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Caso Electrolux, la soluzione è la nazionalizzazione

 

Si parla in questi giorni del caso Electrolux, della multinazionale svedese che vorrebbe imporre in Italia il costo del lavoro, intendendosi come tale il costo dei lavoratori, come vigente in Polonia o in Ungheria. Questi sono i primi segnali chiari dell'effetto della cosiddetta crisi che ha colpito volutamente l'Europa del Sud per creare le condizioni sociali, economiche fertili per allineare i diritti dei lavoratori di queste zone territoriali a quelli di altri Paesi ove sussistono meno diritti e dove il capitalismo può maturare enormi profitti.

Situazione ovvia, prevedibile e scontata. Da un lato ti trovi proposte nel settore del lavoro che guardano al modello tedesco, come il JobsAct, dall'altro la quadruplice alleanza ha stipulato l'accordo antidemocratico sulla rappresentanza sindacale che si allinea al modello tedesco, e contestualmente hai le multinazionali nordiche che provano a sondare il campo sulla pelle dei lavoratori del nuovo pessimo mondo del lavoro che verrà

Il caso Ilva, il caso Alcoa, giusto per citare i più recenti, ma si potrebbe parlare del caso Fiat, del caso Ferriera di Trieste, del cementificio di Vibo, del polo industriale di Gela ed ora di quello Electrolux; sono segnali inquietanti. Ed allora ripropongo per l'ennesima volta quella che a parer mio è l'unica soluzione fattibile, che sarebbe anche costituzionale. Penso che sia arrivato il momento di dire una volta per tutte basta all'intervento dello Stato italiano mirato ad ammortizzare una situazione imprenditoriale fallimentare ed a volte anche speculativa, di dire basta all'elargizione di soldi pubblici al settore privato, nel momento in cui l’azienda non è in grado di intervenire nei processi di ristrutturazione aziendale necessari per ammodernare gli impianti, per rimanere sul mercato, o per competere con altri sistemi, lo Stato italiano dovrebbe semplicemente espropriare l’azienda e gestirla direttamente, da buon datore di lavoro secondo i canoni di uno stato sociale degno di questo nome.

La Costituzione italiana, questa ipotesi, la prevede:

Art. 1

L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

Articolo 3 comma 2

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Art. 4

La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto

Art. 32

La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.

Art. 35

La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.

Art. 41

L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali. 

Ebbene, partendo proprio dall’articolo 41, il coordinamento che deve essere realizzato ai fini sociali è quello volto a garantire l’affermazione dei principi fondamentali della costituzione, prevalenti rispetto alla libertà di mera iniziativa economica privata. Ma sono determinanti anche l'articolo 43: "A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti, determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale"; e l'articolo 46: "Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende". 

Insomma, basterebbe applicare la Costituzione italiana per nazionalizzare le imprese che continuano ad elemosinare soldi pubblici o chiedere l'intervento dello Stato, con il ricatto che i lavoratori perderanno il lavoro, per non parlare dei problemi dell’indotto che stravolgerà la vita ordinaria di città. Ovviamente ben sono consapevole che non bastano i principi, ma occorrono atti di lotta condivisi e concreti. Se passerà una sola delle condizioni finalizzate a ridurre "il costo del lavoro", ovvero i diritti dei lavoratori, come proposte dalla multinazionale svedese, si aprirà un varco che non avrà più fine.

Marco Barone

 
 

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