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I numeri della crisi esistenziale italiana

Ieri l'Istat ha pubblicato le serie storiche coerenti con i Conti annuali per settore istituzionale. Quelli riferiti al 2013 riassumono la portata della crisi italiana.

Nel 2013 il reddito disponibile delle famiglie consumatrici in valori correnti è aumentato dello 0,3%. Tenuto conto dell’inflazione, il potere di acquisto delle famiglie consumatrici è diminuito lo scorso anno dell’1,1%. Sempre lo scorso anno, la propensione al risparmio delle famiglie consumatrici (definita dal rapporto tra risparmio lordo delle famiglie consumatrici e reddito disponibile lordo) è risultata pari al 9,8%, registrando una crescita di 1,4 punti percentuali rispetto all’anno precedente.

Non appare spericolato inferire che tale aumento della propensione al risparmio è da porre in relazione non trascurabile col forte aumento di incertezza in cui le famiglie italiane sono immerse, data la situazione economica generale e la pesante situazione del mercato del lavoro. Una componente di tale incertezza, come avevamo osservato in passato, può essere posta in relazione con le demenziali giravolte del legislatore sulla fiscalità, in particolare l’indecente balletto sull’Imu prima casa, conclusosi peraltro col pagamento di una mini-tassa ad imperituro ricordo del grado di dilettantismo ed insipienza che ormai segnano l’azione degli esecutivi italiani da qualche anno a questa parte, per inseguire disperate pulsioni propagandistiche che riescono ancora a fare breccia nel sentiment degli italiani, come misurato dagli indici di fiducia dei consumatori salvo fracassarsi sugli scogli della realtà, come evidenziato dall’aumento del tasso di risparmio.

Tornando a quest’ultimo, il dettaglio Istat è eloquente:

Nel 2013 la crescita del tasso di risparmio delle famiglie consumatrici è determinata dalla flessione della loro spesa per consumi finali (-1,3%) in presenza di un modesto aumento del reddito disponibile (+0,3%)

Altro dato eclatante segnalato da Istat riguarda gli investimenti fissi lordi delle società non finanziarie, che nel 2013 sono diminuiti del 3,8% rispetto all’anno precedente; il loro tasso di investimento (definito dal rapporto tra investimenti fissi lordi e valore aggiunto ai prezzi base) è sceso al 19,6%, con un calo 0,6 punti percentuali rispetto al 2012. Sempre lo scorso anno, la quota di profitto delle società non finanziarie (data dal rapporto tra risultato lordo di gestione e valore aggiunto lordo ai prezzi base) è stata pari al 39,2%, con una lievissima crescita (+0,1 punti percentuali) rispetto all’anno precedente.

Quindi, la sintesi è presto fatta e detta: gli italiani, avvolti da una incertezza estrema, risparmiano di più per far fronte alla medesima. Il calo dei consumi che da ciò deriva impedisce alle imprese di sviluppare gli investimenti, che sono in contrazione. Al contempo le imprese stanno lentamente e faticosamente ricapitalizzandosi, attraverso forti azioni di contenimento dei costi (e taglio di organici), per ridurre la loro fragilità finanziaria e patrimoniale media, in un sistema bancocentrico come quello italiano.

La traversata nel deserto prosegue.

Photo: Flickr/Dan Moyle

Questo articolo è stato pubblicato qui

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