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Per una riforma democratica del Senato

L’architettura costituzionale del Senato, disegnata da Renzi, nasce e si sviluppa in una logica aziendale che combina insieme contenimento dei costi politici delle istituzioni e riduzione dei tempi decisori del Parlamento. Questa impostazione è stata formalizzata in un disegno di legge che viola l’equilibrio dei poteri tra Parlamento e governo, già precario e sbilanciato a favore dell'esecutivo. E così la riforma proposta dal Governo apre una breccia nelle barriere protettive del regime parlamentare e prepara il passaggio della nostra repubblica, ad un regime presidenziale.

Di qui la necessità di un disegno alternativo, che superi la riforma di Renzi, che sa di autoritarismo e di vecchio.

Tuttavia, la riforma del Senato coglie un’esigenza di rinnovamento delle Istituzioni che non può essere trascurata.

In una società globale, dove competono i sistemi paese e quindi gli Stati, la rapidità delle decisioni politiche e della formazione delle leggi non sono un optional, ma fattori competitivi. In un mercato mondiale prevale chi decide prima. Ancorare la politica alla realtà che avanza, adeguare la velocità della politica alla velocità della società, stabilire un raccordo tra il sistema istituzionale/politico, e il sistema socio/economico, sono dunque esigenze reali. E d’altra parte l'imobilismo politico, il blocco della produzione legislativa, la lentezza dei processi decisionali, contrastano con i principi democratici.

È necessario dunque sbloccare la produzione legislativa e velocizzare la formazione delle leggi. Per tali scopi, sono stati ridotti i tempi di intervento dei Parlamentari, utilizzati con frequenza eccessiva decreti legge ed introdotta la ghigliottina. Il tutto in una logica aziendalistica che ha danneggiato la democrazia, i diritti dell'opposizione e non ha dato i risultati sperati. Ma il Senato non è un'azienda, è un organismo politico e in un organismo politico, i termini di efficienza ed efficacia hanno un significato diverso rispetto a quello riferibile ad un'impresa. In un organismo politico, efficacia ed efficienza si costruiscono sulla governabilità che esprime la capacità del Parlamento di legiferare con efficienza e sulla rappresentatività, che esprime il grado di sovranità di ciascun provvedimento legislativo.

E tuttavia la riforma democratica del Senato non può eludere il problema della lentezza del processo legislativo, ma lo risolve in una logica che concilia velocità della legge e democrazia. A tale scopo, si rende indispensabile un disegno costituzionale che, nel rispetto dell’equlibrio tra rappresentatività e governabilità, apra ad una nuova centralità del Parlamento alla democrazia partecipativa, alla cooperazione, tra Parlamento nazionale e Parlamento europeo.

In questa logica e per questi obiettivi, è ipotizzabile una riforma democratica del Senato.

Nel definire una proposta alternativa, occorre considerare che il processo di riorganizzazione del Senato investe un soggetto politico. E questo è un primo punto di riferimento; il secondo punto è lo scenario reale su cui viene ad incidere la riforma; il terzo punto è una maggiore funzionalità del sistema; il quarto punto sono le nuove realtà che un processo riorganizzativo deve considerare.

In tale ottica la stessa definizione del numero dei parlamentari non può che essere il risultato della combinazione ottimale tra rappresentatività degli interessi delle articolazioni sociali del Paese e govenabilità. In sostanza si tratta di stabilire quanta rappresentatività, e quindi quanti parlamentari, s'intende sacrificare per raggiungere la velocità ottimale nella produzione delle leggi.

E d’altra parte, non si possono sottovalutare l’importanza e la necessità del risparmio negli organismi pubblici e della velocità di formazione degli atti legislativi, ma questi non devono essere i criteri ispiratori della costruzione della riforma.

I criteri ispiratori sono: la velocità delle leggi nella realizzazione dei loro obiettivi e la democrazia del processo formativo.

Occorre velocizzare, ma nel rispetto della democrazia e dei diritti dell'opposizione. E per fare questo bisogna incidere sulle cause reali della lentezza della politica.

  • Le cause reali della lentezza delle leggi

Esperienze precedenti ci hanno rivelato che non si è inciso sulle cause reali della lentezza delle leggi. L’utilizzo spropositato dei decreti legge, la ghigliottina, la riduzione dei tempi di intervento, non sono valsi a scongiurare alcuna inefficienza. Regole nate per velocizzare non hanno velocizzato.

Le norme si sono rivelate ininfluenti sui tempi del processo legislativo, ma non sono la causa reale della lentezza del processo legislativo.

Se le inefficienze del processo legislativo non dipendono dalla doppia lettura dai regolamenti delle camere da che cosa dipendono?

  • I fattori accellerativi delle leggi

La realtà e la politica marciano a velocità diverse. Non ci sono vie di mezzo, la realtà o si anticipa o si rincorre. Fino ad oggi la politica ha rincorso e non anticipato la realtà e ciò deriva dal pragmatismo, dal decidere giorno per giorno. Se ritardi e vischiosità del processo legislativo sono imputabili al pragmatismo, la politica deve abbandonare l’approccio pragmatico. Ma sopratutto deve sviluppare una visione politica e con essa la capacità di produrre progetti proiettati nel futuro che coprano più anni. Insomma deve acquisire un approccio programmatico alle problematiche socio/economiche del Paese.

Dunque niente pragmatismo, niente rincorsa della realtà, ma programmazione e visione politica per velocizzare la produzione delle leggi.

E d’altra parte, il contingentamento dei tempi di intervento, la ghigliottina, e l'eliminazione di un ramo del Parlamento, sono strumenti di efficienza aziendale, ma producono inefficienza politica, giacché riducono:

a) la qualità delle leggi e quindi la loro capacità di fornire i servizi ai cittadini in tempi rapidi

b) il grado di democrazia nel loro processo elaborativo.

Per questo, una riforma del Senato deve assicurare anche, con la modifica dei regolamenti parlamentari, il pieno sviluppo del confronto dialettico tra maggioranza e minoranza. La doppia lettura, la discussione, il ragionamento, non sono una perdita di tempo, ma consentono una costruzione meditata della normativa e servono ad evitare possibili errori. Il controllo interno dei due rami del Parlamento, le valutazioni di giornalisti ed intellettuali, sono un contributo fondamentale per la qualità del provvedimento.

E la qualità del provvedimento assicura la sua velocità nel raggiungimento degli scopi per cui esso è nato, siano essi un incentivo alla imprese, il finanziamento di un'opera pubblica o un taglio irpef.

La legge è un servizio al cittadino, e per questo non esaurisce la sua funzione con la pubblicazione della legge sulla gazzetta ufficiale, ma il suo utilizzo da parte dei cittadini. Una legge che completa rapidamente il suo processo formativo non è veloce, se è lento il suo utilizzo. Se una legge, offre un incentivo alle imprese e queste fanno fatica ad utilizzarlo, la velocità formativa di questa legge non contribuisce alla competitività delle imprese beneficiate. La lentezza applicativa non solo non aiuta la concorrenza, ma è anche fonte di spechi per il cittadino e lo Stato. Per questo l'idoneità della legge ad essere interpretata in maniera univoca è a tradursi in atti operativi semplici per il cittadino che li usa e per il burocrate che li applica, produce risparmio, ma sopratutto opera come fattore accellerativo della legge.

La velocità della legge non si misura, dunque, solo nel processo formativo del provvedimento, ma anche in quello applicativo.

  • La centralità del Parlamento

Nella definizione dei tratti salienti di una riforma del Senato alternativa a quella di Renzi, occorre individuare gli spazi d'intervento a partire dalla situazione reale in cui vive il Senato, i poteri che in esso operano e le nuove realtà politiche e sociali che stanno emergendo.

Nella situazione reale balza evidente la marginalità del Parlamento, la debolezza dei sindacati e dei partiti. Il Parlamento è indebolito da anni, ormai si legifera solo con decreti legge. La riforma del Senato e la legge elettorale, potenziano ulteriormente l’esecutivo.

La prima riduce la funzione legislativa del Parlamento, la seconda gli sottrae, con soglie e poteri di sbarramento, i contrappesi per controbilanciare i poteri degli apparati e dei leaders di turno dei partiti.

Le liste bloccate, la legittimazione elettorale del premier, riducono il Parlamento ad un votificio, per cui la fiducia diventa un atto dovuto. Se poi i deputati li sceglie il capo del governo, segretario del partito di maggioranza, il quadro dello strapotere dell’esecutivo e della debolezza del Parlamento si completa.

E allora la semplificazione del sistema decisionale, la riduzione dei costi della politica, sono parole seducenti che ripropongono, un vecchio disegno politico della destra, che si chiama presidenzialismo. È la solita solfa di Fini e Berlusconi e prima ancora di Almirante, che si ripete da anni: concentrazione del potere nelle mani dell’esecutivo e del suo capo, attraverso il depotenziamento del Parlamento.

Ma la riforma di Fini-Berlusconi si muoveva nel solco del presidenzialismo francese, e per questo era in qualche modo più equilibrata, aveva dei contrappesi in un Parlamento ancora forte, non era ancora indebolito dai regolamenti parlamentari, nella forza dei partiti e del sindacato. Con Renzi questi contrappesi vengono ulteriormente indeboliti. I partiti e i sindacati già deboli perché non riescono più a rapportarsi con i loro iscritti, con il rifiuto della concertazione, vengono tenuti fuori dal processo decisionale. Il Parlamento già emarginato con i frequenti decreti leggi, con la ghigliottina, con la riforma, viene, in parte, espulso dal processo legislativo. In questa situazione, la posta in gioco è la sopravvivenza del equilibrio dei poteri. Renzi vuole far fuori questo principio.

E allora diventa obiettivo primario ripristinare la centralita del Parlamento, ma a 360 gradi, e quindi rispetto all'esecutivo e rispetto agli apparati e al leader di partito.

La gestione del processo legislativo delle leggi da votare e rigettare, da votare subito o da votare con calma, sono state sempre frutto dell'accordo tra le segreterie dei partiti, ad esclusione dei parlamentari.

Insomma occorre spostare il baricentro politico dalla segreterie dei partiti, dall'esecutivo, ai gruppi parlamentari. Il tradizionale rapporto governo/partito, deve essere sostituito con il rapporto governo/gruppi parlamentari.

  • Le nuove realtà

Il raffrozamento dell’esecutivo si muove al di fuori dei principi costituzione, ma anche contro la realtà di oggi e di domani che segnano la crisi della politica verticistica a favore della politica orizzontale. La gente ha deciso di giocare un ruolo sempre più partecipativo rispetto alle decisioni che la riguardano l’attività dei soggetti che su internet formano e si informano, ragionano dialogano, individuano un nuovo tipo di politica, che potremo definire orizzontale e che utilizza come strumento oprerativo internet. La politica orizzontale, mette in crisi la politica verticistica degli apparati dei partiti e del leader. Ieri era il partito ad indicare al popolo le linee politiche da seguire. Oggi è il popolo che indica ai partiti le linee politiche da seguire.

E tutto ciò segna l’irruzione della democrazia partecipativa sullo scenario politico e la nascita di un nuovo soggetto politico con cui i partiti dovranno fare i conti se non vogliono perdere il contatto con la realtà.

Bisogna rafforzare il Parlamento nel rapporto dialettico con il governo e dare spazio alla società nella produzione di atti legislativi e nella funzione di controllo.

E allora irrobustire gli istituti referendari serve a dare una risposta ad un'esigenza reale del paese, ma sopratutto a riequilibrare i poteri degli apparati dei leader di partito ,con i gruppi parlamentari

E allo stesso modo viene trascurato un collegamento più stretto tra il nostro Parlamento e quello europeo, quando diventa sempre più impellente la necessità di portare l'Europa dentro lo stato nazionale.

Il trattato di Lisbona promuove la cooperazione continua ed efficace tra Parlamento UE e Parlamento nazionali, nel rispetto dell'autonomia degli stati nazionali. Il Parlamento europeo, nei prossimi anni, avrà sempre piu spazio e più competenze. I parlamenti nazionali ne avranno sempre meno. Insomma Bruxelles governerà sempre più il nostro paese. Tutto ciò moltiplica le occasioni di raccordo e di coordinamento tra i due organismi. In quest'ambito ci sono spazi per un attività efficace del Senato che potrebbe occuparsi della stesura dei pareri motivati di intervento.

In conclusione, due camere elette e con funzioni legislative in materie diverse. La prima conserva quelle tradizionali, la seconda raccorda la funzione legislativa della società civile con quella parlamentare, la funzione legislativa del Parlamento nazionale con quella del Parlamento UE.

 

Foto: Wikipedia

Commenti all'articolo

  • Di Persio Flacco (---.---.---.137) 5 maggio 2014 21:31

    La mia netta impressione è che Matteo Renzi, con la trovata populista sul Senato, stia promuovendo una "riforma" istituzionale di ben più vasta portata, tale da rendere formale la costituzione materiale attualmente vigente.

    Dal "decisionismo" craxiano, passando per il Piano di Rinascita Democratica della P2, il sogno dalemiano di un "paese normale" (cioè al modello bipolare statunitense), il Porcellum berlusconiamo, la amplissima tolleranza di Napolitano, il Partitismo trionfante, ci ritroviamo oggi con un Parlamento di nominati la cui principale attività consiste nell’approvare provvedimenti legislativi emanati dal Governo, con una totale inversione di ruoli rispetto all’architettura della Costituzione formale. In quest’ultima, infatti, protagonista è il Parlamento: ad esso spetta il potere di indirizzo della vita pubblica attraverso l’esercizio della funzione legislativa; da esso trae legittimità e mandato il Governo. Ora è il contrario.
    L’indicatore più significativo della intenzione di Renzi di istituzionalizzare la costituzione materiale sta nelle proposte di riforma elettorale finora presentate.
    Tra liste e listini gestiti dai partiti, soglie di sbarramento, premi di maggioranza, la soluzione escogitata mira a restringere la rappresentanza per mettere definitivamente al riparo il Governo dalle insidie di un Parlamento troppo vicino ai cittadini, un Parlamento con troppo potere sull’esecutivo. Come se la Democrazia non fosse esattamente questo: l’esercizio del potere del Popolo, del sovrano democratico per eccellenza.
    La controriforma renziana, invece di agire sui meccanismi istituzionali che, interpretati al modo partitocratico, rendono instabile l’esecutivo, tende a fare del Governo l’espressione dei partiti e a promuoverlo a Principe al posto del Parlamento.
    Una trovata che rende desiderabile il Presidenzialismo, e forse è proprio per questo che viene indicata come soluzione.
    In realtà nella Costituzione non c’è scritto che il Governo deve avere la fiducia del Parlamento in ogni istante della sua vita.

    Cito:
    -----------------------------------------------

    Costituzione - TITOLO III - Art. 94.

    Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere.

    Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale.

    Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia.

    Il voto contrario di una o d’entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa obbligo di dimissioni.

    La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione.

    L’intenzione del costituente mi sembra chiara: il Governo è espressione del Parlamento, ma il Parlamento, una volta accordata la fiducia, non può revocarla se non con le modalità indicate nell’articolo. Il ricorso alla mozione di fiducia da parte del Governo dovrebbe essere limitato a casi eccezionali, invece è usato come ordinaria arma di ricatto per piegare il Parlamento ai suoi voleri, che in definitiva sono quelli dei partiti. 

    Ogni provvedimento di legge: dalla finanziaria alle normative su temi eticamente sensibili, dovrebbe avere origine in Parlamento: il Governo dovrebbe limitarsi ad eseguirlo.(è per questo che di definisce Esecutivo, no?).

    Se si ritiene di dover rafforzare ulteriormente la stabilità dei governi basterebbe modificare questo articolo e rendere più difficoltoso togliere la fiducia. Ma è evidente che non è questo che si vuole: ciò che si vuole è depotenziare la Democrazia limitando la rappresentanza.

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