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“La scintilla di Caino. Storia della coscienza e dei suoi usi”: intervista a Carlo Augusto Viano

Car­lo Au­gu­sto Via­no è sto­ri­co del­la fi­lo­so­fia e già do­cen­te uni­ver­si­ta­rio al­l’u­ni­ver­si­tà di Mi­la­no e Ca­glia­ri, dal 2004 pro­fes­so­re eme­ri­to a To­ri­no. La sua at­ti­vi­tà di stu­dio si con­cen­tra sul­la lo­gi­ca e la scien­za nel pen­sie­ro an­ti­co e in quel­lo mo­der­no, non­ché sul rap­por­to tra eti­ca e fi­lo­so­fia. Scri­ve im­por­tan­ti ope­re su Ari­sto­te­le, John Loc­ke e il pen­sie­ro il­lu­mi­ni­sta. At­ti­vo an­che nel di­bat­ti­to sul­la bio­e­ti­ca, ha di­fe­so le po­si­zio­ni lai­che di fron­te alle in­ge­ren­ze del­la Chie­sa cat­to­li­ca (si veda in par­ti­co­la­re Lai­ci in gi­noc­chio del 2006). Il suo ul­ti­mo vo­lu­me è La scin­til­la di Cai­no. Sto­ria del­la co­scien­za e dei suoi usi, pub­bli­ca­to nel 2013 da Bol­la­ti Bo­rin­ghie­ri.

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Re­da­zio­ne: Il te­sto “in­co­min­cia con una vi­cen­da ame­ri­ca­na, nel­la qua­le i mem­bri di una set­ta re­la­ti­va­men­te tar­di­va del pro­te­stan­te­si­mo si ri­fiu­ta­no di im­brac­cia­re la armi, e fi­ni­sce con il ri­fiu­to di una par­te di me­di­ci di of­fri­re alle don­ne l’as­si­sten­za che esse ri­chie­do­no”. L’ar­co tem­po­ra­le og­get­to di ana­li­si è però ben più am­pio. Per­ché ri­tie­ne così im­por­tan­ti que­sti due estre­mi?

Via­no: Ho scel­to di in­co­min­cia­re con un epi­so­dio in cui l’o­bie­zio­ne di co­scien­za al ser­vi­zio mi­li­ta­re si ma­ni­fe­sta in modo pre­ci­so, in una guer­ra che si po­treb­be dire “po­po­la­re”, di­ver­sa da quel­le in­det­te da so­vra­ni. In que­sta cir­co­stan­za il ri­fiu­to del­la guer­ra per­de­va il ca­rat­te­re vago che ave­va sem­pre avu­to. Era­no sta­ti gli ana­bat­ti­sti e le sèt­te pro­te­stan­ti a pro­fes­sa­re il ri­fiu­to del­le armi, ma poi pro­prio que­sti mo­vi­men­ti si era­no tro­va­ti im­pe­gna­ti in guer­re di re­li­gio­ne, in­tra­pre­se per re­spin­ge­re l’op­pres­sio­ne re­li­gio­sa, ma an­che per in­stau­ra­re nuo­vi re­gi­mi re­li­gio­si. Non a caso, nel­l’oc­ca­sio­ne so­pra men­zio­na­ta, la ri­nun­cia alle armi ve­ni­va for­mu­la­ta dai quac­che­ri, una set­ta che, svi­lup­pa­ta­si quan­do le guer­re di re­li­gio­ne eu­ro­pee vol­ge­va­no alla fine, si era dif­fu­sa nel­le co­lo­nie in­gle­si in Ame­ri­ca. Qui quel­la ri­nun­cia era pre­sa sul se­rio e ri­co­no­sciu­ta dal­le au­to­ri­tà po­li­ti­che e mi­li­ta­ri, per­ché i co­lo­ni ame­ri­ca­ni ave­va­no at­tin­to am­pia­men­te alla cul­tu­ra re­li­gio­sa che si era for­ma­ta nel cor­so del­le guer­re ci­vi­li in­gle­si, nel­la qua­le l’e­re­di­tà del­l’a­na­bat­ti­smo era pre­sen­te e i quac­che­ri ave­va­no le loro ra­di­ci.

Men­tre in Eu­ro­pa non ri­ce­ve­va nes­sun ri­co­no­sci­men­to, ne­gli Sta­ti Uni­ti l’o­bie­zio­ne di co­scien­za al ser­vi­zio mi­li­ta­re era am­mes­sa, ma di­ven­ta­va dif­fi­ci­le sta­bi­li­re dove col­lo­car­la: nel­la co­sti­tu­zio­ne, in leg­gi or­di­na­rie, in re­go­la­men­ti o in qual­co­sa che stes­se al di so­pra del­la stes­sa co­sti­tu­zio­ne? Di fat­to essa non en­trò nel­la co­sti­tu­zio­ne de­gli Sta­ti Uni­ti e fu re­go­la­men­ta­ta con prov­ve­di­men­ti am­mi­ni­stra­ti­vi, ma, men­tre ven­ne spes­so con­si­de­ra­ta come un’i­stan­za fa­sti­dio­sa, che an­da­va sop­por­ta­ta, si con­ser­vò l’i­dea che de­ri­vas­se da qual­co­sa di su­pe­rio­re a qual­sia­si leg­ge po­si­ti­va. E che cosa, più del­la co­scien­za, po­te­va ospi­ta­re istan­ze su­pe­rio­ri alle stes­se leg­gi co­sti­tu­zio­na­li?

Sono par­ti­to, nel mio viag­gio nel­la co­scien­za, do­man­dan­do­mi come mai il ri­fiu­to del­le armi aves­se pre­so la for­ma di un ap­pel­lo di­ret­to pro­prio alla co­scien­za. La cosa non era af­fat­to “na­tu­ra­le”, come può sem­bra­re a noi, abi­tua­ti a chia­ma­re in cau­sa la co­scien­za sen­za pen­sar­ci su. Mol­ti usi del­la co­scien­za che ci sono fa­mi­lia­ri si tro­va­no an­che pres­so i gre­ci e i ro­ma­ni an­ti­chi, ma per loro il ri­chia­mo del­la co­scien­za non evo­ca­va af­fat­to il ri­fiu­to del­la guer­ra e del­le armi. E i dot­ti an­ti­chi (fi­lo­so­fi, let­te­ra­ti, giu­ri­sti) non fa­ce­va­no un uso este­so del­la co­scien­za, né si ri­chia­ma­va­no a essa per co­struir­ci su qual­co­sa: dot­tri­ne fi­lo­so­fi­che, ra­gio­na­men­ti giu­ri­di­ci o pro­po­ste ar­ti­sti­che. Dun­que da dove ve­ni­va la for­mu­la­zio­ne del pa­ci­fi­smo in chia­ve di co­scien­za? Lo ve­dre­mo dopo, ma in­tan­to in­co­min­cia­re dai quac­che­ri ame­ri­ca­ni mi sem­bra­va un buon pun­to di par­ten­za.

L’o­bie­zio­ne di co­scien­za al ser­vi­zio mi­li­ta­re è sta­ta trat­ta­ta con ri­spet­to so­prat­tut­to nel­la cul­tu­ra an­glo­sas­so­ne, al pun­to che gli in­gle­si la ri­co­nob­be­ro per­fi­no quan­do, nel 1940, te­me­va­no di do­ver af­fron­ta­re un’in­va­sio­ne te­de­sca. Dopo la Se­con­da Guer­ra Mon­dia­le le fu­ro­no tri­bu­ta­ti ap­prez­za­men­ti an­che nei pae­si che ne ave­va­no sem­pre dif­fi­da­to. Ma pro­prio que­sto orien­ta­men­to ha por­ta­to al suo so­stan­zia­le svuo­ta­men­to.

Que­sto pro­ces­so di svuo­ta­men­to ha avu­to un pa­ral­le­lo in me­di­ci­na, un al­tro set­to­re in cui l’o­bie­zio­ne di co­scien­za si è pre­sen­ta­ta, in un pri­mo tem­po, come un modo per sot­trar­si alla di­sci­pli­na im­po­sta da una me­di­ci­na di sta­to, che con­si­de­ra­va i cit­ta­di­ni come pa­zien­ti da uti­liz­za­re nel­la spe­ri­men­ta­zio­ne e da con­trol­la­re in nome del­la sa­lu­te col­let­ti­va; ma poi è di­ven­ta­ta un modo con il qua­le i me­di­ci han­no pre­te­so di svuo­ta­re i di­rit­ti dei cit­ta­di­ni in nome del­le pro­prie cre­den­ze re­li­gio­se.

Lei ri­cor­da che “nel­l’e­ser­ci­to [ro­ma­no] i cri­stia­ni c’e­ra­no ed era­no mes­si in dif­fi­col­tà più dal­la par­te­ci­pa­zio­ne ai riti re­li­gio­si pub­bli­ci che dal­l’e­ser­ci­zio del­la vio­len­za”. Non co­sti­tuì dun­que una sor­pre­sa se “l’av­ven­to dei cri­stia­ni al po­te­re non av­viò l’u­ma­ni­tà ver­so un mon­do fat­to di pic­co­le co­mu­ni­tà pa­ci­fi­che, come Ago­sti­no au­spi­ca­va”. Lo stes­so Ago­sti­no, del re­sto, fu uno dei più au­to­re­vo­li espo­nen­ti del­la lot­ta — pres­so­ché con ogni mez­zo — con­tro gli ere­ti­ci. Tan­to che, a suo dire, “in una so­cie­tà fi­nal­men­te cri­stia­na, in cui non ci do­ve­va­no es­se­re più sol­da­ti, tut­ti era­no sol­da­ti nel­la lot­ta, che non ha fron­tie­re, con­tro gli scru­po­li di co­scien­za”. Co­s’è la co­scien­za, per il buon cri­stia­no?

L’in­ter­pre­ta­zio­ne del­la co­scien­za ha su­bi­to non po­che tra­sfor­ma­zio­ni nel cor­so del cri­stia­ne­si­mo. La co­scien­za è en­tra­ta “in modo la­te­ra­le” nel­la cul­tu­ra cri­stia­na, so­prat­tut­to a ope­ra di Pao­lo di Tar­so, che l’ha in­vo­ca­ta in oc­ca­sio­ni di­ver­se, ma sem­pre come uno stru­men­to per di­fen­de­re il modo in cui svol­ge­va la pro­pria mis­sio­ne. Con­tro l’o­sti­li­tà di al­tri pre­di­ca­to­ri, che do­ve­va­no ave­re qual­che van­tag­gio su di lui, si ri­chia­ma­va alla co­scien­za, come luo­go cui Dio ha pie­no ac­ces­so, per di­fen­de­re le pro­prie po­si­zio­ni, sul­le qua­li si po­te­va­no nu­tri­re dub­bi. Ma il ri­chia­mo alla co­scien­za gli ser­vi­va an­che per giu­sti­fi­ca­re l’in­dul­gen­za nei con­fron­ti de­gli ebrei con­ver­ti­ti, che re­sta­va­no fe­de­li ai pro­pri tabù ali­men­ta­ri: li con­si­de­ra­va co­scien­ze de­bo­li, che, in­ca­pa­ci di li­be­rar­si da­gli scru­po­li, an­che da quel­li in­de­bi­ti, van­no tut­ta­via ri­spet­ta­te. Si pro­fi­la­va così una dop­pia in­ter­pre­ta­zio­ne del­la co­scien­za, come sede di scru­po­li, che pos­so­no es­se­re in­giu­sti­fi­ca­ti per­ché sug­ge­ri­ti dal­le cir­co­stan­ze ac­ci­den­ta­li, nel­le qua­li le cre­den­ze, an­che quel­le re­li­gio­se, si for­ma­no, e come stru­men­to di co­mu­ni­ca­zio­ne di­ret­ta con Dio. Una par­te del­la cul­tu­ra cri­stia­na ha cer­ca­to di dare alla co­scien­za un con­te­nu­to, iden­ti­fi­ca­to con la leg­ge na­tu­ra­le. Era un’o­pe­ra­zio­ne con­dot­ta at­tra­ver­so il ri­cu­pe­ro del­la tra­di­zio­ne fi­lo­so­fi­ca an­ti­ca, che però non ave­va mai dato im­por­tan­za alla co­scien­za: quel­la tra­di­zio­ne co­sti­tui­va per­ciò una cor­ni­ca ri­gi­da in cui in­tro­dur­re l’i­dea di co­scien­za, che in quel con­te­sto avreb­be per­so la pro­pria ela­sti­ci­tà, ma sa­reb­be an­che sta­ta li­be­ra­ta dai so­spet­ti che la sua spon­ta­nei­tà ge­ne­ra­va. Sa­ran­no in­ve­ce i pro­te­stan­ti ad av­va­ler­si del­l’in­ter­pre­ta­zio­ne del­la co­scien­za come luo­go in cui si for­ma­no spon­ta­nea­men­te le cre­den­ze, che per­de­reb­be­ro il loro va­lo­re re­li­gio­so, se si con­for­mas­se­ro alle im­po­si­zio­ni di un pon­te­fi­ce o di un re. Oggi spes­so i cri­stia­ni in­vo­ca­no l’in­coer­ci­bi­li­tà del­la co­scien­za come ti­to­lo per sot­trar­si alla re­spon­sa­bi­li­tà pub­bli­ca, men­tre evi­ta­no di in­vo­car­la per ri­bel­lar­si alle au­to­ri­tà re­li­gio­se.

Lei cita la Lega in­ter­na­zio­na­le per la pace e la li­ber­tà, nata nel 1866 sot­to la pre­si­den­za ono­ra­ria di Giu­sep­pe Ga­ri­bal­di. Le con­trad­di­zio­ni in ma­te­ria di co­scien­za dei non cre­den­ti sono dun­que, alla pro­va dei fat­ti, pa­ra­go­na­bi­li a quel­le dei cre­den­ti?

Non mi pare che l’ap­pel­lo alla co­scien­za ab­bia gio­va­to alla cul­tu­ra lai­ca: idee come quel­le di co­scien­za na­zio­na­le o di co­scien­za di clas­se, mo­del­la­te sul­le teo­rie fi­lo­so­fi­che del­la co­scien­za, non han­no la­scia­to un buon ri­cor­do: una buo­na ra­gio­ne per non ri­per­cor­re­re cam­mi­ni che non sono fi­ni­ti bene. In­ten­dia­mo­ci: si con­ti­nua a dire “ho la co­scien­za pu­li­ta”, “nes­su­no può pe­ne­tra­re nel­la mia co­scien­za”, “ri­spon­do sol­tan­to alla mia co­scien­za” ecc. ecc. L’im­por­tan­te è non pren­de­re quei ri­chia­mi come pro­ve di qual­co­sa o come fon­da­men­ti sui qua­li co­strui­re qual­co­sa, tan­to meno far­ne ma­te­ria di dot­tri­ne o stru­men­ti di giu­sti­fi­ca­zio­ne. È si­gni­fi­ca­ti­vo che l’o­ri­gi­na­li­tà e l’im­per­scru­ta­bi­li­tà del­le co­scien­ze ven­ga­no in­vo­ca­te in fac­cen­de del tut­to pre­ve­di­bi­li e si ri­fe­ri­sca­no a com­por­ta­men­ti am­pia­men­te uni­for­mi.

Lei ri­cor­da che “i me­di­ci obiet­to­ri sono spes­so av­van­tag­gia­ti nel­la car­rie­ra ospe­da­lie­ra, a dan­no di quel­li che non op­pon­go­no obie­zio­ne di co­scien­za”. Que­sto uso così stru­men­ta­le del­la “co­scien­za” non do­vreb­be crea­re loro qual­che scru­po­lo in più?

La co­scien­za è il po­sto in cui si col­lo­ca­no gli scru­po­li, i qua­li in ge­ne­re non trat­ten­go­no dal fare le cose che li ge­ne­ra­no. E i me­di­ci che, ob­be­den­do alle au­to­ri­tà ec­cle­sia­sti­che, ri­fiu­ta­no pre­sta­zio­ni le­git­ti­me, alle qua­li i cit­ta­di­ni han­no di­rit­to, quan­do in­vo­ca­no l’o­bie­zio­ne di co­scien­za in­ten­do­no li­be­rar­si in an­ti­ci­po da­gli scru­po­li di co­scien­za. L’o­bie­zio­ne di co­scien­za di mas­sa al ser­vi­zio mi­li­ta­re è ser­vi­ta per sot­trar­si a un ob­bli­go sen­za af­fron­ta­re il pro­ble­ma di di­scu­te­re la le­git­ti­mi­tà o l’op­por­tu­ni­tà di quel­l’ob­bli­go e sen­za pra­ti­ca­re la di­sob­be­dien­za ci­vi­le, che pre­sen­ta pur sem­pre il pe­ri­co­lo di do­ver su­bi­re le pene le­ga­li.

Nel vo­lu­me si mo­stra mol­to cri­ti­co nei con­fron­ti dei voti “se­con­do co­scien­za”, per­ché alla fine “si ri­ve­la­no “qua­si sem­pre, o sem­pre, con­for­mi alle in­di­ca­zio­ni del­la chie­sa cat­to­li­ca”. Cosa può fare, l’e­let­to­re lai­co, di fron­te a que­ste de­ri­ve?

Non si do­vreb­be mai cre­de­re a que­sti ap­pel­li alla co­scien­za. Essi ven­go­no usa­ti per giu­sti­fi­ca­re l’a­de­sio­ne a cor­pi di cre­den­ze for­ti e ben di­fe­se, un’a­de­sio­ne che pro­du­ce qua­si sem­pre van­tag­gi ben vi­si­bi­li. Chi ha re­spon­sa­bi­li­tà do­vreb­be dare ra­gio­ni pub­bli­che del­le pro­prie scel­te e non ri­fu­giar­si die­tro le pro­prie in­sin­da­ca­bi­li cre­den­ze pri­va­te. L’e­let­to­re do­vreb­be scar­ta­re i can­di­da­ti che op­pon­go­no ri­ser­ve “di co­scien­za”, chie­den­do loro di giu­sti­fi­ca­re le pro­prie scel­te con ra­gio­ni va­lu­ta­bi­li in base agli in­te­res­si che con­si­de­ra­no pro­pri dei loro elet­to­ri. Bi­so­gne­reb­be an­che pub­bli­ca­re le li­ste dei no­stri rap­pre­sen­tan­ti “co­scien­zio­si” e mo­stra­re qua­li sono sta­ti gli svan­tag­gi che han­no do­vu­to su­bi­re per es­se­re ri­ma­sti fe­de­li alla pro­pria co­scien­za.

 

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