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Ti offendi se ti chiamo terrone?

Dai cori da stadio ai palchi dei comizi, le offese e le ingurie a danno dei “terroni” proliferano: “sporco terrone”; “brutto terrone”; “Oh Vesuvio lavali con la lava...questi terroni”; “terroni, cafoni, ignoranti” e chi più ne ha più ne metta. Fatto sta che ad oggi bisogna stare attenti all'uso della parola "terrone" che, anche se non accompagnata da coloriti aggettivi, ha assunto connotazioni non solo offensive e peggiorative, ma è classificabile come “ingiuria aggravata dalla discriminazione razziale”.

Ma facciamo un passo indietro per partire dalla radice etimologica del termine e capire quale distorsione abbia subito il significato della parola terrone. Cominciamo quindi dal XVII secolo, quando il terrone era un proprietario terriero, un latifondista. In seguito il termine iniziò a essere utilizzato per indicare i meridionali che emigravano dal sud al nord Italia alla ricerca di un lavoro, da qui “terrone” iniziò a diffondersi nei centri urbani veicolando una connatazione fortemente dispregiativa, che vedeva il legame imprescindibile tra meridionale e contadino, villano, cafone.

Negli anni '60 e '70 poi, il periodo delle grandi migrazioni di contadini e lavoratori meridionali verso il nord Italia porta con sé un'ondata di intolleranza e razzismo che inevitabilmente si riversa nella lingua dando alla parola “terrone” un colorito ancor più grave, tanto che nell'immaginario comune si sviluppa un'associazione insana tra il “terrone” e lo straniero.

Detto questo, bisogna ricordare che la lingua è uno strumento potente. Una sola parola può sancire l'inizio e la fine di una guerra, può offendere o può elogiare, può costruitre barriere insormontabili tra i popoli o dividere con un muro un'intera nazione. Oggi assistiamo giorno per giorno a un processo di legittimazione culturale, politica e sociale del razzismo di cui ci rendiamo principali attori proprio attraverso il linguaggio. In esso è insita una vera e propria normalità del razzismo che inizia da poche e semplici espressioni per diramarsi in fenomeni linguistici più complessi, costruiti sulla paura e l'odio dell'“altro”.

Inutile girarci intorno, inutile dire che “terrone” è un epiteto gioioso, o scherzoso, perché così non è. Per dimostrarlo, purtroppo, è dovuta intervenire la legge, con una prima sentenza emessa dal giudice Davide Alvigini, del tribunale di Varese, ai danni un uomo che avrebbe dato delle “terrone” alle vicine salernitane. L'uomo è stato condannato a pagare una multa con l'accusa di “ingiuria aggravata dalla discriminazione razziale”.

Possibile dover legiferare sull'uso improprio della lingua? Il riconoscimento ufficiale a livello istituzionale di fenomeni razziali, fondati sulla discriminazione territoriale tra abitanti di una stessa nazione, è un fatto molto più grave di quanto si possa pensare, e a nulla serve dissimulare il carico di odio e disprezzo veicolato dall'uso improprio del nostro linguaggio. A chi ancora crede che l'epiteto “terrone” non sia offensivo, vorrei ricordare che le parole che sembrano innocue a volte si rivelano come le più distruttive poiché ci insegnano ad accettare il razzismo (per quanto possa sembrare assurdo parlare di razzismo tra connazionali) come un fatto sociale ordinario. Non lasciamo che la lingua ci divida, “fatta l'Italia, ora facciamo gli Italiani”.

 

 

Foto: Ram Karthik/Flickr

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