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Gemellaggio Italia Francia

Giustamente i commentatori hanno definito il nuovo primo ministro Manuel Valls il “Renzi francese”. Valls come ministro degli Interni si era conquistato una notevole popolarità ostentando i muscoli in una Francia che correva a destra per reazione a uno squallido partito socialista dilaniato dalla corruzione. Aveva cacciato più immigrati lui di qualsiasi predecessore, raggiungendo il culmine con l’arresto a scuola di una bambina rom, espulsa immediatamente con la famiglia.

La logica suicida di Hollande è pensare che se la gente vota Marine Le Pen, i “socialisti” devono rincorrerli. Peccato che sia stato sperimentato più volte che tra l’originale e una copia, il gregge non ha dubbi, sceglie l’originale.

La scelta è suicida perché Manuel Valls non si caratterizza solo per la politica della cosiddetta “sicurezza”, ma per un liberismo sfrenato, mentre Marine Le Pen finge di preoccuparsi della crisi sociale. La sconfitta socialista è assicurata.

Ma hanno ragione i giornalisti a paragonare Valls a Renzi? Lo fanno specialmente su le Figaro quelli della destra francese, che considerano un complimento l’accostamento, e che comunque hanno salutato con piacere la sua nomina a primo ministro. E lo fanno i più stupidi pennivendoli del centrosinistra italiana, che si sentono anch’essi onorati dal fatto di aver fatto scuola in Europa. Tra l’altro continuano ad ammannire chiacchiere sul fascino di Renzi sulla Merkel, sull’ammirazione di tutti i governanti a partire da Hollande e Cameron per un così dinamico presidente, perfino sulla stima di Obama. Questa poi non si capisce da dove la tirano fuori: i giornali statunitensi parlando della visita a Roma si sono occupati solo del papa, che era importante per avere un appoggio alla politica guerrafondaia del premio Nobel per la pace (o avere almeno un silenzio-assenso), e per tentare una mediazione con la conferenza episcopale americana…

Se è un dato sufficiente a caratterizzare i due leader rampanti l’esplicitazione senza reticenze di un programma di destra, quei commentatori hanno ragione.

Renzi (con la sua corte di pappagallini e pappagalline) dopo un esordio in cui appariva una copia del Renzi di Crozza, che vendeva solo fumo anche se con tecniche da televendita, è passato all’attacco. Le due cosiddette riforme istituzionali (di cui la maggior parte degli italiani non sentiva urgente bisogno) consistono nella soppressione del diritto di votare per scegliere sia i membri del senato, sia quelli dei consigli provinciali. Renzi ha aggredito con aggressivi toni “populisti” quelli che hanno espresso dubbi: sono “professoroni” da additare al disprezzo del popolo che non vuole esitazioni sulla via delle riforme.

Poco conta che, come gli ha ricordato anche lo stesso Beppe Grillo, che pure in passato era caduto nella trappola di concentrare il fuoco solo sulla “Casta”, il risparmio effettivo sarà insignificante. Gli apparati resteranno, e i compensi formalmente aboliti rispunteranno in varia forma come rimborsi o sotto altra voce; poco importa se il doppio incarico al Senato e alla testa di un comune o di una regione porterà danno all’uno o all’altro organismo; nulla conta che verrà meno la funzione di controllo reciproco tra le due camere, che esiste nella maggior parte dei paesi, che sopravvivono benissimo all’eventualità che i diversi sistemi elettorali, o la sfasatura tra le date delle elezioni, porti a due maggioranze diverse: è successo molte volte negli stessi Stati Uniti!

No, chi dubita se la dovrà vedere con lo sdegno popolare, e intanto deve fare ammenda per la disubbidienza ai dettami di un partito embedded come il PD, anche se non ne fa parte: lo ha detto sgraziatamente a Pietro Grasso l’ex rinnovatrice Serracchiani.

Oltre a porre sempre il ricatto del suo ritorno a casa se non ottiene quel che vuole, che è quantomeno irrispettoso della sovranità (teorica) del parlamento, Renzi minaccia gli avversari e i dubbiosi: dovranno fare i conti con gli elettori. Secondo lui difendere il sistema bicamerale significa pretendere per molti (cioè i senatori!) il diritto di veto, e quindi paralizzare il governo. “Indietro non si torna!” è il suo slogan, che anticipa il futuro.

Infatti, mentre il grande e costoso apparato delle province rimarrà pressoché intatto sotto altro nome, appoggiato a regioni o comuni (il cui comportamento non è particolarmente esemplare, mi pare), ma comunque resterà anche se non più elettivo, la soppressione della seconda camera legislativa impedirà ogni ripensamento rapido su leggi sbagliate che, almeno teoricamente, era possibile col sistema attuale. Certo, non ha funzionato che raramente, ma perché le due camere (non solo il senato) erano inquinate dalla corruzione di un sistema di nomine dall’alto, che portava a far votare perfino che Ruby era nipote di Mubaraq. In realtà intimorendo oppositori e sostenitori perplessi il servilismo aumenterà ancora di più.

Il modello lontano è lo Statuto umbertino. Per il senato, dove a parte i bizzarri criteri di rappresentanza diretta, che daranno alla Val d’Aosta o al Molise lo stesso peso che alla Lombardia o alla Campania, c’è da domandarsi che logica c’è nell’affidare a un presidente della Repubblica il compito di designarne ben 21 membri. Di presidenti rispettabili e al di sopra di ogni sospetto l’Italia ne ha avuto solo uno, Sandro Pertini, che comunque fece non poche sciocchezze dovute anche alla cerchia dei suoi consiglieri, non tutti liberamente scelti, e a volte pericolosi. Nessuno degli altri presidente è stato davvero “al di sopra delle parti”. E come decideranno se sono benemeriti della cultura? Ancor più ridicoli i ritocchi proposti da Monti e il suo microscopico e sovrarappresentato partito: scegliere rappresentanti della cosiddetta “società civile”. Chi dovrebbe designarli?

Non sono convinto che il voto popolare scelga sempre i migliori, anzi è praticamente impossibile in un paese in cui l’informazione è monopolizzata da pochi (cioè in tutti i paesi!), ma insomma nei periodi elettorali anche la massa indifferente e disinformata a volte ascolta voci diverse. Non è facile, e lo confermano i risultati apparentemente sorprendenti di tante elezioni, ultima quella della Turchia, in cui il “paese profondo” (cioè disinformato) ha confermato la sua delega al capo carismatico anche se scoperto con le mani nel sacco (per la protezione accordata a casi di corruzione clamorosa anche in famiglia) e che aveva istituito la censura assoluta sui mezzi di comunicazione di massa. Ma cosa si otterrebbe di meglio sopprimendo del tutto la possibilità di votare, magari male, ma votare?

E a questo mira Renzi. Se alle europee il risultato sarà sgradevole, con questa logica si potrebbe assistere a tentativi di rinvio delle elezioni politiche, o peggio.

Comunque il paragone con Valls funziona anche per il liberismo. Tra l’altro, nel minacciare gli oppositori nel suo stesso partito, e gli intellettuali rompiscatole, Renzi ha detto che gli italiani aspettano queste riforme, e vogliono cacciare i senatori, che difendono i loro interessi: è ora di farla finita con i sacrifici “per i lavoratori, le famiglie, gli imprenditori”. Nel PD è normale mettere da un pezzo sullo stesso piano teorico lavoratori e imprenditori (dimenticando che i sacrifici li hanno fatti solo i primi, non i secondi). Ma Renzi va ancora più avanti: bisogna “dare la libertà agli imprenditori”. Poverini, non ce l’avevano! Quindi più flessibilità, e più facilitazioni di quanto non ne abbiano mai avute. Ai lavoratori, al massimo l’elemosina di 80 euro, presentata come regalo, mentre è solo una parzialissima restituzione delle centinaia di euro tagliati dalle buste paghe in pochi anni, e non si sa dove saranno presi…

Photo: Flickr/Parti socialiste

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