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L’8 marzo delle donne saudite, contro i divieti e i guardiani

Alla vigilia dell’8 marzo, un gruppo di attiviste per i diritti delle donne dell’Arabia Saudita guidato da Aziza Al-Yousef ha inoltrato una petizione al Consiglio della Shura, l’organo consultivo di nomina reale privo di poteri legislativi che fornisce pareri e suggerimenti alle autorità.

È difficile immaginare che i “consulenti” del re, quasi tutti uomini, possano prendere in grande considerazione le richieste delle attiviste. La richiesta più nota, che ha ottenuto grande sostegno e solidarietà dall’estero, è quella di poter essere autonome nella guida. L’Arabia Saudita è l’unico paese al mondo in cui vige, per le donne, il divieto di guidare da sole: un divieto sfidato più volte, anche a costo di finire in carcere o subire frustate.

Ma quella che la petizione delle attiviste chiama “l’autorità assoluta” degli uomini non si ferma qui. Senza il consenso di un “guardiano” – il più delle volte un maschio della famiglia – le donne non possono ottenere una carta d’identità, viaggiare all’estero, sposarsi, lavorare, iscriversi all’università, uscire dal campus universitario durante gli orari di lezione e persino sottoporsi a determinati interventi chirurgici.

Questi divieti hanno conseguenze assurde e a volte fatali. Nella capitale Riad, una studentessa ha dovuto partorire dentro al campus perché le regole impedivano l’ingresso di uomini, fossero anche medici, nell’università per sole donne. A febbraio, un’altra studentessa è morta a seguito di un attacco cardiacoi medici non sono stati fatti entrare in tempo utile, poiché il guardiano della ragazza non era presente.

 

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