Maggior frutta nei succhi? Fa male alla salute (delle multinazionali)
Si vuole avere un esempio di qual è la logica, gli interessi prioritari del nostro sistema istituzionale e “rappresentativo”? La retorica vuole che siano gli interessi collettivi, il “bene della collettività”, la supremazia del “bene comune” rispetto agli interessi dei singoli o delle lobby. Cazzate! Lo sono sempre state, ma oggi ancora di più. Esempi, dicevo. Tantissimi, ma l’ultimo in ordine di tempo , ma certamente non in ordine di importanza è stato la bocciatura di un emendamento presentato dai deputati del Pd Nicodemo Oliverio e Michele Anzaldi in Commissione affari costituzionali della Camera, emendamento già approvato a gennaio contro il parere dell'allora governo Letta. Anche allora come oggi il rappresentante del governo il sottosegretario Sandro Gozi, anch’esso del PD, ha reso parere contrario, ottenendo la maggioranza e quindi la decadenza dell’emendamento.
Di cosa si tratta? Oggi la quantità minima di frutta presente nelle bibite, nei succhi e bevande analcoliche è del 12% . A sentire il parere dei medici, nutrizionisti, insomma i tecnici dell’alimentazione e dello stare bene in salute occorrerebbe che questa percentuale passasse almeno al 20%. Ed era appunto questo il contenuto di quell’emendamento. Ma è stato bocciato, come dicevo e la motivazione ufficiale è stata che questa norma avrebbe portato nocumento all’industria produttrice di bevande alla frutta e soprattutto alle multinazionali che hanno praticamente il monopolio in questo settore del mercato. "L’incremento della quantità minima porterebbe non solo danno all’industria - dicono le lobby dell’industria - ma vedremmo gli scaffali dei supermercati pieni di bevande di produzione estera". E già questa la dice lunga sulla risibilità che rende sospette le motivazioni, che naturalmente hanno altre radici.
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