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Ancora sul “duello” Grillo-Renzi

Come era prevedibile, lo scontro ha spaccato l’opinione pubblica fra sostenitori e detrattori dell’uno e dell’altro. Se devo dar retta ai mini-sondaggi dei quotidiani (“Corriere” “Repubblica” “Il fatto” ecc.) mi sembra che la peggio tocchi a Grillo, ma anche Renzi non trionfa e non pochi segnano “hanno fatto male tutti due". Anche negli interventi che leggo in giro c’è più o meno la stessa aria di giudizi troppo tagliati con l’accetta: insomma mi pare che il confronto abbia acceso le rispettive tifoserie, ma spostato abbastanza poco in termini di consensi.

E questo non è un buon risultato per Grillo che aveva ragioni da vendere ma non ha saputo farle valere. E non perché c’era da trattare qualcosa o vedere quali “parti buone” si potessero trovare nel programma di governo di Renzi: Grillo ha ragione di dire che, al di là di tutto, Renzi non è credibile neppure se dice che ora è. Dunque non c’è nessun possibile terreno di intesa con questo governo.

Veniamo al merito: questo incontro-scontro ha una premessa senza della quale non si capiscono le cose. La prima cosa che Renzi ha fatto, a gennaio, è stata quella di incontrare Berlusconi (che, per inciso, è un condannato definitivo ed interdetto dai pubblici uffici, il che avrebbe dovuto significare qualcosa) con il quale, senza consultare prima neppure il proprio partito, ha concordato una riforma elettorale che fa scempio della sentenza della Corte Costituzionale. Poi l’ha sbattuta in faccia a tutti, nemici, alleati ed anche al suo stesso partito. Più in particolare, ha escluso dalla discussione anche il M5s che, particolare non del tutto secondario, è il primo partito in termini di suffragi ricevuti.

Questo non è neppure una “conventio ad excludendum” ma un volgare patto fra malfattori, per chiamare le cose con il loro nome.

Con una premessa del genere, non esiste la base minima per dialogare e Grillo poteva fare due cose: o non andare all’incontro, denunciandone il carattere truffaldino, ricordando la premessa di cui sopra, oppure andare ed essere lui ad incalzare Renzi sul terreno delle leggi che interessano Berlusconi (Emittenza, conflitto di interessi ecc) per arrivare a rendere evidente l’accordo sostanziale fra i due compari e, raggiunto il risultato, poteva alzarsi ed andar via.

Ma, questo avrebbe richiesto l’adozione di un modello comunicativo molto diverso da quello abituale di Grillo, che è sempre quello dell’indignazione gridata. Posso benissimo convenire che questa feccia di ceto politico suscita solo disgusto, ma qualsiasi registro stilistico, anche l’indignazione più giusta, diventa inefficace se resta monocorde e senza variazione alcuna, e le cose peggiorano se il registro vocale è quello altissimo che l’esponente del M5s usa anche per chiedere un caffè.

Una volta Biagi disse di Pannella: “Dice spesso cose giuste, ma ha mai provato a dirle sottovoce?”. E’ un consiglio che passo a Grillo.

Voi mi direte “Ma già gridando non riusciamo a far passare il nostro messaggio, figurati se lo diaciamo sottovoce!”. E invece no, la comunicazione più efficace è quella che cambia spesso tono: se uno dice una cosa gridando e continua sempre a a gridare, diventa un semplice rumore di fondo e non c’è nessuna “Notizia”, la “Notizia” c’è quando, senza che nessuno se lo aspetti, l’atteggiamento cambia. In politica la cosa peggiore è diventare prevedibili.

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