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La vendetta dell’Iran sui prigionieri di coscienza dimenticati dal mondo

Dall’elezione del presidente Hassan Rouhani, il tema dei diritti umani è progressivamente scomparso dall’agenda dei rapporti della comunità internazionale con l’Iran, con – a volte – la sola eccezione della pena di morte, applicata in modo sempre massiccio.

Non si parla certamente più dei prigionieri di coscienza e questo silenzio facilita non solo le nuove condanne ma anche le rappresaglie nei confronti degli oppositori finiti dietro le sbarre e degli organizzatori delle proteste in carcere.

Shahrokh Zamani, un pittore e decoratore di 49 anni di Tabriz, è stato condannato nell’agosto 2011 a 11 anni di carcere per aver preso parte a una campagna in favore dell’istituzione di sindacati indipendenti. I reati: “atti contro la sicurezza nazionale mediante l’istituzione o la partecipazione a gruppi che si oppongono al sistema” e “diffusione di propaganda contro il sistema”.

Il 13 ottobre 2012, Zamani è stato trasferito da Tabriz a Karaj, dove si trovano due famigerate prigioni: Raja’i Shahr e Ghezel Hassar. A Raja’i Shahr, all’inizio di marzo di quest’anno, ha iniziato lo sciopero della fame in segno di protesta per la distruzione della biblioteca del carcere. Lo hanno trasferito a Ghezel Hassan. Dopo 38 giorni di rifiuto del cibo e la perdita di 22 chili di peso, il 14 aprile ha terminato la protesta. Quel giorno le autorità lo hanno trasferito di nuovo a Raja’i Shahr, nel reparto dei prigionieri pericolosi. Nel tragitto, i secondini lo hanno picchiato e gli hanno rotto gli occhiali. Il 18 aprile è stato convocato per interrogatori e minacciato di un’ulteriore condanna per “disturbo all’ordine pubblico”, qualora avesse ripreso lo sciopero della fame.

Shahrokh Zamani è in cattive condizioni di salute ma non ha avuto ancora accesso a cure mediche.

Un’altra protesta, stavolta nel carcere di Evin nella capitale Teheran, si è svolta nelle ultime settimane. Il 17 aprile agenti del ministero dell’Intelligence e un centinaio di secondini hanno fatto irruzione nella sezione 350 (quella dei prigionieri politici e di coscienza) per perquisire le celle e porre fine – secondo quanto dichiarato da Gholam Hossein Esmaili, direttore delle prigioni, rimosso dall’incarico negli ultimi giorni – a un traffico illegale di schede telefoniche e telefoni cellulari.

Il risultato della rovinosa “perquisizione”: 30 prigionieri feriti, quattro dei quali ricoverati in ospedale (due con le costole rotte, un terzo colpito da un infarto). Nei giorni successivi, 32 prigionieri sono stati messi in isolamento: tra questi, l’avvocato Abdolfattah Soltani, l’attivista per i diritti della minoranza azera Sa’id Metinpour, l’ex magistrato Mohammad Amir Hadavi, l’attivista per il diritto al lavoro Behnam Ebrahimzadeh e gli attivisti politici Behzad Arabgol e Hootan Dolati. Diciassette sono rientrati nella sezione 350, altri 15 restano in isolamento.

Intanto, proprio nella sezione 350, 34 prigionieri politici hanno intrapreso uno sciopero della fame.

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