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Governo Renzi, la gestione dell’istruzione è iperclericale

Il premier Matteo Renzi sembra aver messo da parte il tema dei diritti civili, glissando sulla sua promessa delle civil partnernship (formulata quando era “solo” segretario Pd). Il nuovo governo ha ottenuto la fiducia da Pd, Ndc, Scelta Civica e dai Popolari per l’Italia (il gruppo capeggiato da Mario Maurouscito da Sc). E l’elenco dei ministri rispecchia i nuovi equilibri, soprattutto la necessità di un compromesso con il Nuovo centro destra e le componenti moderate.

Anche sul tema dell’istruzione, l’esecutivo punta a tranquillizzare il mondo cattolico. La nuova ministra per l’Istruzione, Stefania Giannini (Scelta Civica), ha esordito con uscite discutibili sulla scuola. Intervenendo nel programma Prima di tutto su RadioUno, ha ribadito la necessità di investire nella scuola per uscire dalla crisi e dare più dignità ai professori, a partire dagli stipendi. Ma ha anche detto che “la libertà di scelta educativa è un principio europeo ed è un principio di grande civiltà”, che quello del pubblico è un “servizio fondamentale” ma paritarie e statali devono avere “uguali diritti” e “trattamenti che corrispondano al loro diverso insegnamento”.

La nomina dei sottosegretari all’istruzione, appena avvenuta, aumenta ancor di più le preoccupazioni sulle intenzioni clericali dell’esecutivo. I tre posti sono stati infatti occupati dall’ex sindaco di Piacenza Roberto Reggi (ex Margherita di stretta osservanza renziana), dalla popolare Angela D’Onghia (già vincitrice del premio “Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti”) e dal riconfermato Gabriele Toccafondi, ciellino in quota Ncd. Un uomo quest’ultimo che, nell’ultimo anno, si è battuto contro il referendum laico di Bologna, per i contributi a favore delle paritarie, per il “lodo Cl” sull’esenzione Imu alla Chiesa e ha criticato gli opuscoli Unar anti-omofobia. È un panorama iperclericale di cui l’intero mondo laico deve essere pienamente consapevole. A quanto sembra Renzi vuol cominciare la sua attività di governo rottamando quel che resta della laicità della scuola pubblica.

Il problema è che in Italia, dopo la riforma dell’istruzione del ministro Luigi Berlinguer nel 2000, si è proceduto a una parificazione tra scuola pubblica e privata che ha giovato in particolare a quella privata cattolica e danneggiato quella statale. Con il taglio consistente di fondi per dirottarli verso le paritarie e la perdita di centralità degli istituti pubblici, nonché con un diffuso favoritismo in nome di una sussidiarietà cattolicamente orientata e un entrismo nel ministero e nelle istituzioni di tecnici ed esperti che fanno riferimento a quel contesto. Ci si ritrova quindi nella spiacevole situazione per cui in molte zone, soprattutto per le primarie, il pubblico arretra e appalta l’insegnamento a scuole di chiara impronta cattolica (che già hanno rette molto alte) senza fornire un’adeguata alternativa, con ricadute non indifferenti in termini di laicità, diritti e discriminazioni di fatto. Ciononostante, negli ultimi anni le private cattoliche hanno perso uno studente su cinque: circostanza che giustifica sempre meno l’esborso pubblico. E che fa comprendere perché vogliano essere mantenute dallo Stato.

La libertà di scelta è già garantita dalla Costituzione, ma viene comunque agitata come spauracchio da ambienti confessionali che intendono lanciare segnali per mantenere posizioni di privilegio. E anche questo ministro, purtroppo, esordisce rendendo ossequio a tale retorica. Ma se il governo, che intende presentarsi come novità e rottura rispetto al passato, vuole veramente darsi da fare per la scuola, deve anche valorizzare quella pubblica. Ad esempio, potrebbe rompere un tabù trentennale e fare promozione all’otto per mille statale impegnandosi a utilizzarlo, come ora è possibile, per il risanamento degli edifici scolastici pubblici.

Bisogna poi affrontare seriamente l’ingombrante rottame concordatario dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole, che non è adatto a una società ormai più secolarizzata e causa diffuse discriminazioni tra studenti e alunni e tra le famiglie perché non è adeguatamente valorizzata la scelta di un’alternativa. Un “rottamatore” che proclama di voler rinnovare il sistema e intaccare i vecchi apparati, come fa Renzi, non può ignorare l’ingente spesa di denaro pubblico che comporta l’Irc (almeno 1,25 miliardi di euro l’anno) e il fatto che questi insegnanti sono assunti, a decine di migliaia, tramite canali agevolati e con il beneplacito dei vescovi.

In questi ultimi anni lo svilimento della scuola ha raggiunto livelli preoccupanti ed è necessario, anzi vitale, per il futuro dell’Italia invertire la rotta. Anche la nostra associazione si batte per una scuola laica e ha sostenuto il referendum di Bologna promosso dal Comitato Articolo 33 per una scuola pubblica e laica. Speriamo che il nuovo governo tenga in considerazione, su una questione centrale come l’istruzione, la voce del mondo laico e liberi la scuola dalla spessa ragnatela di clericalismo che ancora la avvolge. È necessario cambiare un paradigma, per dare davvero dignità a una scuola laica e di tutti. Anche se questo può dare fastidio a chi ha particolari interessi confessionali, serve più coraggio dal governo.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.126) 3 marzo 2014 11:50

    Due domande: gli italiani religiosi sotto i cinquant’anni sono meno del 20% (probabilmente intorno al 10%).
    Ma Renzi proprio tutti lui se li doveva prendere?
    L’altra domanda: ma è possibile che l’unica preoccupazione di qualsiasi nuovo ministro dell’istruzione sia aumentare gli stipendi agli insegnanti?
    Nessuno che abbia mai speso una parola (non diciamo poi un soldo...) per gli studenti.

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