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Se i Pigs cercano di smarcarsi dall’abbraccio mortale della Troika

Il difficile dietro-front è cominciato a dicembre dello scorso anno ad opera dell'Irlanda, che dopo tre anni e quasi 70 miliardi di finanziamenti, ha deciso di non ricevere più protezione da Bruxelles e Washington.
 
Nelle prossime settimane anche il Portogallo sembra intenzionato ad uscire dal programma di aiuti da 78 miliardi di euro concordato nel 2011 con la Troika (composta da Ue, Bce, Fondo Monetario). Un percorso di smarcamento rinforzato dal recentissimo ritorno sui mercati internazionali: Lisbona infatti ha piazzato 750 milioni di euro di titoli di stato decennali al "modico" tasso d'interesse del 3,6%, incredibile se rapportato al 15% offerto nel 2012, all'apice della crisi.
 
Il premier portoghese Pedro Passos Coelho ha così spiegato questo passaggio storico: 
"C'è la volontà di riconquistare la piena sovranità nazionale, di non avere più la pressione delle Troika, di riguadagnare margini politici di decisione".
Anche perchè richiedere maggiori aiuti non sarà proprio una passeggiata. Lo sa bene la Grecia, pronta al terzo piano di salvataggio in arrivo dai creditori internazionali. Atene non riesce a far fronte alla mole gigantesca del suo debito pubblico, che nel 2013 ha toccato quota 175% del Pil e probabilmente raggiungerà il 177,2% alla fine del 2014. 
 
Non basterà una lenta e graduale ripresa economica, che secondo le previsioni della Commissione Europea registrerà un + 0,6% quest'anno, 2,9% nel 2015 e 3,7% per il 2016. Ammesso che il Pil greco possa crescere a tal punto, interrompere la spirale perversa del debito sarà un'impresa ardua, per usare un comodo eufemismo.
 
Salvato due volte, dopo il rischio default nel 2010, il governo di Samaras si è riaffacciato sui mercati finanziari collocando con successo 3 miliardi di titoli quinquennali ad un tasso del 4,95%. Quasi un miracolo se pensiamo che appena due anni fa chi voleva investire sul rischio dei "sirtaki bond" poteva essere ricompensato con un rendimento di oltre il 30%. 
 
A completare la lista dei Pigs (fortunato acronimo coniato negli anni '90 per indicare le fragili economie dell'Europa meridionale, inizialmente era riferito a Portogallo, Italia, Grecia e Spagna, ma nel linguaggio giornalistico il nostro paese è stato di fatto sostituito dall'Irlanda nel 2010, ndr) rimane la Spagna, che nonostante la recessione non ha mai smesso di finanziare il suo debito sui mercati. Anche il governo guidato da Mariano Rajov aveva annunciato già a dicembre dello scorso anno l'intenzione di uscire dal programma di sostegno di Bruxelles, avviato nel 2012 con un prestito internazionale di 41 miliardi che ha consentito a Madrid di salvare con una massiccia ricapitalizzazione il suo sistema bancario al collasso.
 
Non sappiamo ancora se l'uscita di Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna dalla linea rigorista della Troika Bce-Ue-Fmi porterà miglioramenti nei malandati conti pubblici e pro(pre)messe di sviluppo, ma intanto possiamo quantificare i costi dei rispettivi piani di stabilizzazione: il tasso di disoccupazione è triplicato in Grecia e quasi raddoppiato negli altri paesi, passando da 3,5 a circa 8,5 milioni di persone, mentre i minori di 18 anni che vivono in una famiglia senza reddito sono aumentati da 28 a 56 milioni, senza dimenticare il calo costante del reddito pro-capite medio. 
 
Con questi dati, secondo il Fondo Monetario Internazionale, serviranno almeno 10 anni per tornare ai livelli occupazionali pre-crisi. E forse non basteranno neanche quelli. 

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