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Cina: passaggio a nord-est

Nel mese di settembre, i nostri giornali hanno dato, senza troppa enfasi e nelle pagine interne, questa notizia: giunta nel porto di Rotterdam una nave cinese partita da Danjan l’8 agosto e giunta dopo 33 giorni di navigazione. Questo è stato possibile sperimentando una nuova rotta che dai porti cinesi giunge a quelli del nord Europa, varcando lo stretto di Bering, grazie allo scioglimento (o meglio all’assottigliamento) dei ghiacci artici.

La rotta precedente prevedeva l’attraversamento del mar Giallo e del Mar cinese meridionale, poi il passaggio fra l’isola di Giava e quella di Sumatra (per evitare lo stretto di Malacca, infestato dai pirati), poi l’oceano Indiano, il mar Rosso, Suez, il Mediterraneo, Gibilterra infine l’Atlantico. Totale 21.600 Km e 48 giorni di navigazione, mentre la nuova rotta è di 14.600 Km e 33 giorni: un risparmio netto di un terzo del percorso e dei tempi, che si traduce in una riduzione di circa un 30-35% dei costi.

Va detto che la nuova rotta è praticabile per circa 3 mesi l’anno, ma, con adeguato potenziamento dei mezzi, prossimamente si potrà arrivare a 4 mesi e mezzo. Comunque la Federazione degli armatori norvegesi prevede che il volume di merci su questa rotta passerà da 1,26 milioni di tonnellate del 2012 a 50 milioni di tonnellate già nel 2020, perché si cercherà di approfittare al massimo del periodo di apertura. Pertanto avremo un certo andamento stagionale del traffico merci.

Problemi non ne mancano: non è detto che per lo stretto di Bering possano passare anche le navi di tonnellaggio maggiore e, peraltro, l’ecosistema artico è molto delicato, per cui è difficile immaginare un volume di traffico superiore ad una certa intensità. Così come la stagionalità di questa rotta mal si accorda con il traffico di merci deperibili che dovessero attendere la stagione buona.

Ciò nonostante si tratta di un avvenimento di grande portata geopolitica. Si tratta infatti di molto più che una via diversa e più economica: una rivoluzione delle rotte internazionali che, insieme ad altre vie di comunicazione di terra, come la “nuova via della seta”, ben presto modificherà la mappa mondiale. Infatti è ragionevole che la stessa rotta venga sfruttata anche da giapponesi, coreani e, probabilmente, indonesiani. Ma anche i porti statunitensi e sudamericani sul Pacifico acquisteranno maggiore peso rispetto a quelli atlantici, con una simmetrica crescita di influenza dei rispettivi stati rivieraschi dall’asse Atlantico a quello Pacifico.

In secondo luogo, questa rotta apre la grande partita del Mar Glaciale Artico e del Polo Nord e questo avrà anche ricadute militari, come dimostra il fatto che già dall’autunno scorso la Russia si è precipitata a riaprire la base militare sullo stretto che era stata chiusa dopo la fine dell’Urss.

Dunque, una prospettiva di riassestamento degli equilibri geopolitici di vastissime proporzioni, che segna l’ingresso di Pechino nell’esclusivo club delle grandi potenze marittime. La Cina non ha avuto accesso al sea power quantomeno dal XV secolo, dunque si tratta di una novità assoluta. D’altra parte, era stato proprio Xi Jinping, nel suo discorso al congresso di un anno fa, a dire che la Cina doveva prepararsi a diventare una grande potenza marittima e, puntualmente, sono arrivate una serie di novità che vanno ben oltre il varo della prima portaerei.

Infatti, è stata resa ufficiale l’entrata in cantiere di una seconda portaerei della stessa classe della precedente. Non irrilevante è stata anche la notizia del varo del nuovo catamarano le cui caratteristiche ne consentono un uso molto aggressivo contro naviglio nemico di medio tonnellaggio: la sagoma molto bassa permette di non essere intercettato dai radar, giungendo con brevissimo preavviso sotto la fiancata.

Ma soprattutto è una novità molto rilevante lo sviluppo del Doing Fenf 21: il carrier killer di cui riparleremo a breve.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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