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Il non-caso di Napolitano che fa discutere l’Italia

Indiscrezioni, retroscena, che ricostruiscono a tre anni di distanza quello che tutti sapevano già, ma che in un paese in crisi culturale infiammano il dibattito.

Lunedì sono uscite alcune anticipazioni del nuovo libro di Alan Friedman, giornalista stimato, diventato famoso nel nostro Paese per aver condotto diversi programmi in Rai, tra cui il più conosciuto "Maastricht Italia" (Rai 3, 1996, per quattro edizioni). Anche se forse in realtà in Italia è diventato ancora più celebre per l'imitazione che faceva di lui Maurizio Crozza qualche anno fa (Youtube); poi, in realtà, negli ultimi tempi era stato un po' dimenticato, ma questo è un discorso che rischia di togliere attenzione da quello che è successo.

Le anticipazioni erano state pubblicate dal Corriere della Sera (il libro è di Rizzoli) e dal Financial Times (dove Friedman ha scritto) e hanno suscitato un'ampia serie di polemiche. Nel libro (in uscita mercoledì) si racconta che già nell’estate del 2011 il presidente Giorgio Napolitano sondò la disponibilità di Mario Monti a prendere la guida del governo in caso di caduta dell’esecutivo, ai tempi in mano a Silvio Berlusconi.

Forza Italia e M5S hanno attaccato il Capo dello Stato, accusandolo di aver complottato nell’ombra; il premier Letta e il Pd, compreso il segretario Matteo Renzi, invece hanno preso posizioni di difesa del Quirinale (CorSera). Alcune indiscrezioni avevano fatto intendere che la circostanza era da spunto per la creazione di un asse FI-M5S sulla richiesta di messa in stato d'accusa di Napolitano, asse che in realtà non si è concretizzato. Per altro il Comitato Parlamentare ha respinto la proposta d'impeachment presentata giorni prima dal M5S, con la chiara motivazione «Stato d'accusa infondato, archiviare le accuse». Ma, in parte, quei retroscena non mentivano: infatti i membri di Forza Italia, e quelli di Gal (allineato sulle posizioni forziste), non hanno partecipato al voto, dando un chiaro segnale - per altro confermato dalla durezza delle richieste di chiarimenti inviate al Colle dai capogruppo di FI, Brunetta e Romani.

Napolitano ha replicato agli attacchi con una lettera al Corriere della Sera: «Complotto? Solo fumo» (il testo integrale della lettera e il documento originale in cui il Presidente ha sottolineato la parola “fatti”).

In molti hanno fatto notare che lo scoop di Friedman è in realtà una conferma di quello che tutti sapevano e si scriveva nell’estate 2011. Su questo ci sono una serie di approfondimenti interessanti: "#altrochegolpe" è il titolo del video di Giuliano Ferrara (Foglio), mentre è tornato a girare il retroscena del luglio 2011 firmato Fabio Martini che svelava le manovre per portare Monti a Palazzo Chigi (Stampa). Invece su l'Espresso c'è un editoriale del direttore Manfellotto (dell'agosto 2012) in cui si racconta che già nell'autunno del 2010 D’Alema aveva parlato con Monti - cosa confermata anche da un tweet di Bruno Vespa («Posso fare una posticipazione? Nel mio libro del 2012 ”Il palazzo e la piazza” Monti mi disse che già nella seconda parte del 2010…» e il successivo «…D’Alema, @Pierferdinando, Rutelli, @VeltroniWalter, @EnricoLetta e altre personalità del centrosinistra e del Pdl lo misero in preallarme»). E dallo stesso Monti (Tempi). 

Nel frattempo è uscita anche un'ulteriore indiscrezione: sembrerebbe che Napolitano avrebbe anche chiesto all’allora numero uno di Banca Intesa, Corrado Passera, di mettere a punto un documento con interventi da realizzare per far ripartire l’economia (il testo).

Per dovere di cronaca, e collegando Banca Intesa e il Financial Times, va detto pure che nel giorno in cui il quotidiano londinese ha pubblicato le "rivelazioni" di Friedman, raccontava anche che il premier Enrico Letta sarebbe stato contrario alla creazione di una bad bank per paura di un declassamento. Indiscrezioni su cui è arrivata immediata la smentita di Palazzo Chigi: «Mai espresso contrarietà» (Ansa). Circostanza da qualcuno utilizzata per mettere pigramente in discussione la non discutibile credibilità di un'istituzione giornalistica e culturale come quella del quotidiano inglese.
 
Detti i fatti, un po' di riflessioni a latere.
 
Partendo dall'indignazione sull'operato di Napolitano: non esiste niente di folle e di straordinario nel comportamento del Presidente della Repubblica. Al di là della varie considerazioni, il Capo dello Stato ha agito secondo i limiti del suo mandato, contattando personalità da lui ritenute idonee, per tastare il campo in vista di una possibile caduta del governo - c'erano state Finanziarie una dietro l'altra, c'era stata la lettera della Bce che ci intimava di far le cose sul serio, c'era una situazioni economica ai limiti, c'era soprattutto un governo politicamente logoro. E infatti il governo in quella circostanza cadde per mancanza della maggioranza parlamentare (questione che spesso viene dimenticata, facendo passare le dimissioni di Berlusconi come un atto spontaneo di benevolenza), e non per piani diabolici orditi da chissà chi. Niente complotti, ma semplicemente il fatto che ormai Berlusconi non aveva più i numeri per guidare l'esecutivo. 
 
Per altro, il passaggio del governo tecnico fu sostenuto dallo stesso Berlusconi - storico pensatore delle grandi intese - e fu proprio grazie a questo (e il motivo del sostegno non è stato certo per mandato missionario), che il centrodestra evitò quella che si configurava come un sonante sconfitta alle urne. Circostanza per cui, la prima delle voci che gridano al golpe dovrebbe momentaneamente tacersi - anche perché, e questo è spiacevole dirlo, sembra una contraddizione parlare di colpo di stato, quando si è invischiati in un processo (con testimonianze inequivocabili, a quanto pare) per la compravendita di senatori.
 
Sempre sul punto del golpe, un breve passaggio sul M5S: molti degli attuali elettori, forse, hanno dimenticato di quando in quel periodo era lo stesso Beppe Grillo a chiedere a Napolitano di sostituire Berlusconi. Era il 30 luglio del 2011, la richiesta arrivava con un post sull'organo politico più potente del Movimento, il blog di Grillo, ma evidentemente era periodo di vacanze e molti l'hanno letta distrattamente.
 
Detto della normalità della vicenda, c'è poi la questione giornalistica: quello di Friedman non è per niente uno scoop, diciamolo chiaramente - uno scoop semmai fu quello che fece con l'Iraq-gate, scoprendo finanziamenti illeciti sulla vendita di armi a Saddam Hussein che coinvolsero la Cia e la Bnl.

S'è detto che i giornali nell'estate del 2011 erano pieni di ricostruzioni e retroscena che raccontavano di incontri tra Monti e Napolitano, tanto che la nomina a premier non si può certo ricordare tra quelle decisioni che stupirono l'opinione pubblica. È vero, però, che quelle ricostruzioni adesso, nel libro, sono supportate da interviste ai diretti interessati: Monti su tutti, De Benedetti e Prodi come persone informate sui fatti, diciamo.

In questo c'è stata una certa incoerenza tra le posizioni di molti giornalisti italiani: da una parte schierati nel dire che quelle di Friedman erano non notizie, quasi una bufala, dall'altra pronti a incalzare con il "ma io l'avevo già scritto nel 2011". 
 
Non un bello spettacolo, diciamo.
 
Il vero punto però, viste le circostanze, è se tutta questa canea possa creare effetti politici. La risposta, se si trattasse di un Paese normale il nostro, non sarebbe nemmeno necessaria; e l'intera vicenda sarebbe ricordata soltanto come una buona trovata - commerciale e mediatica - per accrescere l'attesa intorno al libro di Friedman e aumentare il numero delle copie vendute. Ma siamo in Italia, e il rischio è che da tutto questo Napolitano ne uscirà indebolito, sulla sua credibilità e sul feedback con gli italiani.
 
Insomma: si tratta di indiscrezioni e retroscena che ricostruiscono a tre anni di distanza quello che tutti sapevano già, ma che in un paese in crisi culturale infiammano comunque il dibattito.
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