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Così stiamo combattendo la censura in Bielorussia con il giornalismo d’inchiesta

AgoraVox pubblica in esclusiva il testo esteso in italiano dell'intervento di Anatolij Guljaev, docente di giornalismo investigativo all'European Humanities University di Vilnius ed ex presidente dell'Associazione bielorussa dei giornalisti, all'anteprima del Festival Internazione Giornalismo Investigativo.

 

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Anatolij Guljaev
Anatolij Guljaev (a sinistra) all’anteprima del Festival Internazionale Giornalismo Investigativo dell’AGI


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Cari colleghi,
voglio presentare l’Università Umanistica Europea, con sede a Vilnius, in cui tengo il corso di “teoria e pratica dell’inchiesta giornalistica”.

La storia di questa università è particolare perchè riflette in modo significativo la situazione in devono lavorare i giornalisti in generale e i giornalisti d’inchiesta in particolare. Costituitasi a Minsk due decenni fa, quando la perestroika sui territori dell’ex Urss era appena cominciata, l’Università Umanistica si è rapidamente sviluppata. Ma essa non si inquadrava negli schemi dell’ideologia statale formatasi nel paese con l’arrivo al potere del presidente Lukashenko nel 1994, ideologia che ricorda un cocktail tra vecchie posizioni sovietiche sulla prevalenza del partito e sui suoi caposaldi presentati in modi più moerni e annacquati dalla retorica democratica.

Il risultato fu che l’università, a rischio di essere chiusa, dovette emigrare da Minsk alla vicina Vilnius, capitale della repubblica lituana, dove prosegue tuttora il suo lavoro: un caso unico di emigrazione di un’università insieme ai suoi studenti!


I GIORNALI DEL GOVERNO E I GIORNALISTI IN CARCERE

La vecchia relazione “sovietica” del potere con l’informazione è rimasta nell’alveo della sopraddetta “ideologia” . I quotidiani “di partito” e i giornali che c’erano prima, hanno cominciato ad essere chiamati “statali” e sono rimasti nel pieno potere di coloro che li facevano in precedenza. I mezzi d’informazione di massa “non-statali”, invece, si sono ridotti di diverse volte rispetto al 1994, quando nel paese c’era ancora un barlume di democrazia e i giornali si costituivano e funzionavano liberamente.

Perchè si è così così tanto ridotto il numero dei mezzi di comunicazione “non statali”? Perchè il potere vedeva in loro un pericolo per la propria esistenza. "Nelle mani dei mass media ci sono armi dalla forza distruttrice identica a quella delle vere armi e quindi essi devono essere controllati dallo stato" ha sottolineato Alexander Lukashenko parlando davanti agli studenti dell’università statale della Bielorussia il 12 febbraio del 2008. "In Bielorussia i massa media seri, così come tutta l’ideologia, non vanno privatizzati", disse lui allora. "Tutto deve essere nell’interesse dello Stato".

E il risultato è questo: è il capo dello stato che nomina o licenzia personalmente i direttori dei giornali “statali”. È lui che tramite i reparti ideologici delle strutture statali imposta una politica unica dell’informazione. Lui personalmente prende le decisioni sull’aiuto finanziario ai media di stato, sulle esenzioni fiscali e sugli altri benefit. Tra questi, a proposito, c’è l’utilizzo del sistema unico di distribuzione in abbonamento dei giornali cartacei.

I media non statali non ricevono finanziamenti pubblici. L’aiuto finanziario da parte di strutture commerciali, di imprese sul mercato, è limitato dalla minaccia di sanzioni ufficiali e spesso non ufficiali da parte del potere. Inoltre, alcuni anni fa , la maggior parte dei media non statali per decisione del potere fu escluso dal sistema di distribuzione, il che significò una forte riduzione della loro tiratura e quindi il numero di giornali non statali diminuì ulteriormente.

Continuano gli arresti di di giornalisti da parte delle forze dell’ordine. Nel 2012 l’associazione bielorussa dei giornalisti ha contato circa 60 casi di detenzione di giornalisti e di diffusori della stampa non statale e attivisti dei social network mentre assolvevano incarichi professionali . Nella maggior parte dei casi i giornalisti sono stati rilasciati due o tre ore dopo l’arresto ma non di rado tutto è passato in giudizio e c’è stato l’arresto amministrativo fino a 15 giorni. Sono stati avviate delle cause giudiziarie.

Secondo i calcoli dell’associazione bielorussa dei giornalisti quest’anno ci sono stati 45 casi di arresto legati all’adempimento dei loro compiti e servizi.

Ma, lasciatemi dire, il problema principale del giornalismo bielorusso e in particolare del giornalismo d’inchiesta è che ai poteri dello stato è assegnato il diritto assoluto all’informazione. La loro tesi fondamentale è: si può diffondere solo l’informazione passata al vaglio della censura e filtrata.

Come è noto, uno dei caratteri fondamentali dell’inchiesta giornalistica è la molteplicità delle fonti di informazione. Inoltre, esse devono essere precise, affidabili e credibili. Ma negli ultimi anni lavorare con le fonti d’informazione per i media “non-statali” è diventato praticamente impossibile, in particolare con le fonti d’informazione negli organi statali e nelle imprese statali, che in Bielorussia sono la maggioranza.

I nostri esperti citano tre atti legislativi chiave in cui si rafforza il monopolio dello stato sull’informazione. Uno di essi è il decreto presidenziale numero 65, firmato nel febbraio del 2009, “sull’adempimento del lavoro degli organi dello stato, di altre organizzazioni statali nel rapporto con i mezzi di informazione di massa”. Poi c’è anche la legge “Sul servizio statale”. In entrambi questi atti legislativi è scritta la norma che regolamenta la presentazione delle informazioni ai giornalisti.

Nel nostro paese ad avere questo diritto sono persone appositamente incaricate: i “vicedirettori per il lavoro ideologico” (prima si chiamavano “segretario del comitato di partito”). Solo loro dispongono del pieno potere di rapportarsi ai giornalisti e di dare loro le informazioni.

Il terzo documento chiave è la legge “Sul segreto di stato” sulla base della quale 58 istituzioni, comitati e agenzie statali della Bielorussia sono dotate del diritto di assegnare lo status di “segretezza” alle loro informazioni. A questo novero appartengono ad esempio la Radiotelevisione Bielorussa e il Ministero dell’informazione. Questo elenco suscita non poca meraviglia, dal momento che vi sono comprese istituzioni che per definizione devono essere aperte.

Di fatto, se i servizi ideologici non vogliono, ottenere informazioni ufficiali è praticamente impossibile. Inoltre non molto tempo fa il potere bielorusso ha deciso di mettere a punto una nuova legge sui mass media rendendo ancora più stretta la censura nel paese, con nuove limitazioni dannosissime al genere giornalistico dell’inchiesta.

Queste limitazioni riguardano la presentazione, sui giornali, delle informazioni relative a “cause giudiziarie legate a reati che hanno avuto ampia risonanza pubblica e reati con effetto dirompente sull’autorità degli organi di Stato”. In base a questa disposizione, gli avvocati di fatto vengono privati del diritto a comunicare con i mezzi di comunicazione di massa.

Uno dei leader dell’Associazione dei giornalisti bielorussi, l’avvocato e giurista Andrei Bastunez, ha dichiarato che “con o senza la legge sui mass media il rapporto con i giornalisti è già abbastanza cattivo, ma questa nuova imposizione ha superato anche la stessa legge”. Secondo la legge il giornalista può scrivere di un caso mantenendo o meno un collegamento con l’avvocato, ma con la condizione di mantenere il segreto delle conseguenze.

Ma ora non si può scrivere più nulla senza ricevere una sanzione dal tribunale o dagli organi inquirenti.



IL PERMESSO DI FARE GIORNALISMO

È’ il caso di prendere in considerazione separatamente l’articolo 35 della legge bielorussa “Sulla stampa” che riguarda l’accreditamento dei giornalisti e delle redazioni. Qui è scritto che a definire le modalità di accreditamento dei giornalisti è ciascuna agenzia (istituzione) autonomamente con un proprio atto speciale apposito. Di conseguenza l’accreditamento viene considerato dalle autorità bielorussse non come la possibilità per il giornalista di fare la sua attività, ma come il permesso di lavorare.

Quindi, cittadini bielorussi che collaborano, ad esempio, con giornali stranieri devono, contrariamente alla Costituzione della Bielorussia, ottenere l’accreditamento dal ministero degli affari esteri. E se non lo possiedono, sono esposti ad essere perseguiti dalle autorità di sicurezza .E spesso non lo possiedono, perchè viene loro regolarmente rifiutata.

Anch’io mi sono visto rifiutare l’accreditamento per collaborare ad uno dei più rispettabili mass media di Russia, nonostante la mia più che quarantennale attività giornalistica, una sfilza di premi giornalistici e una biografia pienamente positiva.

Il problema è che io presiedo la commissione etica dell’Associazione dei giornalisti bielorussi - associazione professionale che, a differenza dell’Unione dei giornalisti bielorussi, viene accettata con fatica dai poteri.

Ma certamente la parte di giornalisti più vulnerabile nell’accesso all’informazione è quella dei free lance. Nel nostro paese essi si trovano al di fuori dalla legge. Per avere informazioni non possono appoggiarsi sul loro status perchè il diritto alla certificazione di giornalista l’hanno solo le redazioni dei mass media, mentre la testimonianza delle organizzazioni dei giornalisti non è accettata dai poteri.

Il problema dell’accesso alle informazioni, sia dalle strutture di stato, sia da privati, per i free lance è praticamente irresolubile.

Un chiaro esempio è il lavoro dei giornalisti del canale BelSat che, a seguito dell’impossibilità di registrarsi a Minsk, ha dovuto registrarsi in Polonia. I detentori del potere non vogliono accreditare il canale, mentre i suoi collaboratori sopportano quotidianamente gli avvertimenti a parte dei tribunali bielorussi per il fatto di lavorare su media stranieri.

Nel contempo, nella legge sui Mezzi d’informazione di massa è contenuto l’articolo 36, secondo cui alle persone fisiche è garantito il diritto a ricevere, tenere e diffondere piena, credibile e attuale informazione sull’attività degli organi dello stato, dei partiti politici, e di altre associazioni sociali di altre persone giuridiche, sulla vita politica, economica, culturale e internazionale, sullo stato dell’ambiente.

Ma anche l’accreditamento non sempre funziona. Secondo le indagini dell’Associazione Bileorussa dei giornalisti, ad esempio, il comitato per la sicurezza dello Stato (KGB) in generale si riserva di concedere l’accreditamento dei giornalisti e di comunicare con loro, e comunica solo mettendo le informazioni nel suo sito ufficiale, che riporta i comunicati stampa e le comunicazioni. Il ministero degli interni considera l’istituto dell’accreditamento a modo suo, come una forma particolare di stimolo e di incoraggiamento. Coloro che criticano la polizia semplicemente non lo ottengono.



IL GIORNALISMO INVESTIGATIVO PUO ESSERE UN REATO

Lasciando da parte questa situazione, in Belorussia abbiamo a che fare con un sistema di conduzione delle inchieste giornalistiche assolutamente variegato. Per i “non-statali” è impossibile fare inchieste di carattere politico, in forza del fatto che, in primo luogo, bisogna disporre delle informazioni.

In secondo luogo, ogni tentativo di lavorare autonomamente in questo ambito è soggetto al rischio di essere perseguiti penalmente. Ecco l’ultimo esempio: il giornalista della redazione bielorussa di Radio Svoboda (in biellorusso, libertà) Oleg Gruzdolivich ha scitto un libro inchiesta sull’esplosione nel metro di Minsk. E subito dopo ha ricevuto l’avviso ufficiale fondato su queste motivazioni: "Si mette in dubbio l’obiettività dei risultati ufficiali dell’indagine giudiziaria sull’esplosione nella metropolitana di Minsk ed anche la correttezza del sistema giudiziario bielorusso nel suo complesso".

Da notare: non si parla della non correttezza dei fatti, di insoddisfacente lavoro con le fonti di informazione eccetera. Accusano l’autore del libro solo perchè ha messo in dubbio la correttezza e l’onestà del sistema giudiziario bielorusso. Cioè, secondo la logica del potere, lui non ha il diritto di metterlo in dubbio.

Ci sono stati un gran numero di tentativi di inchiesta giornalistica sulla sparizione di quattro noti politici della Bielorussia, tra cui l’ex ministro degli interni generale Zacharenko, il vicepremier Viktor Gonciar. Ma i nostri sforzi si sono scontrati contro l’atteggiamento contrario non di singoli funzionari nè di singoli politici, bensì dell’intera macchina statale. Succedeva così in Urss al tempo di Stalin. Mi pare che cose del genere succedessero anche in Italia in certi tempi.

In tal modo, le inchieste giornalistiche sulla politica in Bielorussia, più che pericolose, sono attività che oggi sono un privilegio dei media “statali”. E loro di questo privilegio si servono. È sufficiente ricordare i pezzi comparsi in tutti i media statali dopo le elezioni presidenziali del 2010 con l’intestazione “inchiesta giornalistica”, sul fatto che l’opposizione era pronta al colpo di stato. Non era ancora cominciata l’indagine, non c’era ancora nessun tribunale, che già gli oppositori del presidente in carica tramite i massa media erano stati accusati di delitti.

C’è una moltitudine di altri esempi di come questo genere di inchiesta giornalistica venga usato dai media “statali” per perseguire chi la pensa diversamente: nella stampa, e, in modo particolarmente attivo, in televisione.

Bisogna osservare che i media “statali” sostenuti dal budget statale hanno buone possibilità di attirare al lavoro bravi professionisti, di finanziare un lavoro prolungato concentrato su un unico tema. Altra cosa è dire che nelle inchieste politiche i media statali accettino di presentare un punto di vista opposto. Gli eventi e i fatti vengono presentati da un solo punto di vista e in qualità di esperti vengono chiamati specialisti comprati.

Per quanto riguarda invece i temi storici, di attualità sociale, di crimini, nei media statali e anche nella televisione bielorussa di stato ci sono pezzi assolutamente decorosi.

Per quanto riguarda i media non- statali, a fronte dei loro non ricchi mezzi finanziari e del costante disamore del potere nei loro confronti, restano loro soltanto i temi dell’attualità sociale e dei crimini. Ma, bisogna dire, che perfino in quelle condizioni i giornalisti “non-statali” mettono insieme pezzi più che decenti.

Ne è testimone il concorso giornalistico annuale “onda di parole” promosso dall’Associazione dei giornalisti bielorussi. Sono ampiamente presenti articoli di inchiesta giornalistica. Si distinguono per la qualità indicate un tempo dall’ex caporedattore del quotidiano “News day” Robert Green:

l’inchiesta è un pezzo fondato normalmente sul lavoro in proprio e sull’iniziativa, su un tema importante, che certe persone o organizzazioni vorrebbere tenere nascosto. In questi pezzi generalmente viene costruita bene un’ipotesi, viene fatto un buon lavoro giornalistico indipendente, viene usato un numero sufficiente di fonti di informazione, vengono presentati punti di vista diversi, vengono usati concetti di esperti indipendenti.



COSA SI PUÒ FARE, NONOSTATE TUTTO

Noi cerchiamo di fare qualcosa. Non si può dire che la società giornalistica non tenti di fare qualcosa. L’Associazione bielorussa dei giornalisti si è rivolta al Parlamento con la proposta di inserire nella legge “sui mezzi di informazione di massa” precise modifiche.

I problemi fondamentali cui veniva rivolta l’attenzione erano quelli legati all’attività dei giornalisti free lance, dell’accesso all’informazione, e anche all’indipendenza dei giornalisti e delle organizzazioni dei media.

In questa proposta si faceva riferimento alle possibilità quasi illimitate del Ministero dell’informazione di interrompere l’attività dei media per via giudiziaria. A questo proposito io ho editato, in Bielorussia, cinque quotidiani. Sono stati tutti chiusi dal potere. Ho vinto in tre istanze di giudizio, ma il certificato di registrazione non me l’hanno ugualmente ridato.

C’è ancora un altro problema su cui è stato avanzato il tentativo di attirarre l’attenzione della Camera dei rappresentanti, ed è il fatto che l’attuale legge “sui media” non contiene o quasi norme in grado di garantire l’accesso dei giornalisti all’informazione. Ma una sfilza di altri atti normativi limita questo accesso.

Tra la fine del 2008 e l'inizio del 2009 sono ritornati nel sistema di distribuzione due quotidiani in precedenza chiusi dal Governo: Narodnaja Volja (in biellorusso, "la volontà popolare") e Nasha Niva.

Proprio in quel periodo ci furono due tavole trotonde con la partecipazione dei rappresentanti degli organi di gestione dello stato e dei rappresentanti dell’OSCE per la libertà dei media. In uno di questi da parte dell’alto funzionario dell’amministrazione del Presidente fu perfino pronunciata la promessa che internet in Bielorussia sarebbe diventato libero.

Ma tuttora di mutamenti di sistema non ne sono ancora avvenuti. Se pure in alcuni casi concreti da parte del potere si sono verificate delle concessioni, a livello di sistema e a livello di legislazione tutto sui muove in direzione opposta.

Ma con o senza ciò, il giornalismo “non-statale” in Bielorussia vive. Esiste ed è attivo, in parte, on line e oggi in parte ha superato alcune agenzie statali ingombranti e poco attive. Per quanto non molto attivamente, un’autentica attività di inchiesta giornalistica esiste e funziona.

All’Università Umanistica Europea il mio corso “metodo e pratica di inchiesta giornalistica” attrae l’attenzione di una non piccola quantità di studenti e perfino, tra i partecipanti, ci sono vincitori di concorsi giornalistici di cui ancora oggi vedo i pezzi. Penso che perfino in queste condizioni le prospettive del giornalismo d’inchiesta in Bielorussia siano buone.



foto credit: Arnaldo Iodice, su concessione dell'Associazione di Giornalismo Investigativo
 

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