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La lotta contro la violenza sulle donne è senza confini

“La giustizia ha il volto delle donne” - Norma Cruz 

Il 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, molte piazze italiane hanno accolto centinaia di scarpe rosse. Un colpo d’occhio a effetto, un simbolo immediato, potente: il rosso che simboleggia la violenza, il sangue, e allo stesso tempo l’amore, le scarpe a rappresentare il percorso di ogni singola donna verso la libertà dalla violenza. Ognuna con la sua personale storia, ma tutte a costruire insieme un percorso comune. In Italia le scarpe rosse sono diventate il simbolo contro il femminicidio e la violenza sulle donne in genere.

Forse ancora non tutti sanno che le scarpe rosse “Zapatos Rojos” sono nate come progetto d’arte pubblica dell’artista messicana Elina Chauvet, che nel 2009 espose la sua installazione di 33 scarpe rosse a Ciudad Juárez, la città dove il tasso di femminicidio è così elevato da essere definita “la città che uccide le donne”.

L’installazione è il risultato finale di una chiamata alla causa in favore della lotta contro la violenza sulle donne: l’idea di base è quella di favorire un passaparola all’interno della società civile, persone, associazioni, enti pubblici ecc. e raccogliere, come testimonianza dell’adesione, scarpe rosse che poi vengono esposte per strada o nelle piazze. L’obiettivo primo è creare una rete di solidarietà che rimanga e si alimenti anche dopo l’esposizione.

La prima volta, era il 2009, Elina Chauvet espose a Ciudad Juárez 33 scarpe. La seconda volta, in Texas, nel 2012 le scarpe erano già 300. “Zapatos Rojos” giunge in Italia grazie all’instancabile curatrice d’arte milanese Francesca Guerisoli che ha preso a cuore la lotta contro l’impunità dei femminicidi in Messico e ha voluto portare l’esposizione di arte pubblica in Italia per dare voce alle denunce di Elina Chauvet.

Le adesioni di persone, associazioni ed enti sono state molto alte ed entusiaste, tanto che le scarpe rosse sono diventate in Italia simbolo della violenza contro le donne in genere. Come se tutte le entità che lottano contro questo problema in Italia avessero bisogno di un simbolo, che ancora non c’era, sotto cui riconoscersi al di là delle singole specificità.

La lotta contro la violenza sulle donne nel mondo globalizzato non può avere confini per la natura stessa della violenza, che è forse il fenomeno paradossalmente più democratico che esista al mondo. Non discrimina tra paesi sottosviluppati o sviluppati, non discrimina all’interno delle classi sociali, o per gradi di istruzione, religione o forme di governo.

Lo scorso dicembre Amnesty International ha invitato Norma Cruz in Italia per un tour di testimonianza. Norma Cruz è un’attivista guatemalteca per i diritti delle donne, ormai conosciuta in tutto il mondo per la sua determinazione nella lotta contro la violenza sulle donne. Ha ricevuto onorificenze come il premio “Donne Coraggiose” consegnatole dalla segretaria di Stato Usa Hillary Clinton. La sua testimonianza ha reso chiaro quanto la lotta contro la discriminazione e la violenza sulle donne debba avere, e di fatto abbia, una connotazione globale.

Il Guatemala, con 13 milioni di abitanti di cui l’80% indigeni, soffre di un tasso di violenza molto alto. Si registrano dalle 5.000 alle 6.000 morti violente l’anno. E di queste 700 sono donne che per la maggior parte sono state stuprate e poi ammazzate in modo che non potessero denunciare la violenza. Nel 2013 sono state più di 6.000 le denunce di violenze sessuali registrate, di cui il 50% circa sono casi di abusi domestici. Norma Cruz dopo essersi occupata per decenni di cause sociali del suo paese fonda nel 2003 la Fondazione “Sobrevivientes” (Sopravvissute).

L’associazione nasce da un’esperienza traumatica: la figlia di Norma Cruz all’età di 7 anni era stata stuprata dal patrigno. Norma decise di denunciare il caso in un periodo in cui gli stupri non venivano denunciati, in quanto lo stigma ricadeva sulla vittima e ottenere giustizia era veramente difficile. Norma iniziò così una lotta che continua tutt’ora per tante altre donne.

La Fondazione Sobrevivientes si occupa di 50 casi di violenza sulle donne ogni giorno. Impiega tra l’altro avvocati, psicologi, e ha una casa-rifugio dove ospitare le donne minacciate. Le donne, e in caso di femminicidi i familiari delle vittime, vengono assistiti dal punto di vista legale, economico e psicologico.

In questi anni l’associazione ha contribuito a fare arrestare bande criminali, a mettere in evidenza diversi problemi quali la tragedia della tratta di donne, bambine e bambini. L’obiettivo primario è quello di rompere l’impunità e di far sì che i problemi delle donne entrino nell’agenda dei governi. I femminicidi sono tra l’altro un costo sociale enorme in Guatemala, basti pensare che ci sono 4.000 bambini orfani all’anno.

Norma Cruz e i dipendenti dell’associazione sono molto amati dalla cittadinanza, che vede in loro un punto di riferimento per ottenere giustizia e sicurezza, ma hanno anche nemici pericolosi nell’ambiente della criminalità. Da anni Norma Cruz riceve minacce di morte a causa del suo lavoro di protezione dei diritti delle donne e, grazie alla pressione di associazioni nazionali e internazionali verso il governo guatemalteco, le è stato assegnato un programma di sicurezza, con due guardie del corpo che la seguono 24 ore su 24. Le minacce di morte erano pesantissime, tanto da arrivare a 30, 40 minacce al giorno.

L’associazione è riuscita a stabilire contatti di collaborazione con le istituzioni giudiziarie, statali e la cittadinanza creando delle sinergie che fanno della Fondazione Sobrevivientes una struttura unica in America Latina. E ora obiettivo dell’associazione è condividere la propria esperienza di lavoro con le altre associazioni di paesi come Messico, Colombia e Perù. Norma Cruz è riuscita anche a coinvolgere un gruppo di deputate di Perù, Colombia, Paraguay, Francia, Spagna e Svizzera per lavorare insieme sul miglioramento delle leggi che riguardano la violenza sulle donne e in particolare i femminicidi.

Nel corso dei suoi interventi qui in Italia, Norma Cruz ha ribadito la convinzione che non ci sono violenze più importanti o meno importanti perpetrate sulle donne. La violenza fisica che subisce una donna in Guatemala non è più importante o meno importante di una violenza psicologica che subisce una donna in Italia. Il punto è che non bisogna mai tollerare una sola violenza, anche se fosse l’unica. Perché se non si affronta la violenza questa ha la tendenza a cambiare, evolvere e diffondersi. L’ingiustizia perpetrata su una sola donna è un’ingiustizia perpetrata su tutte le donne, per cui dobbiamo imparare a non abituarci a nessuna violenza, mai.

Un altro punto importante della lotta contro la violenza sulle donne è che l’uomo è parte del problema come lo è la donna. Quindi non si può pensare di affrontare il problema, che fondamentalmente è un problema culturale, senza coinvolgere gli uomini. Il problema della violenza sulle donne è di tutti, uomini e donne. Norma Cruz ricorda inoltre che noi donne non possiamo più continuare a pensare di essere in qualche modo colpevoli, a pensare che il nostro comportamento possa indurre alla violenza il nostro compagno e quindi di essere in qualche modo la causa delle violenze stesse. Dobbiamo ricordarci che è nostro diritto vivere libere della violenza.

In Guatemala questa lotta ha portato a leggi avanzate sulla tutela della donna, anche se migliorabili. Esiste il reato di femminicidio, esistono nel sistema giuridico procedure di protezione della donna che testimonia, inoltre un fatto di violenza anche se non denunciato dalla vittima può essere perseguito.

È specificato nella legge che nessuna violenza sulla donna può essere giustificata per ragioni di religione o tradizione. Ma non è semplice fare rispettare queste leggi. Il tasso di impunità è enorme. La soluzione del problema della violenza contro le donne in ogni paese non sta solo nel sistema delle leggi. Sta soprattutto nella mentalità di uomini e donne. Per questo è importante l’educazione dei giovani.

In Italia il tema della violenza di genere è esploso in questi ultimi cinque anni circa. Finalmente se ne parla. Il termine femminicidio non era neppure usato dai mass media. La giornata del 25 novembre non era considerata, se non dagli addetti ai lavori, associazioni che si occupano dei diritti umani e dei diritti delle donne. Ci sono stati giornalisti che hanno addirittura criticato l’utilizzo del termine considerandolo inutile, esagerato, inappropriato, mostrando così un’assoluta mancanza di conoscenza del problema di genere e soprattutto ignoranza circa il significato e la storia del termine stesso.

Femminicido è la forma estrema della violenza sulle donne. Questo termine non è stato inventato in Italia come qualcuno pensa. È stato invece introdotto negli anni Settanta dalla criminologa Diana Russell, era già conosciuto nella sociologia ispanica ed è stato utilizzato per caratterizzare le uccisioni di donne avvenute in Ciudad Juárez. Diceva l’antropologa Rita Laura Segato che la violenza sulle donne è un linguaggio di potere. Come ogni linguaggio è esportabile. È per questo che la lotta contro la violenza sulle donne deve essere globale. Porre l’attenzione su un problema ovunque, che sia per le donne afgane, messicane, russe, norvegesi, cinesi, italiane, significa limitare i danni ovunque.

Abbiamo di fatto l’obbligo di portare solidarietà a persone come Norma Cruz. Senza la solidarietà internazionale gli attivisti per i diritti delle donne avrebbero meno forza, e sicuramente rischierebbero ancora di più. È altrettanto vero che la loro esperienza di lotta, di organizzazione può diventare per noi un esempio di coraggio, di determinazione e buone pratiche.

Sono tante le organizzazioni che in Italia si occupano di donne, molte di queste si sono riunite nella rete NO MORE! - Convenzione contro la violenza maschile sulle donne e il femminicidio . La prima richiesta di cui si è fatta portavoce la rete è stata la ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa, Istanbul 2011, sulla prevenzione e il contrasto della violenza contro le donne e della violenza domestica. Obiettivo raggiunto nel maggio 2013.

Invece il pacchetto sicurezza decretato dal governo che include il “Piano straordinario contro la violenza sessuale e di genere”, sebbene abbia dei punti positivi, è stato criticato dalle associazioni che da anni si occupano di questo tema in quanto il decreto non risponde alle azioni richieste al governo italiano dal Comitato CEDAW e dalla Relatrice Speciale dell’ONU contro la violenza sulle donne, che ha fatto visita in Italia nel giugno 2012.

La Relatrice ha elaborato un rapporto di 25 pagine molto chiaro e sintetico sulla situazione della violenza sulle donne in Italia di cui raccomandiamo la lettura e anticipiamo questo paragrafo (pag. 6): “Gli stereotipi di genere, che predeterminano i ruoli di uomini e donne nella società, sono profondamente radicati. Le donne portano un pesante fardello in termini di cura della casa, mentre il contributo degli uomini a essa è tra i più bassi al mondo. Per quanto riguarda la loro presentazione nei media, nel 2006 il 53% delle donne apparse in televisione non parlava, mentre il 46% era associato a temi quali il sesso, la moda e la bellezza e solo il 2% a questioni di impegno sociale e professionale”.

Lungo il percorso di scarpe rosse dobbiamo fare ancora tutti insieme, uomini e donne, tanta strada.

 

Monica Mazzoleni per "Segnali di Fumo - il magazine dei diritti umani"

Questo articolo è stato pubblicato qui

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