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Perché le aziende ti conoscono meglio della tua famiglia (tra big data e marketing)

C'è una storia che da qualche giorno sta girando sul web. È una vicenda curiosa, che può suscitare indignazione, ed è un ottimo esempio di come funzionano (praticamente) il marketing e i big data di cui tanto si parla. 

Un uomo entra in un grande magazzino della catena americana Target, fuori Minneapolis, e chiede di parlare con il direttore. Scopo della visita? Una lamentela, piuttosto colorita secondo i testimoni, dovuta al fatto che la figlia, ancora al liceo, riceveva da Target coupon e volantini su prodotti premaman e per neonati. “State cercando di spingerla a rimanere incinta?”. Il manager di Target si è scusato, mortificato al punto che ha chiamato il signore anche il giorno seguente, per scusarsi di nuovo. Ma al telefono è il cliente ad essere in difficoltà: “Ho parlato con mia figlia, non lo sapevo, ma è incinta”.

Questo aneddoto è stato raccontato da Charles Duhigg sul New York Times.

Come fa un grande magazzino a sapere una cosa del genere, così privata, prima dei tuoi stessi genitori? 

Duhigg da qualche anno studia quei meccanismi di marketing che si occupano di analizzare le abitudini dei consumatori. Per questo ha parlato a lungo, tra gli altri, con Andrew Pole, il responsabile del settore marketing e statistica per Target (il grande magazzino di cui sopra, qui il loro sito). Pole, un master in Statistica e uno in Economia, ha iniziato a lavorare per la catena nel 2002. 

Il suo compito non è solo intercettare le abitudini dei clienti ma, soprattutto, prevenire i loro bisogni. Se intercettare le abitudini è, in un certo senso, facile – se vuoi parlare alle neo mamme, per esempio, hai i registri delle nascite, che sono pubblici – prevederli, invece, è un tantino più complicato. 

La previsione, spiega Duhigg, è importante soprattutto per un'altra ragione, più profonda: arrivare a cambiare le abitudini dei consumatori. E questo è, statisticamente parlando, molto complicato. Un consumatore, se è abituato a comprare una cosa in un posto, continuerà a farlo lì, differenziando gli acquisti a seconda dei gusti e delle abitudini, appunto. Target invece, come tanti, vuole che i clienti che non comprano da loro certi prodotti cambino abitudine e comprino tutto, ma proprio tutto, da loro. 

Ci sono dei momenti nella vita del “cittadino-cliente” nei quali le abitudini cambiano perché succede qualcosa. Uno di questi momenti – “IL” momento, continua Duhigg sul New York Times – è quando si aspetta un bambino, o quando un bambino è appena nato. Perché? Sei stanco, tendi a evitare troppi giri... insomma, fai cose diverse. 

I “nuovi genitori” sono una miniera d'oro per i grandi magazzini, spiega Pole a Duhigg. Se riesci a creare un'abitudine in quel momento ti garantisci la "fedeltà" del cliente per almeno un anno, dicono sempre le statistiche. 

“Se riusciamo a fargli comprare i pannolini, compreranno anche tutto il resto. Se stai percorrendo il negozio cercando una bottiglia d'acqua e passi davanti al succo di arancia, ne prenderai un cartone. Oh, e c'è il nuovo Dvd che volevo. In questo modo comprerai i cereali e la carta igenica, e tornerai.”

E come si fa a "incastrare" i clienti quando cambiano le abitudini? Arrivando a proporsi in quel preciso momento. Come? Raccogliendo e stoccando informazioni. Ogni cliente ha un ID number – un numero identificativo, un codice cliente – che non viene assegnato tramite meccanismi di controllo occulto, ma usando coupon, carte di fedeltà, sondaggi e raccolte punti. E, naturalmente, i dati delle carte di credito, i dati di navigazione sul sito e il servizio clienti.

I big data, che bellezza

Poi incroci tutto con le informazioni demografiche: età, stato civile, città, distanza dal negozio, stipendio medio, origine etnica, altre abitudini di consumo (sei abbonato a un giornale? Compri on line? Guardi trasmissioni televisive? Doni a delle Ong? Viaggi?). 

Tutto questo – e pensiamoci, quanti dati di questi tipo abbiamo lasciato in momenti diversi e in posti diversi? – rappresentano un quadro molto chiaro di chi siamo. E questo è il lavoro che Andrew Pole e altre decine di persone fanno al Servizio Marketing di Target. Ogni grande magazzaino o servizio ha un ufficio di “predictive analytics”, dice Pole, dove ci si occupa di capire il comportamento dei clienti.

Lo studio delle abitudini del cliente, spiega Duhigg, è uno dei maggiori campi di ricerca, non solo nel Marketing, ma anche in Neurologia e in Psicologia. “Ci sono centinaia di dipartimenti medici e universitari che studiano queste cose, tutti lautamente finanziati da privati”.

Lo studio delle abitudini infatti, di come queste si sviluppano e di come il nostro cervello risponde, sono fondamentali. E mostrano che le abitudini creano dei circoli di stimolazioni nel cervello ("azione, premio, azione", un po' come per i cani, esatto) che fanno in modo che la decisioni sia “sospesa”, lasciando che i comportamenti avvengano in automatico.

Uno studio della Duke University, per esempio, dice che il 45% delle decisioni che prendiamo ogni giorno sono fatte sulla base delle abitudini, non delle scelte. Le ricerche di statistica riescono a spiegare perché alcuni hanno comportamenti abitudinari e altri no, cosa porta a rimandare una cosa piuttosto che ad agire subito. Sono calcoli che permettono di mettere il nostro conscio e il nostro inconscio in numeri, e poi fare algoritmi che non sono certo perfetti, ma che si avvicinano di molto, spesso moltissimo, alla realtà.

E questo è il lavoro di Pole: capire le abitudini, anticiparle. E sfruttarle. 

Ma, torniamo al principio: intercettare i meccanismi che spezzano la routine, i momenti “unici” della vita. Uno studio della Ucla University realizzato negli anni Ottanta ha mostrato che i grandi eventi della vita come laurea, matrimonio, nuovo lavoro (quelli che Facebook ci chiede di sottolineare e condividere...) portano a grandi cambiamenti. Un esempio? Chi si sposa tende a cambiare la marca del caffé o dei cereali, chi divorzia tende a comprare un'altra marca di birra. 

Magari lo facciamo senza accorgercene, magari non lo facciamo proprio tutti, ma statisticamente (e praticamente) lo facciamo. E il lavoro dei dipartimenti di marketing serve proprio a quello. Il che ci riporta alla maternità della figlia di Mister X. Se una compagnia può identificare una cliente incinta, e insieme a lei tante altre, può guadagnare milioni.

Nel caso specifico del signore di Minneapolis: come ha fatto Target ha intercettare la gravidanza della figlia adolescente? Pole e la sua equipe hanno notato che a partire dal secondo trimestre di gravidanza le donne usano un determinato tipo di crema. Oppure iniziano ad assumere prodotti a base di calcio, magnesio e zinco. Sono stati così in grado di identificare 25 prodotti che, messi insieme, fanno pensare a una “pregnancy prediction”, una previsione di maternità, la cui precisione arriva fino all'ipotesi della possibile data del parto

Controlla i volantini nella tua buca delle lettere. E, soprattutto, verifica le impostazioni di privacy del tuo browser e dei tuoi social network. Oppure non fare niente, e apprezza il fatto che le aziende possano offrirti esattamente quello di cui hai bisogno. 

Foto: Anonymous9000/Flickr

 

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