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Dal craxismo al renzismo

Di solito quando si parla di Renzi si pensa al precedente Blair che, ereditando nel 1997 il lascito conservatore e neoliberista della Thatcher e non modificandolo in niente, si impadronì del partito laburista e lo rese pienamente compatibile con le esigenze del capitalismo britannico del tempo. Ma esiste un altro parallelo possibile, più lontano nel tempo ma forse più significativo: quello con Craxi. Renzi sta facendo al Pd quello che circa quarant'anni fa fece Craxi al Psi: il cambiamento del dna politico del partito, da formazione politica socialdemocratica e riformista, sia pure pallidamente tale, a formazione politica liberal socialista o liberale tout court, portandolo nel quadro politico istituzionale da una collocazione di centro sinistra a una collocazione centrista, con forti tratti autoritari (si vedano le recenti proposte di revisione costituzionale).

Con una differenza fondamentale: Craxi, dopo aver fatto fuori il precedente segretario socialista De Martino e avere preso il controllo del partito “rottamando” i dirigenti precedenti, aveva sì messo ai posti di comando una nuova leva di ultra fedeli quarantenni (ricorda la vicenda renziana, no?), ma aveva mantenuto un certo riferimento al mondo del lavoro e, a suo modo, una certa indipendenza rispetto agli Usa. Chi si ricorda di Sigonella? Renzi invece un qualsiasi riferimento al mondo del lavoro non ce l'ha perché, molto semplicemente, non lo vuole avere. Anzi, non vuole avere nessun riferimento a classi o gruppi o settori sociali. Il suo decisionismo, ammantato di efficientismo e modernizzazione, ma in realtà arrogante e brutale (vedi la defenestrazione di Letta), non gli permette di avere un qualunque colloquio con le cosiddette parti sociali: sindacati, movimenti e addirittura Confindustria. Tutte anticaglie ideologizzanti, ci fa sapere, tutta una perdita di tempo.

La politica di Renzi è il trionfo dell'autonomia assoluta del potere politico rispetto alla società. Il renzismo vive esclusivamente nel rapporto con i governi, con il mondo delle istituzioni, nazionali ed europee, oltre che, ovviamente, con i centri di potere economico e finanziario da cui dipende. Il tratto principale di continuità con i governi precedenti è l'obbedienza senza se e senza ma ai dettami del liberismo, oltre che l'atteggiamento servile verso gli Usa. Il tutto nel segno della regressione sociale. Renzi è post ideologico, nel senso che adotta completamente l'ideologia dominante, quella del grande capitale finanziario.

I media di regime ci informano che due sono le opzioni principali sul cosiddetto mercato della politica: il renzismo e il grillismo. Come a dire: elettori, ci sono solo due scelte possibili, tutto il resto è ininfluente, non vorrete mica disperdere il vostro voto? Grillo e Renzi quindi, entrambi “grandi comunicatori”, superiori addirittura a Berlusconi, e anche grandi attori, nel senso che recitano una parte, supportata da continue apparizioni in Tv con frasi ad effetto ideate ogni giorno da decine di consulenti: la parte dell'uomo nuovo, che tutto cambierà, che ci salverà. Che promette un sogno fasullo. Che non richiede un consenso un minimo ragionato, ma solo tifo calcistico. E i sondaggi ci dicono che a credere fideisticamente nell'uomo nuovo, nell'uomo del destino, sono in molti, moltissimi, troppi.

La conclusione è una sola. Chi è anche solo vagamente di sinistra e non vuole rassegnarsi alla disperante alternativa Grillo-Renzi ha una sola opportunità: votare Tsipras.

 

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