è oggi…che ne pensi?

Più che di chiusura si parla di liberalizzare il mercato e aprire a più società di collecting, dato che la Siae detiene il monopolio e questo ne fa uno dei soliti carrozzoni per fare soldi. Del resto la vicenda dell’assegno ha avuto l’effetto di consegnarla definitivamente in mano agli autori ricchi e agli editori, mettendo brutalmente fuori gioco tutti gli altri. È una partita truccata: con il nuovo statuto, il sistema di voto degli organismi sociali è basato sul censo, ovvero il mio voto vale uno più un voto per ogni euro di diritto d’autore incassato. Con questo sistema da ancien régime moltissimi autori sono del tutto tagliati fuori, e spesso si tratta di autori bravissimi ma che non hanno avuto la fortuna di incassare milioni. Ora con Gino Paoli alla presidenza la Siae si “rinnova” (tra virgolette) alla stregua di un centro commerciale con iniziative ridicole come la Siae Card (una tessera riservata agli associati, che permetterà di ottenere sconti presso numerosi esercizi che hanno aderito all’iniziativa), un’autentica presa per i fondelli. Io gliel’ho rimandata indietro. Di questa Siae non so che farmene, e se chiude ti rispondo alla Clark Gable: “Francamente me ne infischio”.

Nella tua storia professionale ci sono collaborazioni con testate giornalistiche nazionali di rilievo (La Repubblica, L’Unità, Cuore): cosa ne pensi della stampa di oggi?

Questa però è una domanda che si fa a personaggi autorevoli… cercherò di calarmi nella parte. Ebbene, ne penso molto male, il giornalismo è diventato cialtrone, isterico e servile. Non che prima non lo fosse, ma diciamo che questi aspetti risaltavano di meno. Ora si vive solo confezionando scoop campati in aria o costruendo informazioni inesistenti, notizie clamorose che si succedono di ora in ora, accompagnate da puntuali smentite. Molti giornalisti ignorano del tutto l’abc del giornalismo, a partire dalla regola delle cinque W e passando per il famoso aneddoto dell’uomo che morde il cane, e puntano tutto sull’emotività spacciando magari per notizie episodi strappalacrime senza alcuna importanza. Il risultato è che alla fine il giornalismo perde credibilità, e l’informazione, quella vera, bisogna andare a cercarsela da soli. Il che non è affatto semplice, neanche per gli addetti ai lavori.

Che consiglio daresti ad un ragazzo di oggi che decide di intraprendere la carriera giornalistica?

Di pensarci bene e, se è ancora in tempo, di darsi all’idraulica o a qualche altro lavoro che garantisca di guadagnare davvero. La mia prima collaborazione mi fu pagata 250 mila lire (circa 125 euro), oggi se mi pagano un articolo 10 euro devo fare i salti fino al soffitto per la gioia. È un mestiere del tutto squalificato. Non basta neanche essere bravissimi, perché i meccanismi per lavorare rimangono ancora quelli della conoscenza e della capacità di entrare in un giro di gente che conta. Poi gli editori sono abbastanza taccagni e miopi da non investire sulla bravura, ma più sul giornalismo cialtrone e urlato di cui parlavo prima, che ha molto mercato e non richiede bravi professionisti ma docili registratori di futilità.

Come immagini Fabio nel prossimo futuro?

Deceduto in attesa di giudizio… morirò prima che un magistrato mi restituisca il mio sacrosanto diritto. Conoscendo i tempi della giustizia, dunque potrei campare ancora abbastanza a lungo… magari povero, ma a lungo.

E per finire, come disegneresti l’Italia?

Chicago anni Trenta, un paese dominato da bande di gangster in costante guerra tra loro, con la differenza che quella aveva almeno un fascino sinistro da consegnare al cinema d’azione, i nostri lestofanti invece sembrano solo patetici residuati della commedia all’italiana. Ecco la nostra tragedia, ci fanno talmente ridere che non riusciamo a considerarli un problema serio del quale sarebbe opportuno sbarazzarsi al più presto.

 

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