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Io, Ponzio Pilato, sono innocente

"Patì sotto Ponzio Pilato", recita il Credo. Ma Pilato da duemila anni proclama l'innocenza sua e di chi come lui preferisce lavarsene le mani.

LETTERA APERTA DEL PREFETTO EMERITO DELLA PROVINCIA ROMANA DELLA GIUDEA PONTIUS PILATUS 

Io Pontius Pilatus, sento il bisogno di esternarvi tutto il mio malessere e disagio, perché, nonostante il 14 nisan dell'anno 782 ab Urbe condita abbia ordinato di rimuovere quel crocifisso, questo simbolo osceno resta ancora appeso nei luoghi pubblici, soprattutto in quelli deputati all’amministrazione della giustizia. È come se avessi ancora il suo sguardo su di me. Chiedo pure che il mio nome venga rimosso dal Credo, professione di una fede fanatica e allucinata, in cui la mia onorabilità viene giornalmente diffamata. Io non voglio assolutamente avere nulla a che fare con quell’uomo. Intendiamoci: non credo affatto che la visione di quel Nazareno morto possa avere un impatto devastante. Quell’uomo non è mai stato un reale pericolo per la stabilità dello Stato.

Le accuse contro di lui erano ridicole. Sì, lo so, dovetti far scrivere sul titulus di quel condannato una frase altisonante: Jesus Nazarenus Rex Iudeorum. Una balla colossale. Tutti noi sapevamo che non era vera. Ma non sta qui il punto. Insomma, parliamoci chiaro. Più che terrorizzante la visione di quell’uomo appeso alla croce è assai fastidiosa. Ricorda come un tarlo seccante e sgradevole alle coscienze che la Verità c’è e viene crocifissa. Questo insegnamento, oltre che manifestamente falso per tutte le menti illuminate, è anche diseducativo per i giovani. Non vogliamo certamente crescere degli inguaribili idealisti, dei falliti, dei martiri delle cause perse? In nome della verità, poi. Ma, cos’è la verità? Evanescente e illusoria parola! Solo la menzogna è concreta. È la falsità che paga e dà il successo! Ecco, l’ho detto: esporre il crocifisso è contrario al sacrosanto diritto alla menzogna.

QUEL GALILEO CI HA TOLTO IL SONNO

Anche a me fu fatta duemila anni fa una richiesta simile. Il pretesto (c’è sempre un nobile pretesto per le cause, appunto... pretestuose!) era allora la salvaguardia del Sabato. Da non profanare con la visione impura di quel cadavere. Una pia intenzione, certo. Dio non avrebbe tollerato che quell’oscenità infangasse il suo santo giorno. Che per di più quell’anno coincideva con la Pasqua. Ma da subito ebbi il sentore che la fretta, l’urgenza di rimuovere quel corpo martoriato fosse piuttosto dettata dal bisogno di tacitare il rimorso. La sua stretta ghiaccia il cuore. Lo so bene, io. Lo sa anche mia moglie Claudia. Quel Galileo ci ha tolto il sonno. Per sempre. Per questo ordinai di rimuovere quel crocifisso. Non fu il mio un gesto di viltà. Non nel senso che molti pensano. So bene che per la gente sono un codardo. Questo marchio mi perseguita da duemila anni. Credete proprio che fu per paura di quell’accozzaglia vociante che io abbia commesso il più clamoroso errore giudiziario della storia, perpetrato in nome della ragion di stato e dell’accondiscendenza remissiva alle pressioni della piazza ed alle ingerenze dell’apparato clericale?

Una sentenza in cui l’autonomia del potere giudiziario e la laica libertà andarono a farsi benedire? Un processo in cui si condannò l’innocente e si graziò chi, come Barabba, aveva amici influenti, che gli escogitarono una deroga ad personam? No, quei vecchi tromboni del Sinedrio non mi intimorivano affatto. Con un minimo gesto della mano - pollice verso! -, i miei uomini della X Legione Fretense li avrebbero schiacciati in un baleno. Ho sempre goduto nel provocare risse e tumulti, pregustando il dolce sapore della repressione. «Uomo per natura inflessibile e, in aggiunta alla sua arroganza, duro, capace solo di concussioni, di violenze, rapine, brutalità, torture, esecuzioni senza processo e crudeltà spaventose e illimitate». Così mi dipinge il filosofo ebreo Filone, che mi conosceva bene. È questo il ritratto in cui mi riconosco. Non avevo affatto esitato, anni prima, a esporre le insegne imperiali nel tempio, sfidando ad arte le reazioni esagitate e violente di quella massa di fanatici. «Profanazione! Sacrilegio!», gridavano.

Ma la vista dei miei uomini schierati in assetto anti sommossa li costrinse a più saggi consigli. E quando con i denari del sacro tesoro costruii l’acquedotto per Gerusalemme? Invece di ringraziarmi mi coprirono di villanie e insulti. Ingrati! Quella volta soffocai ogni rabbiosa intenzione nel sangue. Del resto il mio era un calcolo ben ponderato. Provocandoli, volevo essere rimosso da quell’incarico che mi era stato affidato per punizione. E vi riuscii. Finalmente, alcuni anni dopo quell’increscioso caso del Galileo, Tiberio mi destituì per incompatibilità ambientale (eufemistica espressione per dire la durezza della mia repressione della rivolta dei Samaritani sul monte Garizim); in seguito fui destinato da Caligola alla più civile e temperata Gallia. Ma non vi ritrovai il refrigerio sperato….

PAURA DI LUI - Paura? No, non avevo paura di loro. Avevo paura di Lui. L’aguzzino si aspetta di trovare negli occhi della sua vittima il terrore. Ma i suoi occhi non imploravano pietà. Esigevano rispetto. E mi scrutavano dentro. Inchiodando quell’uomo a una croce, mi illusi di crocifiggere per sempre le mie paure e le mie inquietudini. Ma anche dalla croce il suo sguardo mi inseguiva fin dentro i più reconditi recessi della fortezza Antonia, dove mi rifugiavo per trovar scampo dall’afa di quel clima malsano. Accettando di rimuoverlo dalla mia vista pensavo di restituire pace alla mia povera anima. E di metterci una pietra tombale sopra. Come mi ingannavo!

Nessuno conosce il mio dramma. Forse solo quello scrittore barbaro, Bulgakov, della Sarmazia mi pare - come la chiamate ora? Russia? -, mi ha capito. Nella sua fabula, Il maestro e Margherita, mi immagina seduto insonne da duemila anni sul mio scranno, tormentato dalla mia fama immortale. Come è vero! Non sapete come bruci dal desiderio di cambiare il mio destino con quello di un qualunque anonimo straccione vagabondo. Quel maledetto Credo mi ossessiona. Singolare privilegio: essere l’unico uomo, oltre alla Madre, menzionato nella professione di fede di quegli invasati.

UN DIO SCORRETTO

La Madre: anche il suo ricordo mi perseguita. Neanche lei supplicò o pianse. Mi guardò… come una madre guarda il suo figlio prediletto. Con amore. I suoi occhi mi lacerarono l’anima. Bisognerebbe mettere al bando anche le sue immagini; questa terra superstiziosa ne è piena. Non posso altrimenti ritrovare la mia innocenza, finché Lui e Lei mi guardano. È insopportabile la presenza di quell’ecce homo, monito perenne, muto grido contro ogni forma di ingiustizia. Avesse parlato almeno, si fosse ribellato! Via il crocifisso! Fa ribrezzo un Dio che nasce come un senzatetto extracomunitario fra il puzzo di stalla e che muore nudo come un criminale e uno schiavo. Un Dio ultimo fra gli ultimi è un’indecenza intollerabile, una ferita lancinante, una presenza fastidiosa e sgradevole per la civiltà del benessere.

Non lo sopporto. Finiamola per sempre con lo scandalo della croce! Il Dio cristiano non è politicamente corretto, è un segno di contraddizione, e continua ancora oggi a offendere e a ripugnare alle nostre brave coscienze di benpensanti. Un suggerimento: propongo di vietare l’esposizione dell’infame croce in tutti gli edifici pubblici e privati e di sostituirla con un lindo catino d’acqua in cui potersi lavare le mani. Che è anche più igienico e salutare per prevenire fastidiose malattie. Basta con i sensi di colpa.

Io, Pontius Pilatus, sono innocente del sangue di quell’uomo. E se lo sono io, lo siete anche voi. Gli dei vi siano propizi. Valete.

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