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La finanziaria mortificazione della Storia

La conoscenza storica inizia nel momento in cui entrano in gioco i testimoni e con essi i documenti messi a disposizione dello storico, unitamente con un esaminatore suscettibile di poterli adeguatamente interpretare.

Nel dialetto omerico, il termine “istor” indicava il testimone. Quindi, si riferiva alla persona informata dei fatti. La parola “storia” si riconduce alla radice indoeuropea “vid”, divenuta in greco “idea/orao” e in latino “video”. Essa suggerisce pertanto che l'approccio iniziale con l'empirico si avvalga dell'osservazione e della descrizione dell'osservato. Soltanto successivamente, una volta impressa l'esperienza nella memoria, sarà possibile riferire qualcosa che altri, i testimoni nella fattispecie, affermino di aver visto. D'altronde, il verbo ionico “istoreo” vuol dire proprio investigare o osservare o esplorare. Ne consegue che l'”istoria” altro non sia se non la descrizione dell'osservabile e la sua trasmissione attraverso la dinamica della memoria collettiva. Perciò il testimone, per sua stessa natura, può dimostrarsi preciso o inesatto. La preoccupazione dello storico rimane tuttavia quella di dar voce ai testimoni per capire quel che essi dicano. Ciò vuol dire che, in assenza di “documenti”, manchi la conoscenza storica. Che manchi la conoscenza della storia contemplata sia dal punto di vista diacronico che sincronico, la quale assuma comunque un idioma capace di inferire di un universo di fatti ed eventi interrelazionati e provvisti di specifiche proprietà, sebbene non tutti i linguaggi adottabili possano soddisfare i requisiti della scientificità. Infatti, affinché ciò ricorra, è necessario che se ne discuta in maniera oggettiva e rigorosa, dal momento che un documento falso possa mutare il corso della storia.

Il falso può essere intenzionale. Esso può quindi finalizzarsi politicamente e quindi può essere costruito fraudolentemente al punto da richiedere il ricorso a particolari indagini volte a smascherarlo. Al riguardo, O. von Ranke, ricorda: “La storia comincia là dove i monumenti diventano intelleggibili e dove esistono documenti degni di fede”.

Forse ha ragione taluno nell'affermare che “la storia siamo noi”. Nel qual caso, si parla di “res gestas”. Attenzione, però, perché noi non siamo la scienza storica: non siamo cioè anche l'”historia rerum gestarum”. Perché il mestiere dello storico fa la storiografia, la quale è una storiografia polimorfa, capace quindi di riconoscere una pluralità di modalità della conoscenza storica e che ricostruisca gli eventi nel costante confronto con il materiale documentario. In altri termini, essa si propone come la diacronica scansione del percorso umano. Per cui, anche quando narra declinando i verbi all'indicativo, in effetti ne rende ragione al condizionale. Tanto nel caso in cui essa sia Mestiere, secondo Marc Bloch, quanto nel caso in cui essa sia archeologia del sapere, secondo Michel Foucault, costituisce sempre, da Erodoto ai giorni nostri, la sola attività umana che abbia sempre sconfitto la pretesa degli uomini di esprimersi a priori sul passato, attraverso la loro arroganza di intervenire sull'accaduto e la loro superbia di fossilizzare il pensiero in maniera globale e definitiva.

Nell'intento di poter attualizzare questi concetti, mi è stata suggerita la lettura di un interessante libro: un libro che, già nel suo titolo, ripropone drammaticamente l'assoluta inutilità della storia per coloro che, anziché trarre esperienza dal passato, si affannino nel riproporlo in maniera sovente assai peggiore, lasciandosi sedurre dalle farneticanti malie di insulsi politicanti.

Il libro in questione, è quello scritto da W.S. Allen. Il suo titolo? È sin troppo eloquente: “Come si diventa nazisti”, ed è stato pubblicato nel 1994 dalla Casa Editrice Einaudi.

In particolare, leggiamo cosa esso riporti a pag. 85.

“Dal 1930, non si aveva nel Reichstag una maggioranza stabile e il cancelliere, Bruening, cominciò a emanare leggi senza sottoporle al Parlamento, valendosi dei poteri presidenziali di emergenza di Hindenburg. Sebbene i suoi decreti non fossero graditi alla Spd, i socialisti non volevano rovesciare Bruening, perché temevano che l’agitazione delle elezioni finisse con l’assicurare altri progressi a nazisti e comunisti. Quindi, dalla primavera del 1930 a quella del 1932, la situazione in Germania era sgradevole e incerta: il paese era retto da leggi impopolari, emanate non dall’autorità di un Parlamento democratico, ma da quelle del senescente maresciallo di campo, eletto presidente nel 1925”.

Proviamo ora ad attualizzare quel contesto storico. Il compito non si presenta difficile: basta soltanto aggiornarne i protagonisti. Sostituiamo il Reichstag con il Parlamento italiano. Hindenburg con Napolitano. L'Spd con il PD. Bruening con Monti o Letta o Renzi, tanto in virtù della “proprietà commutativa dell'addizione”, invertendo l'ordine degli addendi il prodotto non cambia. Il periodo storico compreso tra il 1929 e il 1932, sostituiamolo con quello compreso tra il 2011 e il 2014. Infine, il 1925 di Hindenburg con il 2006 di Napolitano.

A questo punto non dovrebbe essere difficile trarne le inevitabili conseguenze. Qualcuno potrebbe obiettare che nella proposta ricostruzione manchino i nazisti. Ma questo non è vero. Perché ci sono i loro eredi. I quali si dimostrano di gran lunga peggiori di essi. Per cui, anche in considerazione dei famosi “ricorsi” storici, non è difficile immaginare dove possa condurre l'odierna contingenza italiana; anzi: quel che essa potrebbe ripetere!

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