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Santa Muerte tra cinema e TV

Il culto alla Santa Muerte attraverso i prodotti culturali e pop: libri, piccolo e grande schermo

Santa Muerte Playa Mahahual Mexico 004
 
Santa Muerte ora pro nobis! - Viaggio da culto made in Mexico: da Dexter a 21 Grammi, passando per Le belve di Oliver Stone, quanta devozione…
 
[di Giacomo d'AlelioCinematografo.It]
 
Da anni, ben 12, Fabrizio Lorusso, giornalista e ricercatore di Milano, si trova in México, nella capitale, il DF. Nel 2013 ha pubblicato con Stampa Alternativa Santa Muerte. Patrona dell’umanità, presentato i giorni scorsi al Festival Cruzando Fronteras a Mahahual. Dal 2001 la devozione popolare diffusa della Niña Blanca è uscita allo scoperto grazie a Doña Queta, sua custode, la prima a costruire un altare ufficiale, statua protetta da una teca, a Tepito, il barrio (quartiere, ndr) più antico e più povero del DF. Da allora, oltre che aumentare la quantità di devoti, è cresciuta la sua presenza su piccolo e grande schermo. Ma come?

“Sono pochi quelli che parlano davvero di quello che rappresenta – ci dice Lorusso -. Si rimane al rapporto coi narcos, o a ipotetici influssi paranormali, come ha fatto, in un film bruttissimo, Paco Del Toro: La Santa Muerte. Ci si butta sull’effetto più facile, e non si pensa al resto, alla verità che la accompagna. Nel 2006 Eva Aridjis, figlia, d’arte, dello scrittore Homero Aridjis, autore de La Santa Muerte, ha realizzato un documentario dal titolo omonimo (voce narrante Gael García Bernal, ndr). A Tepito non è visto di buon occhio, soprattutto l’opera del padre. Sono persone che vivono a Chatulpetec, nei quartieri alti, e non conoscono la realtà dei bassifondi.” Anche Dexter, in una puntata proprio chiamata Santa Muerte, è andato a navigare in quelle acque. “Soprattutto all’inizio il culto era poco conosciuto, proprio a livello di ricerca. Dexter appartiene ancora a quell’epoca, tanto che l’associa alla comunità venezuelana di Miami, il che è abbastanza strano, perché non sono né centro americani, né méxicanos, né chicanos…”
E la scena dei due sicari méxicanos in Breaking Bad, che prima di partire in missione per uccidere Walter White pregano in una cappella nel deserto? “È una scena anche realistica, nessuno può escludere che succeda e ci sono testimonianze dirette dei gruppi nel DF, che chiedono protezione alla Santa Muerte anche quando vanno ad uccidere. Sono comunque persone vulnerabili, e più soggette al pericolo, come lo sono i poliziotti, i tassisti, le prostitute, le comunità lesbiche, gay, transessuali della città. I poveri sono i più esposti di tutti, figuriamoci nei narcos: la manovalanza criminale viene da lì… Ma il culto è molto più complesso, più storico, più antico, più interessante di tutto questo”.
 
Ne hanno parlato anche due pezzi da novanta che non ti aspetti. “La CIA, nel 2003, con un report che la definiva la “Santa dei narcos”. E recentemente l’FBI, con Santa Muerte: Inspired and Ritualistic Killings”. Perché tutto questo? “Fa più notizia un milione o due di devoti che fanno il rosario tutte le domeniche, o un sacrificio umano ogni tanto, un omicidio con una statua a fianco che crea mistero, un narcotrafficante più o meno famoso con la Santa Muerte?” E la figura di Benicio Del Toro, tatuato, disperato e “rinato” in 21 Grammi di Iñárritu? “Se ci muoviamo dal trattare la sola Santa Muerte e ci spingiamo verso la devozione popolare, troviamo molti riferimenti. Il caso delle pandillas (gang, ndr) locali, che usano il tatuaggio, o la sua immagine come “collante”, come forma di espiazione, è uno di questi, ed è sempre esistita. Ma oltre a lei ci sono tante altre figure.”
 
Ancora qualche titolo? “El Infierno di Luis Estrada, Le belve di Oliver Stone, ma sono film sui narcos, ed è presente solo come sfondo. Potrei citare anche Per una vita migliore, con Demian Bichir, un Ladri di biciclette con migranti méxicani: c’è nella sua dimensione naturale, dentro le case, come qualunque altra figura devota. È strano invece che non ci sia in Dal tramonto all’alba di Rodriguez… ma forse era ancora troppo presto (era il 1996, ndr)”. E l’Italia? “C’è un progetto indipendente dell’Opificio Ciclope di Bologna, iniziato nel 2006. Sono riusciti a rimontarlo solo l’anno scorso, e sta girando per i festival: da vedere”. 
 
Fabrizio Lorusso ci saluta con un codice morale da seguire: “Contro tutti quelli che cercano di sfruttarla in modo indebito o commerciale, i devoti credono che la Santa si arrabbi… in genere a Tepito dicono che “no solapa a pendejos, ni enaltece a cabrones”: non nasconde gli stupidi, né eleva gli approfittatori”.

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