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Il divorzio tra società e politica

 
È passata un po’ in sordina la ricorrenza dei quarant’anni dal referendum sul divorzio. Poteva essere l’occasione per un bilancio sulla legislazione vigente e per una riflessione sul significato di quella data, la cui importanza è spesso sottovalutata. Ma anche per un confronto tra due periodi storici che sembrano ancora più lontani di quanto non siano realmente.

La vittoria del “No” giunse un po’ inaspettata: non si riteneva che la società fosse così avanzata, che le opinioni della popolazione italiana fossero così simili a quelle dei nostri vicini europei. I risultati della consultazione diedero la spinta per riforme ancora più rilevanti, la legge 194 su tutti. E il successivo referendum sull’aborto mostrò in maniera ancora più netta come i cittadini volessero una società più giusta e civile. Il vento del cambiamento sembrava soffiare forte, a quel tempo, anche nel panorama politico.

Fu invece un’occasione sprecata. Quella stagione durò ben poco, e cominciò — già con il neo-concordato Craxi-Casaroli — l’inverno dei diritti laici, che dura ancora oggi e che ci ha portato a distanze ormai siderali dalle altre nazioni occidentali. Non solo i cosiddetti “nuovi diritti” (da quelli bioetici alle unioni omosessuali) non riescono a entrare nelle agende politiche, ma persino quelli ottenuti ormai quattro decenni fa faticano enormemente a essere aggiornati. Basti pensare al dilagare dell’obiezione di coscienza nelle corsie degli ospedali oppure, per restare sull’argomento, ai tempi letteralmente “biblici” necessari per ottenere un divorzio. Succede così che chi avvia una nuova vita di coppia finisce per soggiornare a lungo nel girone delle famiglie dimenticate dalla legge.

Ogni tanto il tema ritorna agli onori della cronaca: Renzi che a gennaio ripropone una proposta soft sulle unioni civili, il parlamento che da anni cerca di trovare una maggioranza sul divorzio breve. Ma ogni tentavo di aggiornare il diritto di famiglia suscita l’immediato altolà delle gerarchie ecclesiastiche: il cardinale Bagnasco si è dichiarato contento dei tempi lunghi per divorziare, perché servono “a far decantare le emotività”. Stando alla cronaca (anche quella nera) risulterebbe che spesso le esasperino. Ma non si può pretendere da un porporato una conoscenza approfondita delle dinamiche di coppia.

Cosa è andato storto, in questi decenni? La differenza più evidente è che negli anni Settanta i politici sembravano anticipare le aspirazioni civili della società, mentre ora non mostrano alcuna fretta di assecondarle. Difficile dire se sia dovuto a opportunismo, a incapacità di ascolto o persino a limiti d’intelletto: quel che è certo è che se prima fungevano da avanguardia, ora sono rimasti molto indietro. Alle loro spalle non c’è ormai che la sola Conferenza episcopale.

 

 

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